L'indipendenza, un fantasma scozzese di Mario Ciriello

L'indipendenza, un fantasma scozzese Nelle urne la paura di scossoni economico-finanziari è stata più forte dell'irredentismo L'indipendenza, un fantasma scozzese LONDRA NOSTRO SERVIZIO Per molte settimane, dall'inizio della campagna elettorale fino all'apertura delle urne, giovedì, i giornali e le tivù di mezzo mondo hanno dato la caccia a Sean Connery: e frotte, legioni di cronisti stranieri sono sbarcati a Edimburgo, a Glasgow, in terra di Scozia. Motivo di tanta eccitazione: 1' «indipendenza» scozzese, un vessillo agitato con foga quasi rivoluzionaria, un irredentismo che bussava imperioso alla porta della storia. I media volevano udire questo coro e i suoi corifei, come Sean Connery; volevano tastare il polso dell'antica nazione decisa a evadere dalla gabbia del Regno Unito. Poi, si è votato. E adesso le bandiere pendono, flosce e tristi, sotto il pallido sole di primavera. Il linguaggio delle cifre è limpido. Come si è diviso il voto scozzese? Il 25,6 per cento è andato ai conservatori, con un aumento dell'I,6. Il 38,9 per cento è andato ai laboristi, con una caduta del 2,8. Lo Scottish National Party (Snp) ha accresciuto i suoi suffragi dell'8,4 per cento ed è così salito al 22,4. I liberal democrats hanno subito una frana del 6,2 per cento e sono scesi al 13,1. I partiti minori (Verdi e altri) non hanno raccolto che lo 0,5. Per effetto del sistema uninominale, i seggi a Westminster non riflettono il numero dei voti e i tories ne hanno adesso 11, i laboristi 49, i nazionalisti scozzesi 3, quanti già ne avevano. Sono risultati sbalorditivi, non meno di quelli che hanno confermato John Major al potere, con una sonora sberla a tutte le previsioni dei dernoscopi e dei politologi. Qual era il pronostico della vigilia in Scozia? I tories, che già da molti anni sono nella regione una forza crepuscolare, saranno finalmente sgominati; e la disfatta infliggerà un colpo mortale al loro tradizionale «unionismo», che da tre secoli vieta alla Scozia di avere una sua robusta autonomia. I laboristi stravinceranno e il loro successo, abbinato a quello dello Snp, aprirà la via a qualche forma di self-governmsnt e forse all'indipendenza. Non v'erano dubbi su tale scenario. Era una certezza, non un'ipotesi. E invece? E' avvenuto l'opposto. I tories non sono crollati, tutt'altro; e i laboristi, pur restando la forza maggiore, non hanno conquistato la regione. La rabbia dello Snp è comprensibile. Disperato ed esasperato, Alex Salmond, che dello Snp è il leader, gridava dinanzi ai microfoni, mentre le notizie rivelavano, inesorabili, l'ampiezza del disastro: «Il Labour Party ci ha truffati per la quarta volta consecutiva. Aveva promesso di vincere e di consegnarci subito un Parlamento scozzese. Ma era una frode, ora lo sappiamo. Hanno invece abbandonato la Scozia nelle mani di un quarto gover¬ no conservatore inglese». Ma la colpa non è del Labour Party, è degli scozzesi, che hanno anteposto l'interesse all'irredentismo. Spaventati, come gli inglesi, dagli aumenti fiscali nel programma laborista, nonché dal rischio di scossoni finanziario-economici, con un rialzo dei tassi d'interesse e un ribasso della sterlina, hanno portato al partito di Kinnock soltanto il contributo tradizionale di suffragi, non l'hanno accresciuto, non l'hanno trasformato in strumento di vittoria. Lo Snp ha fatto del suo meglio, ha ingrossato dell'8,4 per cento i suoi voti, ma con soli tre deputati alla Camera dei Comuni il suo potere politico resta anemico. E allora? E la febbre dell'indipendenza, si è forse già assopita? Gli scettici ricordano che altre volte, in passato, le passioni scozzesi si sono rivelate «fluttuanti». Ma John Major, il trionfatore, non può adesso voltare le spalle e dimenticare le aspira¬ zioni scozzesi. Se non agirà, se non farà presto delle concessioni, la tensione tornerà a risalire e anche i moderati, coloro disposti ad accettare dignitosi compromessi, si affiancheranno agli indipendentisti più ardenti. Esagera chi, a Sud della Manica, già vede le premesse per una seconda insanguinata Irlanda del Nord. Non v'è confronto tra il «caso Scozia» e il tormentato, aggrovigliato, secolare «caso Ulster», con i suoi odi religiosi, sociali, etnici. Ma molti sono i rischi. C'è già chi preannuncia una campagna di disobbedienza civile, chi esorta a sfidare i «despoti inglesi». Per ora si può dire soltanto che il naufragio socialista ha trascinato con sé, negli abissi, anche i sogni d'indipendenza. Spetta a Major salvare il salvabile e offrire' agli scozzesi un più moderno matrimonio con gli inglesi. Mario Ciriello

Persone citate: Alex Salmond, John Major, Kinnock, Sean Connery, Verdi