La nuova via crucis dell'Opa

La nuova via crucis dell'Opa Berlanda alle rese col reolamento convoca in Consonr esperti La nuova via crucis dell'Opa «Task-force» di giuristi per decifrare la legge MILANO. L'appuntamento è per questa mattina a Roma, negli uffici di vetro e cemento che m via Isonzo ospitano la Consob. Il presidente Enzo Berlanda ha convocato un vero consulto di giuristi al capezzale della «grande malata» della legislazione finanziaria italiana: la legge sull'Opa, appena nata e non ancora uscita dall'incubatrice: «Troppe malformazioni», sintetizzano i tecnici riferendosi al testo licenziato dalle Camere poco prima di essere sciolte. E Berlanda si è subito trovato tra le mani la «patata bollente» del regolamento d'attuazione, che dovrà essere pubblicato dalla Consob entro 90 giorni dalla promulgazione, cioè entro il 7 giugno. L'appuntamento tecnico di oggi potrebbe essere decisivo per risolvere il problema più spinoso tra i tanti lasciati aperti dallo zoppicante testo della legge: quello delle circostanze di obbligatorietà dell'Òpa, regolate dall'articolo 10. Ma Berlanda non ha fretta: conta di impiegare al meglio il mese e mezzo che ancora resta prima della pubblicazione del regolamento, sperando di poter risolvere i problemi di interpretazione della legge senza dover ricorrere ad un nuovo intervento del legislatore. «La prima parte del testo non presenta particolari problemi d'interpretazione - si limita per ora a spiegare Berlanda - la seconda invece sì. L'articolo 10 sull'Opa obbligatoria è il più complesso, poi c'è il problema della catena societaria rispetto all'obbligo stesso, il problema dell'Òpa residuale, e molti altri. Non si può categoricamente escludere che, nel nostro lavoro di regolamentazione non emergano tali elementi di confusione da rendere opportuno un nuovo intervento legislativo. Ma è presto per trarre conclusioni». Fin qui Berlanda. E si sa che la sua linea è da sempre quella di procedere per consultazioni, sia tra gli esperti che tra gli operatori, in modo da mantenere saldo e diretto il rapporto con la realtà del mercato e l'evoluzione del diritto. Ma quali sono, in concre¬ to, i principali problemi che la legge presenta e che forse il regolamento non risolverà? Innanzitutto l'articolo 10: testualmente recita che «Chiunque intenda acquisire direttamente o indirettamente per il tramite di interposta persona o di società fiduciaria ovvero attraverso la partecipazione a sindacati il voto di controllo di una società quotata in Borsa (...) deve promuovere un'offerta pubblica di acquisto...». La legge, dunque, prevede che l'obbligo scatti comunque: sia che l'acquisizione del voto di controllo avvenga direttamente, sia indirettamente. E qui sorge il primo, e fondamentale, problema: se l'oggetto dell'acquisizione è una società quotata che a sua volta controlla altre società quotate, queste ultime si trovano a passare ((indirettamente» sotto il controllo di chi acquista la maggioranza della controllante. Ciò implicherebbe per l'acquirente l'obbligo di lanciare un'Opa non solo sulla controllante ma anche sulle controllate. Ma è chiaro che lo spirito del legislatore non prevedeva un simile effetto «a cascata». Un altro problema riguarda l'applicazione della legge alle compravendite di pacchetti azionari vincolati in patti di sindacato tra i vari soci aderenti ai patti stessi. Se, per esempio, le banche popolari venete vorran¬ no vendere il loro pacchetto azionario sindacato nel Banco ambrosiano veneto agli altri soci del patto (Gemina, Crediop, Credit Agricole, San Paolo di Brescia eccetera) costoro dovranno lanciare un'Opa oppure no? E non basta: c'è anche il problema dell'Òpa residuale, un obbligo che scatta quando la percentuale di titoli flottanti di una società quotata si riduca troppo, al di sotto dell'8%. La legge prevede che l'Opa riguardi tutte le azioni «con diritto di voto» o le obbligazioni convertibili; e se la società in questione ha anche azioni di risparmio, che non votano, che senso ha mantenerle quotate? In una parola: più che una legge, un rompicapo. La sua promulgazione è stata certamente una vittoria politica, ma non tecnica. «La legge è un pasticciaccio, non so quanto sarà possibile raddrizzarla con i regolamenti», aveva commentato Victor Uckmar, subito dopo la promulgazione del testo; «La legge va ripensata, altrimenti si rischiano ricorsi su ricorsi», aveva affermato Guido Rossi, pochi giorni dopo; «La sto studiando, spero di non aver bisogno di quattro anni di tempo per capirla», aveva osservato lo stesso Roberto Artoni, uno dei nuovi commissari. Incoraggiante, per una legge nata dopo undici anni di gestazione. Sergio Luciano Enzo Berlanda

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