QUIGINARD IN CONCERTO

QUIGNARD IN CONCERTO «Tutte le mattine del mondo», un apologo musicale QUIGNARD IN CONCERTO Una viola per spiegare la vita LÉk ULTIMO romanzo ^ di Pascal Qui/ gnard, Tutte le mattine del mondo, è uno di quei piccoli capolavori di sobrietà, di semplicità, di misura che proprio dall'eccezionale parsimonia dei mezzi traggono la loro infinita suggestione. Parla, come quasi tutti i libri di Quignard, dell'essenza e del mistero della musica, e, per parlarne, fonde in uno due degli apologhi che lo scrittore aveva raccontato ne II giovane macedone: quello di Mann Marais che si era dedicato allo studio della viola da gamba per consolarsi del dolore di essere stato espulso dalla cantoria di Samt-Germain-l'Auxerrois al momento della muta della voce e quello di Po-Ya che era diventato il più grande musicista del mondo solo dopo che il suo maestro Tch'en Lien era riuscito a fargli capire, con i metodi più burberi e mortificanti, che non bisogna cercare la vera musica nella perfezione di uno strumento ma solo dentro se stessi. Qui, a comprendere e al tempo stesso a rifiutare questa dura lezione, è lo stesso Marin Marais che, appunto per iniziarsi ai segreti della viola, cerca di farsi accogliere come allievo da SainteColombe, un appartato e burbero maestro che con quello strumento, a cui aveva aggiunto una settima corda, «riusciva a imitare tutte le inflessioni della voce umana». Sainte-Colombe è un uomo silenzioso e collerico che la morte della giovane moglie ha precipitato in una cupa disperazione. Vive con le due figlie in una casa isolata sulle rive della Bièvre, alternando lunghe ore di studio nel capanno che si è fatto costruire sopra un gelso a concerti con le fighe a cui ha insegnato tutti i segreti della sua arte. Frequenta poche persone. Esce solo per andare dal liutaio e per far visita a qualche fedele amico del disciolto gruppo di Port-Royal. Si è rifiutato di esibirsi di fronte a Luigi XIV e ha messo brutalmente alla porta i due gentiluomini che a suo nome erano venuti a invitarlo al Louvre. Non è fatto per intendersi con Marais né con chiunque altro non condivida la sua concezione severa, ascetica della musica. Il sodalizio tra i due infatti si spezza quando il giovane allievo - che gli ha sedotto le fighe e gli ha sottratto quanto poteva dei segreti del suo virtuosismo - gli confessa di essersi esibito di fronte al re. Da allora Sainte-Colombe se ne starà sempre più caparbiamente arroccato sul suo gelso a ricavare suoni sublimi dal sapiente sfregamento di budelli e crini e ad attendere le visite consolatrici del fantasma della moglie; intanto Marais brucerà tutte le tappe di una carriera prodigiosa di compositore e di interprete. Ma il successo mondano non gli cancellerà una penosa sensazione di insufficienza e di spreco. Più volte, di notte, nascondendosi per delizia ed espiazione sotto il gelso deDa Bièvre, avrà la conferma che la vera, inarrivabile perfezione è quella che si raggiunge con l'approfondimento e con la rinuncia. Tema del romanzo è dunque il contrasto tra due modi opposti di concepire la musica, un contrasto che, al livello di una delle arti che più hanno illustrato l'età barocca, ripete quello tra le due concezioni di vita che l'hanno più profondamente segnata, quella giansenistica e quella ge¬ suita. Quignard lascia quest'ultimo su uno sfondo che riesce con pochi, dosatissimi tocchi a delineare e, almeno in apparenza, concentra ogni sforzo nel costruire un carattere e una storia sulla base delle scarne notizie che i documenti hanno tramandato: di Sainte-Colombe non si conoscono né il nome né le date della nascita e della morte e fino al 1976, quando nella biblioteca di Alfred Cortot si sono trovati sessantasette suoi «Concerti per due viole», della sua musica si era perduto anche il ricordo. In realtà, più che da quegli esili sussidi biografici, carattere e storia traggono linfa da questa musica ritrovata e se ne offrono quasi come un correlativo narrativo. Anziché cimentarsi nella virtuosistica operazione di mimesi stilistica che le sue competenze di musicista e di romanziere gli avrebbero forse consentito, Quignard ha giocato sulla discrezione e sulla misura, limitando all'essenziale la parte delle paroi le e procurando che fossero gli ampi spazi del silenzio a saturarsi della musica di Sainte-Colombe, delle sue fighe, di Marin Marais, come se quello fosse il vero messaggio da trasmettere e alle parole non potesse toccare altro compito che quello di disegnarne i contorni, di fissarne l'impronta in negativo. Come sia riuscito in questa impresa - che è poi quella di restituire l'esuberanza barocca attraverso la compostezza «classica» - è uno dei più bei misteri del libro e per cercare di penetrarlo bisognerà attendere che si attenui un poco l'effetto della sua suggestione. Certo si dovrà indagare sul respiro breve della frase, sull'aggettivazione parca ma mai ovvia, sulle accelerazioni della narrazione e su certe sue inattese soste sui dettagli. E forse si scoprirà che non è per mero capriccio che lo scrittore ha nascosto nel fluire della sua prosa alcuni tra i più bei versi di Racihe, spezzando, per meglio camuffarli, nelle battute pronunciate da due diverse attrici su un palcoscenico di terz'ordine la confessione che il personaggio di Nerone fa del proprio amore nel secondo atto di Britannico. Per il momento non rimane che assaporare questo rarissimo effetto. E conviene affrettarsi a gustarlo. Il libro infatti arriva in Italia insieme con l'omonimo film di Alain Corneau che ha ispirato e, se si aspetta a leggerlo quando Sainte-Colombe avrà assunto i tratti di Jean-Pierre Marcile e Marin Marais quelli di Gerard Dépardieu, soprattutto quando ogni loro comparsa sulla scena richiamerà alla memoria le note della viola da gamba di Jordi Sa vali, rischia di fare la figura di un esile, evasivo «soggetto». Non è una perdita per il solo Quignard. La musica più sublime non ha mai la purezza di quella che si invoca nel proprio silenzio interiore, le immagini più veritiere non hanno la suggestione dei fantasmi evocati dalle parole, le inquadrature e le sequenze cinematografiche che meglio ricreano l'incanto di un'atmosfera perduta non sanno dire con l'infinito struggimento di una frase di romanzo aie «tutte le mattine del mondo sono senza ritorno». Giovanni Bogiiolo Pascal Quignard Tutte le mattine del mondo trad. di Graziella Clllario Frassinelli.pp. 114, L 21.000 Un 'immagine delfilm di Alain Corneali ispiralo al romanzo di Quignard

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