Quattro pittori torinesi ci aprono il loro armadio

L'ABITO FA L'ARTISTA MODE L'ABITO FA L'ARTISTA Quattro pittori torinesi ci aprono il loro armadio COMPRANO gli slip a Berlino, le camicie di seta a Londra, le giacche nei mercatini. Non seguono mai la moda, conservano vecchi vestiti, si divertono a inventare ogni giorno abbinamenti diversi. Sono gli artisti torinesi. L'abbigliamento per loro diventa, a seconda degli stati d'animo, un gioco, una maschera, una divisa, una necessità, ma sempre con fantasia. Abbiamo chiesto a quattro pittori di raccontarci in po' per scherzo, un po' sul serio, come scelgono i loro vestiti. Ecco le testimonianze di Carol Rama, Barbara Tutino, Ezio Gribaudo e Pierluigi Pusole. Carol Rama. L'abito per lei non è molto importante, anzi sceglierlo la agita sempre un pochino: «Tutte le volte sbaglio. Una gonna scura va sempre bene. Con un tailleur blu marine puoi presentarti anche a corte. Sul resto ho dei dubbi. Ricordo ancora un bellissimo scialle di ciniglia che pagai uno sproposito. Tutte le volte che lo mettevo però il mio imbarazzo aumentava, mi sentivo a disagio. La gente si aspetta che tu, attraverso la scelta dell'abito, dimostri quanto stile hai. Questo mi angoscia». Eppure a guardarla si direbbe che il risultato della sua eleganza sia frutto di estrema naturalezza. Nell'abbigliamento di Carol non manca mai un tocco di originalità: oggi la collana greca, domani un anello antico («posseggo molti monili sguaiati ma non li metto mai»). La pittrice, da ragazza, usava molto make up per mascherare la timidezza. «E dire che la timidezza ti distingue in maniera straordinaria, più di qualsiasi vestito eccentrico», afferma. Adesso Carol non si trucca più, è sufficiente quella sua pettinatura (una treccia bianca avvolta intorno alla fronte) a incorniciarle il viso. Quand'era giovane e cantava da Boringhieri indossava abiti elegantissimi: «Poi però li regalavo. Usava così. Per non parlare dei capi che mi donava Dafne Casorati, lei era altissima, su di me sembravano vestiti da sera. Ho più capi regalati che comprati. E con l'abito mi piace viverci, dal mattino alla sera, dormirci dentro». Ma la grande passione della pittrice sono le scarpegioiello, esemplari in broccato, ricamati a mano che ancor oggi conserva e esibisce come soprammobili. «Le compravo anche solo per far due passi, se non erano del mio numero poco importava, mi piacevano come oggetto. Però, che tortura quei tacchi alti, quando scendevo dai trampoli mi sembrava di smontare da cavallo». Barbara Tutino. Si veste dove capita, ma non come capita. A cominciare dalla biancheria intima. Gli slip li compra a Berlino. E sono da uomo: «Odio le mutandine femminili». Ma perchè a Berlino? «Solo lì trovo i modelli che voglio io: con l'elastico alto, in tessuti e fantasie particolari», racconta divertita la Tutino che per tre anni ha vissuto nella città tedesca. E i vestiti? «Mi intestardisco, periodicamente, su sfumature di colore che difficilmente riesco a trovare, perché magari in quel momento non sono di moda. Adesso per esempio mi piace un determinato blu. In genere prediligo le tinte scure e detesto il giallo. Non vesto mai in tailleur, preferisco indossare una giacca e un paio di fuseau. E poi vado matta per le sciarpine, ne ho tantissime». Barbara Tutino, compra nei mercati oppure in una boutique di Aosta che si chiama Chez Maurice. Si trucca poco, porta i capelli sciolti. E non si separa mai da una borsa in tela blu da geologo: a bandoliera con un enorme