«Io non posso, parla tu con Stalin» di Sergio Trombetta

«Io non posso, parla tu con Stalin» «Io non posso, parla tu con Stalin» Giorno per giorno, cronaca dell'ultimo mese di vita 1 febbraio 1940 Si è svegliato, il mal di testa è fortissimo. «Puoi impadronirti del revolver di Evgenij?» [Evgenij Shilovskij, generale, il precedente marito di Elena, n.d.t.]. 3 febbraio Ha detto: «Per tutta la vita ho disprezzato, no, meglio, non ho capito "Filemone e Bauci", ma adesso lo comprendo, e soltanto questo apprezzo nella vita». 13 febbraio Ha dormito... tè al limone con marmellata, lettura del romanzo e correzioni. 14 febbraio Ha telefonato Fadeev [Primo segretario dell'Unione degli Scrittori], verrà domani alle due. 20 febbraio E' venuto Pasternak. Notte del 27 febbraio Si sente male, ha paura di morire. 2 marzo Quando sono venuti Kolja e Boris [Erdman] e Dmitriev: «La cosa più importante e difficile è non temere di morire». A Kolja e Boris: «Io non avrò paura. Ma è difficile...» (e s'è messo a piangere). 4 marzo S'è svegliato e a lungo non s'è reso conto di dove fosse, che cosa gli stesse succedendo... Al matti¬ no: «Servire il popolo... perché mi opprimevano? Io volevo servire il popolo... Volevo vivere nel mio angolo...» a Sergej [figlio di Elena Sergeevna]: «Lo sai che vuol dire?... La sai la storia di Diogene? Io volevo vivere e servire nel mio angolo. Non ho fatto del male a nessuno». 5 marzo E' venuto Fadeev. Conversazione (ha raccolto le sue forze per quanto ha potuto). A me: «Lui mi è amico». A Sergej Ermolinskij: «Mi ha tradito o non mi ha tradito? No, non mi ha tradito!». 6 marzo E' stato molto agitato. Si è lamentato per il dolore, ha chiesto di essere alleviato dal male. Ha gettato i cuscini, s'è tolto il pigiama, ha buttato la coperta. Durante la giornata si è svestito più volte. Ha chiesto di essere trasportato in un'altra stanza. (...) S'è addormentato. Ha avuto un sonno lungo e agitato. «Pensano che io sia finito... Sono arrivato alla fine?!»... E' stato molto dolce, mi ha baciato molte volte, e mi ha fatto il segno della croce, ma oramai con difficoltà, le mani non rispondono al suo volere. Poi s'è riaddormentato e dopo qualche minuto di sonno ha ripreso a parlare: «Belle pietre, belle pietre grigie... Lui è in queste pietre (lo ha ripetuto molte volte). Io vorrei che tu con lui... la conversazione... (lunga pausa). Io vorrei che la conversazione riguardasse... (nuova pausa). Io non sono in grado di tenere una conversazione con Stalin... non sono in grado di tenere una conversazione...». Poi ha smesso di essere comprensibile. Presto si è addormentato, rilassandosi. Ho pensato che stesse morendo. Mani fredde, respiro lento. Ha dormito per circa quattro ore. Si è svegliato alle 8 di mattino nel medesimo stato d'animo della notte. Di nuovo per tutto il tempo si è divincolato e ha gridato: «Andare! Avanti!». Poi ha detto molte volte: «Risponderei!... Risponderei assolutamente! Io risponderei!...». Per un po' ho avuto la sensazione che si tormentasse per il fatto che non lo capisco quando dolorosamente grida «Maschera!» e gli ho detto (mi sembrava che pensasse a questo): Ti dò la mia parola d'onore che trascriverò il romanzo, che lo farò conoscere, ti pubblicheranno! E lui ascoltava abbastanza attento e cosciente, e poi ha detto: «Perché sappiano... Perché sappiano!» (...). Nella notte fra il 7 e l'8 marzo (...) Per tutto il tempo ad occhi aperti, come se cercasse di orientarsi... Ha detto: «Chi mi prenderà?». Gli ho chiesto: «Chi ti prenderà?». Ha risposto due volte: «Chi mi prenderà?». Erano le sei di sera. Alle sette di mattino: «Mi prenderanno? Ti prenderanno? Mi prenderanno?» (...) Grida in continuazione: «Maschera! Maschera! Mamma!» (...) Non ha dormito per tutta la notte. Si è rifiutato di prendere le medicine. Sta disteso nudo. Grida. Spesso si siede sul letto. 8 marzo (...) Non ha dormito per 21 ore... Ci sono stati soltanto lunghi periodi di incoscienza. Ha gridato e si è lamentato. Spesso invocava: «Maschera! Maschera!». (...) Si sforzava di alzarsi e diceva: «Andare». (...) Alle otto del mattino ha detto qualche cosa sui dottori... Singole parole: «Vedo... Vedo... Ho notato... Ho notato... Forse tu non puoi... Voi non potete... La composizione ... I tedeschi, i tedeschi, i tedeschi... Maschera!... Mamma...». (...) 10 marzo Dalle dieci del mattino è rimasto disteso nella medesima posizione: sulla schiena. Il braccio sinistro lungo il corpo, quello destro piegato sul cuscino intorno al ca¬ po. Gli occhi non completamente chiusi. La bocca mezza aperta, il respiro irregolare. (...) Il viso è calmo, non ci sono espressioni di dolore. Alle 16 e 39 minuti Misha è morto. Dopo la morte il volto ha preso un'espressione calma e maestosa. 11 marzo Arriva la gente. Lo scultore Mercurov ha fatto la maschera mortuaria. E' arrivato l'operatore Venez, ha filmato Misha... Alle quattro e qualche minuto hanno portato via la bara. L'hanno trasferita all'Unione degli scrittori... Sono venuti incontro Sergej Ermolinskij, Vsevolod Ivanov, Leonov, Marshak... L'hanno sistemato nella sala per le proiezioni. Hanno incominciato ad arrivare fiori. Quindi è stato aperto l'accesso al pubblico. Alle 5 e 45 è incominciata la cerimonia funebre civile. Prima erano stati organizzati i turni per la guardia d'onore... Dopo i discorsi per un bel po' la gente non se n'è andata. Gli attori erano in maggioranza. Il volto verso sera si è fatto sempre più simile a quello di Misha... Di estranei ne sono venuti pochi, ma quelli che venivano si fermavano a lungo. 12 marzo Una ragazza con una borsa (si è fermata qualche ora) ha chiesto: «Perché lo seppellite così?» (e non in chiesa), poi, sapendo quello che era il desiderio di Michail Afanasevic, scuoteva il capo... Hanno trasportato la bara su una macchina scoperta. Una seconda macchina scoperta con le corone... siamo passati per la via Povarskaja, attraverso la piazza dell'Arbat, accanto al monumento di Gogol, poi lungo il boulevard accanto al monumento di Pushkin, sino alla Petrovka e poi, lungo la Petrovka sino all'ingresso principale, sotto le colonne, del Teatro Bolshoj, di lì allo Mchat [Il Teatro d'Arte di Mosca per il quale Bulgakov aveva scritto e messo in scena molte pièce la più famosa delle quali certamente I giorni dei Turbin] dove c'era molta gente. (...) 12 marzo sera Al crematorio una grande quantità di macchine, molte persone dello Mchat e del Bolshoj, intellighenzia letteraria e artistica. Dopo i discorsi e l'addio hanno calato la bara. Elena Sergeevna Bulgakova (traduzione di Sergio Trombetta)

Luoghi citati: Kolja, Mosca