Ottetto, luci e ombre di Schubert di Salvatore Accardo

Ottetto, luci e ombre di Schubert All'Auditorium per l'Unione Musicale, violinista Salvatore Accardo Ottetto, luci e ombre di Schubert Strana fisionomia di un'opera fatta di particolari TORINO. L'«Ottetto» di Schubert è un lavoro che ad ogni ascolto colpisce per la sua natura composita e discontinua; dura più di un'ora, come la Sinfonia «Eroica», venti minuti di più della «Quarta» di Brahms, ma i momenti di pura invenzione e d'intensità poetica (quali ci si aspetta da uno Schubert) sono pochi e dispersi in una composizione partita per imitare la piacevolezza e cordialità del «Settimino» di Beethoven e poi approdata, per l'insorgere di qualche vento sconosciuto, su una riva del tutto diversa. Anche una esecuzione affidata a solisti di chiara fama, quali Salvatore Accardo e Margaret Batjer (violini), Toby Hoffman (viola), Rocco Filippini (violoncello), Francesco Petracchi (contrabbasso), Theresa Tunnicliff, Robin Graham e Rino Vernizzi (rispettivamente clarinetto, corno e fagotto), tutti invitati all'Auditorium dall'Unione Musicale, non riesce a superare il senso di disorientamento generale; perfetti sono lo Scherzo (il terzo movimento) e il Minuetto, cioè le pagine calate nelle strutture più sicure: il tema del Minuetto, da solo, è poi la cifra suprema del lavoro, la parola unica che solo Schubert poteva pronunciare: lì per lì, ascoltando alla buona, non si può neanche dire se la tonalità sia maggiore o minore, tanto la sintassi affettiva tradizionale è superata dalla velatura del dubbio, dall'ombra di un cuore turbato da qualcosa di ignoto: più che un tema sembra il suo ricordo. Quasi incredibili, in un contesto cameristico, sono le battute lente che introducono il finale: di una serietà fuori misura, fatali come un oracolo, come lo spavento della morte (il Brahms dell'introduzione al finale nella «Prima Sinfonia» de¬ ve averle ben meditate), con i tremoli degli archi che anelano alla luce dei fiati stretti in corale; ma queste punte, come pareti di roccia, si innalzano sul placido tedio del primo movimento, sulla dolcezza paradisiaca dell'Adagio: una pagina, come avviene talvolta nello Schubert delle forme lunghe, dove non si riesce mai ad accorgersi del momento preciso in cui dal paradiso si scivola insensibilmente nel primo sbadiglio. Insomma, quante cose, e quanto diverse fra loro, ci sono neh'«Ottetto» di Schubert; tutte rivissute dai nostri musicisti che le hanno raccontate con fedeltà alla strana fisionomia di un'opera che vive di particolari. Un po' intimidita dalla sua posizione nel campo della prima parte, la «Piccola musica notturna» di Mozart K 525 nella forma cameristica minima del quintetto d'archi. [g. p.]

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