scomparto per le matite. C'è un capo a cui sei molto affezionata? «Sì, è una giacca in velluto a coste con 48 bottoni. L'ho comprata quando avevo 14 anni e continuo a metterla». Considerando che l'artista ha 35 anni è quasi un pezzo da museo. Per la sera Barbara ama indossare i vestitini, così li chiama lei: «Magari in stretch, oppure Anni Quaranta, a fiorellini. Ne ho molti, ma alcuni non oso metterli per uscire: li provo in casa, mi guardo allo specchio e poi li tolgo». Ezio Gribaudo. Quando è all'estero si diverte a scovare indirizzi sfiziosi dove fare acquisti. «Forse la città dove mi sono vestito meglio è Londra. Dodici anni fa capitai in Jermyn Street da Turnbull & Asser, uno stupendo negozio di camicie. Incontrai Bernardo Bertolucci e lo invitai ad entrare. Lui si entusiasmò e comprò un numero spropositato di camicie. Io ero gelosissimo perché ci misi un'ora soltanto per contrattare il prezzo di un modello in seta che posseggo ancora adesso: a righe tenui di tutti i colori». Quando lavora Gribaudo non porta il camice: meglio un paio di pantaloni a coste di velluto e un golf di cachemire tinta miele. «Mi vesto molto per procura, di solito i golf me li regalano i figli. Li trovano da Emerson o da Ruffatti. Mi piacciono quelli di cachemire perché sono caldi, si plasmano addosso, diventano la mia seconda pelle. A Torino vado raramente per negozi. Compro giusto le scarpe, di solito inglesi, da Regina, in via Villa della Regina, e i vestiti da D'Urso. Quando sono al mare invece ho più tempo per dedicarmi allo shopping. Quattro anni fa trovai da Marino, a Santa Margherita, un cappotto di jeans verde oliva, di Johnny Lambs. Piacque a molti, tanto che un amico francece voleva che glielo vendessi, ma io rifiutai. Mi affeziono ai vestiti, diventano degli status symbol personali». Un tempo Gribaudo esibiva spesso ampi cappelli neri: «Era un vezzo. Li sottraevo a mia moglie. Adesso metto una casquette a quadrettini soltanto per ripararmi dal freddo. Non ho mai acquistato un cappello, eccetto una volta a Londra: stavo curando una pubblicazione per Francis Bacon e nel tempo libero scovai in un negozio fuori mano una bombetta. Me ne innamorai». A Gribaudo piacciono gli abiti che si sono logorati nel tempo, li conserva suddivisi per tonalità in un armadio in legno, spazioso e razionale. Pierluigi Pusole. «Con i vestiti ho un rapporto tranquillo, il mio stile si potrebbe definire da Balòn, cioè raccogliticcio: insomma, mi vesto con quel che capita. Amo l'usato, ma non per questo mi concio da straccione - dice scherzando l'artista ventottenne -, anzi, spesso non disdegno completi seriosi, a cui magari abbino un paio di irriverenti scarpe da pallacanestro». Pierluigi Pusole, però, è ancora più originale di quanto appaia. Gratta gratta viene fuori che qualche anno fa non ha resistito alla tentazione di tempestare il suo nuovo «Chiodo» con ima miriade di monete da cento lire: «Mi diverte personalizzare un capo qualunque. Diverse settimane fa, per esempio, ho comprato un giubbotto di pelle usato. Appena arrivato a casa l'ho messo sul cavalletto e ho cominciato a dipingerlo sul dietro come fosse una tela bianca». Fa una pausa e aggiunge: «A dire il vero ci sono pochi capi che conservo così come sono, giusto i jeans». Ma sui giubbotti si scatena: con «artistica tranquillità», s'intende. Antonella Ama pane Emanuela Minucci In alto Ezio Grilxiudf) accorilo liarimra Tutina, sotto Carol Ruma fotografata da Carla Corali

Luoghi citati: Aosta, Berlino, Londra, Torino