Bovet, signore della scienza che vinse le malattie infettive

Bovet, signore della scienza che vinse le malattie infettive E' morto a Roma il premio Nobel per la medicina, a lui si deve la scoperta dei sulfamidici Bovet, signore della scienza che vinse le malattie infettive DANIELE Bovet si trasferì in Italia nel 1946, ingaggiato dall'Istituto superiore di Sanità che il direttore, professor Marotta, desiderava assumesse grande importanza scientifica. Bovet proveniva dall'istituto Pasteur di Parigi. Vi era stato assunto come ricercatore nel 1929, assegnato allo staff del professor Ernest Fourneau. In questo laboratorio lavoravano fra gli altri Federico e Filomena Nitti, figli dello statista italiano che, antifascista, inviso ai nazionalisti e volgarmente insolentito da D'Annunzio, era riparato in Francia nel 1925. Questo gruppo di ricercatori lavorò per oltre dieci anni sulle proprietà antibatteriche delle aniline. Frattanto il tedesco Domag aveva scoperto che ima polverina rossa battezzata «prontosil», usata fino allora come colorante nelle industrie tessili e appartenente alla classe delle aniline, faceva strage degli streptococchi. Nel mondo intero non si parlò d'altro. Tuttavia gli studiosi continuarono le ricerche perché il «prontosil» aveva uno strano comportamento: non uccideva gli streptococchi nelle colture ma soltanto nell'organismo umano o animale. Il mistero fu chiarito da Bovet e compagni. Fra il 1935 ed il 1937 essi dimostrarono che l'effetto del «prontosil» era dovuto alla sua scomposizione nell'organismo, per cui si liberava una sostanza molto più semplice, la sulfanilamide. Era dunque questa, e non il «prontosil» per se stesso, il fattore terapeutico. «La sulfanilamide - raccontò Bovet - fece miracoli: ricordo ancora con emozione il caso d'un medico il cui figlio, affetto da meningite streptococcica, era condannato. Egli chiese di poter iniettare la sulfanilamide di cui aveva sentito parlare e fu un successo folgorante». L'identificazione della sulfanilamide ebbe conseguenze di immensa portata perché sostituendo opportunamente nella formula atomi o gruppi di atomi si ottennero diversi composti, i sulfamidici, con i quali si raggiunse lo scopo di estendere l'efficacia terapeutica a molte infezioni oltre a quelle streptococciche. Era nata l'era della chemioterapia delle malattie infettive (gli antibiotici sarebbero stati scoperti più tardi). Bovet però non ebbe il Nobel per queste sue ricerche. Il premio gli fu conferito nel 1957 con questa motivazione: «Per le sue scoperte in relazione a composti sintetici che inibiscono l'azione di alcune sostanze nell'organismo, e soprattutto alla loro azione sul sistema circolatorio e sui muscoli». Bovet lavorava allora a Roma nell'Istituto superiore di sanità. A Parigi aveva sposato la sua collega di laboratorio Filomena Nitti, che fu sempre collaboratrice del marito. Alla fine della gueira la famiglia Nitti desiderava tornare in Italia, dove lo statista riprese l'attività politica (morì nel 1953). Bovet non aveva con la Francia legami profondi e accettò l'invito dell'Istituto superiore di sanità. Qui continuò a sperimentare su una sostanza famosa, il curaro, il terribile veleno nel quale intingevano le frecce gli indios del Sud America e che blocca gli stimoli nervosi. Il curaro, la «morte volante», servì dunque per studiare il sistema nervoso. Nel 1941 si ebbe l'audacia di introdurre il curaro in chirurgia per determinare un rilasciamento, un «sonno muscolare» che permettesse di diminuire le dosi degli anestetici riducendone al tempo stesso la rigidità e la resistenza dei tessuti muscolari. Bovet identificò il nucleo attivo del curaro naturale e, semplificando sempre più la molecola, sinte¬ tizzò preparati aventi il massimo di efficacia ed il minimo di tossicità. Altri suoi studi che cumulativamente gli fruttarono il Nobel sono quelli sugli antistaminici, farmaci capaci di bloccare la istamina, sostanza alla quale sono dovuti i sintomi delle allergie. Egli preparò uno degli antistaminici più completi. Quando si fece libera la cattedra di farmacologia dell'Università di Roma Bovet vi concorse. La baronia universitaria entrò in allarme: come rifiutarla ad un premio Nobel? Ma sulla cattedra romana vi erano altre mire. A Bovet fu proposta quella di Sassari. Egli accettò dicendo con molta eleganza che una piccola città era più favorevole allo studio. Andò poi a Roma dopo qualche tempo. Sempre elegante, cravatta a farfalla, era un uomo estremamente gentile, un vero signore, modesto e schivo. Ulrico di Aichelburg ROMA. Il premio Nobel per la Medicina, Daniele Bovet, è morto l'altro ieri a Roma. Aveva 85 anni. Svizzero di nascita, viveva in Italia dal 1947 e dal '48 aveva preso la cittadinanza. Su richiesta di Bovet non ci saranno funerali pubblici, ma una cerimonia privata e una commemorazione ai Lincei la prossima settimana. «Il Paese ha un duplice grande debito di riconoscenza verso di lui - è scritto nel messaggio inviato alla vedova da Nilde lotti - per le scoperte scientifiche che hanno consentito tanti e così importanti progressi della medicina. E per la sicura, sofferta fede nei valori della libertà e della democrazia». Rita Levi Montale ini si è detta «addolorata e commossa per la morte di una delle maggiori figure della scienza di questo secolo. E' stato un personaggio eccezionale. Sia dal punto di vista scientifico, sia da quello etico e morale, per il suo antifascismo fervente, il suo impegno contro le guerre». «Bovet onorò il nome dell'Italia nel mondo e legò la sua opera a fondamentali scoperte nel campo della medicina», ha dichiarato il presidente del Senato, Giovanni Spadolini, che ha inviato un messaggio alla vedova del Premio Nobel.