GENET, IL «MALEDETTO»

GENET, IL «MALEDETTO» OMAGGI GENET, IL «MALEDETTO» Ifilm ispirati alle sue opere e «Chant d'amour» restaurato IL concorso lungo e cortometraggi costituisce il momento spettacolare del Festival, lo specchio che riflette gli umori e le tendenze dei cineasti omosessuali alle prese con la propria creatività. La sezione dedicata ai Documenti ne rappresenta le istanze politiche più dirette, il bollettino dello «stato delle cose» vissute dal movimento. Ma è con ^Omaggio a Jean Genet» che il Festival gioca la sua proposta culturale di maggior respiro, offrendo un contributo di valore alla conoscenza di una delle figure più significative e discusse della letteratura francese contemporanea: autore «maledetto» per scelta e per vocazione, condannato a una marginalità perseguita e destinata a perdurare nonostante i molteplici riconoscimenti ufficiali (Cocteau, Gide e, soprattutto, Sartre che lo ritrasse «santo e martire», in un famoso saggio degli Anni 50). Figlio di padre ignoto, abbandonato dalla madre alla nascita, allevato in un riformatorio dal quale evase per-arruolarsi nella Legione Straniera, disertore e incarcerato a più riprese per furto, ergastolano graziato per intercessione di un gruppo di intellettuali, autore di romanzi e testi teatrali «scandalosi», militante della sinistra rivoluzionaria nonché omosessuale dichiarato, Genet incarna nelle sue forme più radicali l'impegno e la coerenza personali, vissute fino in fondo quali esperienze globali e totalizzanti. Per il cinema scrisse i dialoghi di «Goubbiah» di Robert Darène (1955) e la sceneggiatura di «Mademoiselle» di Tony Richardson (1965), che si vedran¬ no nella rassegna. Ebbe una sola esperienza come regista, ma di straordinario valore: un cortometraggio dal titolo «Un chant d'amour» (25 minuti, 1950), giustamente ricordato come uno dei capolavori del cinema omosessuale e riproposto dal Festival torinese nella copia restaurata a cura del Bfi, muta e senza accompagnamento musicale, così come Genet l'aveva concepito e realizzato. L'«Omaggio» si articola poi in tredici film (corto e lungo metraggi) ispirati a Genet o ai suoi lavori e quattro documentari che raccolgono interviste e materiali riguardanti la sua vita e la sua attività. Si comincia con «Fireworks» (1947) di Kenneth Anger che rivendica una sua pretesa influenza proprio su «Un chant d'amour», e si prosegue con i film tratti dalle sue opere: «The Balcony» di Joseph Strick (1963), «Possession du condamné» di Albert-André Lheureux (1967), «The Maids» di Chris Miles (1975) e il celeberrimo «Querelle» di Fassbinder (1982). Si rifanno invece a Genet in modi diversi - per citazioni, rimandi, omaggi debiti e riconoscimenti - gli altri film, tra i quali vale la pena di citare almeno «Les abysses» (1962) di Nico Papatakis (amico e produttore dell'unico film di Genet), il molto curioso «Deathwatch» di Vie Morrow (1965) dal cast sorprendente (Léonard Nimoy e Paul Mazurski), «Le sphinx» di Thierry Knauff (già visto a Cinema Giovani), il recente «Poison» (1991) di Todd Haynes, che è già un piccolo cult nei circuiti indipendenti di mezzo mondo e il cui ultimo episodio è più che un omaggio al «Chant d'amour» di Genet, e l'inedito «Sur un air de guitare» di Antoine Bourseller, qui in prima mondiale. Peccato che manchi «Les equilibristes» di Papakatis, negato al Festival dal distributore italiano: miopia, pregiudizio o calcolo commerciale (sbagliato)? L'omaggio a Genet è anche l'occasione di due importanti collaborazioni che suonano come un riconoscimento per la manifestazione torinese avviata al definitivo superamento delle preconcette ostilità iniziali. La prima consiste nella serata prodotta dal Teatro Stabile di Torino che prevede la lettura di un testo inedito di Genet, «Fragments», a cura di Luca Ronconi (lunedì 6 aprile, al teatro Carignano). La seconda consiste in una mostra realizzata dal Centra Cultural Francais dal titolo «Les combats de Jean Genet» (fotografie, edizioni originali delle opera, pagine manoscritte), la cui inaugurazione sarà preceduta da una tavola rotonda in programma per lunedì 6 alle ore 16. Alberto Barbera

Luoghi citati: Torino