«Il clan dei catanesi non è mafioso»
«Il clan dei catanesi non è mafioso» La Cassazione spiega perché ha detto no alla sentenza di Torino: i giudici non hanno provato le loro affermazioni «Il clan dei catanesi non è mafioso» Per là Suprema Corte la banda era solo una organizzazione a delinquere Ha compiuto 61 omicidi, 4 sequestri, rapine, vari ferimenti e estorsioni Il clan dei catanesi non è un'associazione a delinquere di stampo mafioso perché nessun giudice è riuscito a dimostrare che quell'organizzazione avesse una «forza di intimidazione» tale da provocare all'esterno «soggezione e omertà». I pentiti che sono stati il cardine dell'accusa nell'inchiesta contro la banda dei fratelli Miano, non erano «affidabili» e quindi i giudici torinesi avrebbero dovuto cercare riscontri oggettivi alle loro parole. Sono questi, in sintesi, i motivi per cui il 27 febbraio scorso la prima sezione penale della Corte di Cassazione (presieduta da Corrado Carnevale) ha annullato la sentenza della Corte d'assise d'appello di Torino che, nel novembre '90, aveva inflitto 11 ergastoli e 76 anni di carcere (in primo grado erano stati dati 26 ergastoli e 104 anni di carcere). Sessantuno omicidi, quattro sequestri di persona, rapine, ferimenti, estorsioni, traffico di eroina e cocaina: una vera e propria antologia del crimine, un decennio di Torino nera trascorso sotto il dominio del clan dei catanesi, non è bastato per affermare l'esistenza di un'organizzazione mafiosa. I giudici torinesi si sono limitati, secondo la Cassazione, ad esaminare la posizione dei singoli imputati e ad accertare il loro inserimento nella banda: non hanno, invece, indicato le ragioni per cui a quell'associazione dovesse essere attribuita la natura di mafiosa. La Corte d'assise d'appello avrebbe dato per scontata la natura di questa, «rinviando sostanzialmente alle osservazioni formulate nella sentenza di primo grado». Del resto anche la Corte d'assise, pur partendo da una «corretta premessa», non era giunta, secondo la Cassazione, ad «un'altrettanto corretta conclusione» su questi requisiti. L'associazione di stampo mafioso è «caratterizzata dalla forza di intimidazione intesa come capacità di incutere nei soggetti passivi il timore di gravi aanni». Per tale forza i soggetti passivi si vengono a trova¬ re «in uno stato di sottomissione all'associazione» e «di rifiuto a forme di collaborazione con gli inquirenti». L'errore dei giudici torinesi starebbe «nell'aver riferito queste due condizioni (assoggettamento e omertà) ad alcuni degli associati e non all'ambiente esterno, ai soggetti in danno dei quali si dirige l'azione delittuosa». Per la Cassazione non esisteva a Torino il riscontro di un «diffuso assoggettamento e di una generalizzata omertà»: sono stati commessi «tanti fatti estorcivi ma non risulta che le persone offese abbiano prestato il loro forzato consenso alle dazioni perché intimidite da vincolo associativo non conoscendo le stesse persone neppure l'esistenza di un'associazione». L'altro punto centrale delle motivazioni, redatte dal giudice Paolino Dell'Andro, è l'attendibilità dei pentiti che diedero avvio all'inchiesta nel settembre del 1984: Salvatore Parisi, i fratelli Ciccio e Roberto Miano, Salvatore Costanza, Vincenzo Tornatore, Antonino Saia e al¬ tri. Ebbene, secondo la Cassazione, erano stati proprio i giudici della Corte d'assise d appello di Torino ad escludere per questi pentiti il requisito dell'attendibilità. Non avevano infatti creduto alle loro dichiarazioni riguardanti alcuni delitti. La Cassazione ha mantenuto il numero degli ergastoli inflitti dai giudici di merito, ma con la sua sentenza, che ha negato la natura mafiosa, ha snaturato il vero volto del clan. Toccherà ora ad un'altra sezione dell'assise d'appello di Torino rifare il processo nel quale i 47 imputati dovranno rispondere ancora di associazione a delinquere di stampo mafioso. I giudici di merito dovranno però motivare diversamente l'accusa. Nino Pietropinto ti giudice Corrado Carnevale, presidente della prima sezione penale dèlia Corte di Cassazione che ha annullato la sentenza sul clan dei «catanesi»
Persone citate: Antonino Saia, Corrado Carnevale, Miano, Nino Pietropinto, Paolino Dell'andro, Roberto Miano, Salvatore Costanza, Salvatore Parisi, Vincenzo Tornatore
Luoghi citati: Torino
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