Caccia al diamante grigio

Caccia al diamante grigio Coltivare tartufi, pochi progressi in centottanta anni di studi Caccia al diamante grigio // primo passo è l'acquisto di piccole piante con radici micorrizzate Inatspensabile-scegliere terreni difondovalle, con una buona aerazione ROMA. Il primo fu un contadino francese. Era il 1810 e Giuseppe Talon tentò i primi esperimenti per coltivare tartufi. In questi 180 anni, la coltura ha fatto sensibili progressi, ma ha dovuto limitarsi al tartufo nero, mentre il più pregiato bianco non si lascia «copiare» dall'uomo. Comunque la coltivazione dei tartufi è diventata un discreto affare in Italia, anche perché la produzione di quello naturale è in costante, ma continua diminuzione. Il business, comunque, è presto calcolato: una tartufaia costa dalle 50-60 mila alle 200 mila lire per piantina, mentre il prodotto raccolto, se venduto come spontaneo (purtroppo, avviene quasi sempre così, anche se il consumatore viene ingannato) può valere, per quanto riguarda il nero, sulle 500 mila lire il chilo e anche più. Ma vediamo intanto di sfatare un'erronea cognizione, che possono avere i profani: le piante che si acquistano non sono «piante di tartufi», ma piccoli alberi le cui radici sono state trattate con un sistema detto micor- rizzazione», e che si spera prima o poi producano il prezioso tubero. Ricerche vengono fatte da tempo, e con acquisizioni di rilevanza internazionale, in molti laboratori e in particolare in quelli dei centri universitari di Torino, Roma, L'Aquila. Nel capoluogo piemontese opera anche l'Ipla (Istituto piante da legno), promosso dalla Regione Piemonte. Vi sono anche numerose aziende private che offrono in vendita piantine micorrizzate, e la loro pubblicità appare sempre più spesso su riviste e giornali specializzati. Ma attenzione - avvertono gli esperti - che accanto a ditte serie ve ne sono alcune che cercano di ingannare gli ingenui acquirenti. Infatti, per raccogliere tartufi non basta piantare le piante micorrizzate. La tartuficoltura come spiega uno dei maggiori esperti italiani, il professor Giusto Giovannetti - è molto complicata: «La presenza di piante micorrizzate con tuber magnatimi nel terreno è condizione sì necessaria, ma non sufficiente allo sviluppo dei carpofori». In- fatti, bisogna soddisfare altre esigenze: l'esposizione del terreno (per i tartufi bianchi, ad esempio, terreni di fondovalle), la scelta del luogo d'impianto, la scelta delle essenze simbionti, che variano da terreno a terreno; infine il regime idrico che condiziona in modo fondamentale lo sviluppo e la buona riuscita della tartufaia. Se poi voghamo coltivare il tartufo nero, è ancora più difficile, per quanto non impossibile: ma i terreni dovranno essere diversi (di origine sedimentaria ma con contenuto in carbonato di calcio variabile tra l'I e il 50 per cento, mentre per il bianco deve essere tra 5 e 30). Anche l'acidità deve essere inferiore. In sostanza, se per il bianco vanno bene terreni sciolti, con buona aerazione, il nero ha bisogno di terreni limoso-argillosi, cioè pesanti. E così variano anche le necessità di esposizione e clima. Dunque attenzione alle allettanti offerte pubblicitarie : non è vero che coltivare tartufi sia facile. Gianni Stornello

Persone citate: Gianni Stornello, Giuseppe Talon, Giusto Giovannetti

Luoghi citati: Italia, L'aquila, Piemonte, Roma, Torino