Cuneo fra le bianche macerie dc

Cuneo, fra le bianche macerie dcIl vento di Bossi ha spazzato via quarant'anni di dominio incontrastato Cuneo, fra le bianche macerie d «Ci ha fregati l'immagine del Palazzo romano» REPORTAGE NELL'EX FEUDO DELLO SCUDO CROCIATO CUNEO DAL NOSTRO INVIATO Piove sul bagnato in piazza Galimberti, domenica i voti leghisti, oggi pioggia e veleni nelle stanze del grande potere bianco, qui dove il crollo democristiano è davvero un caso nazionale, perché per 45 anni la de è stata tutto: partito, banche, sindacato, lavoro, divertimento, fede e politica, storia e cultura, potere e amministrazione. Meno 12 a Cuneo e Alba, meno Ila Mondovì, Fossano e Saluzzo, meno 9 a Savigliano, meno 8 a Bra. Il bollettino meteo del 6 aprile segna tempesta, come una maledizione contadina di primavèra, l'unico orizzonte bianco che si intravede da viale degli Angeli è quello dell'Argenterà coperta di neve, bassa come non si vedeva da tanti anni. Fa freddo e piove. Dalle vetrine di Arione, pasticceria legni e specchi, non sembra, ma Cuneo possente e paziente sabato notte si è addormentata democristiana e lunedì si è svegliata bossista, proprio qui, dove il Bossi lo hanno visto una volta sola, più di un anno fa al cine teatro Monviso, pieno almeno quanto era stato vuoto due settimane prima per Ciriaco De Mita. Non c'è stato bisogno di lui e neanche di Farassino, è bastato il Domenico Cornino di Morozzo, 37 anni, laureato in Agraria, insegnante, suonatore di tromba nella banda del paese, figlio di Matteo, sindaco liberale per tanti anni. Venti per cento a Cuneo e Fossano, 23 a Saluzzo, 18 a Savigliano, 16 ad Alba, 15 a Bra. Tempo bello su tutto il fronte; benissimo a Morozzo: 37 per cento alla Lega, 20 alla de, 1,8 al pds, lì dov'è nata Livia Turco. Proviamo alla Coldiretti, nel nuovissimo palazzone vetri e moquette al mercato boario, simbolo di un potere che non tramonta (il 90 per cento delle imprese agricole è"tserittb'Hial momento che i due candidati contadini sono stati.tranquillamente rieletti, anzi rielettissimi come ci spiega il senatore Natale Carlotto (slogan elettorale: fatti, non parole), alto, elegante con il suo panciotto grigio, cordiale nella calda stretta di mano, sereno: «Sì, sono stato il primo elètto in Piemonte, in un collegio difficile, a Mondovì, dove soffiava il vento della Lega e quello liberale di Raffaele Costa. E' andata benissimo anche la nostra Giovanna Tealdi, che ha preso più voti dell'altra volta. Noi abbiamo le radici ben piantate nella gente». Carlotto, che è di Ceva, dove il bollito del ristorante - purtroppo - non è più quello di una volta, dice che lui l'aveva annusata la batosta de: «Sa com'è, io al mattino ho l'abitudine di andare al mercato e di girare i bar. E si capiva benissimo che la Lega avrebbe preso il 20 per cento, si capiva che vinceva quello stato d'animo che porta a scelte che vanno oltre i ragionamenti. Ma io dico: meglio il voto alla Lega del non voto. Finché votano stanno dentro al sistema». Da buon democristiano Carlotto pensa già al dialogo: «Cornino lo conosco, lo conoscono i contadini perché suo padre distribuiva il carburante agricolo, è giovane, è vergine, è bravo, può bilanciare l'egoismo cittadino della Lega, avrà delle cose da dire e noi lo dobbiamo ascoltare perché tante volte crediamo di sapere e invece non sappiamo». Carlotto, vecchio leone, tutto sommato, il voto l'ha già archiviarti; "mentre a Busca, invece, Teresio Delfino, fino a 19 anni in seminario, ora sposato e padre, di sei figli, si sta ancora godendo l'elezione. Sinistra de di Forze Nuove, Delfino ha raccolto il voto cattolico: parroci, associazioni, boy scouts, volontari. La faccia del «rinnovamento», insomma, capace anche di battere (per 7 mila voti di preferenza) un sottosegretario vecchio di due legislature come Ettore Paganelli, trombato nella sua Alba, dove ha svolazzato anche un corvo: lettere anonime di provincialissimo pecoreccio contro il povero avvocato. Delfino è «sereno». Bisognava cambiare la squadra de, dice, «non l'hanno fatto». Salvo il voto agricolo, salvo quello cattolico, cosa è successo dunque alla de cuneese? Nel suo piccolo ufficio di buon antiquariato, accanto al quadro che conserva la medaglia d'oro di Cuneo città martire della Resistenza, il sindaco Giuseppe Menardi minaccia ultimatum: «Se il partito deve solo reggersi sulle stampelle del voto di chiesa e quello del sindacato agricolo, non fa più per me. E' ora di pensare in grande e voglio provarci adesso che sono sulla soglia dei 40 anni: se no, torno alla mia professione di ingegnere, visto che un mestiere ce l'ho; altrimenti, tra 8 anni, mi troverò qui a tentare di picchettare il mio pezzetto di potere». Che significa pensare in grande? Ragiona Menardi: «Se risolviamo i problemi della gente, possiamo anche perdere consenso. Ma il nostro modo di far politica deve essere questo». E invece, fa capire, qui siamo fermi in un blocco di potere che da due anni ha congelato lo stesso uomo (Giacomo Oddera, albese, corrente Goria) alla contemporanea presidenza di Cassa di Risparmio e Camera di Commercio. Fermi ad una società civile dove i dentisti figli usano ancora lo stesso trapano del padre; alla grande industria che conta sulla sopravvivenza della Michelin, a quella piccola e media che esporta il 60 per cento nel Terzo Mondo perché negli altri mondi non ce la fa. A un'agricoltura che, come nel Sud, ha scoperto le sovvenzioni Cee per i pioppi sui terreni incolti: 400 mila lire per ettaro, un lusso. «Cari amici - dice Menardi - dobbiamo offrire alla città la speranza di una nuova classe dirigente o è la fine». Al piano terreno di viale degli Angeli, nel quartier generale de, l'avvocato Giuseppe Giordana, il segretario, ha persino voglia di scherzare: «Questa era la stanza dei bottoni, ma ora è rimasta solo l'asola». Però non ha perso l'orgoglio: <(Alle regionali del 90 siamo andati benissimo; quest'anno ci ha fregato l'immagine nazionale del partito. Qui si vive bene, se va all'ospedale di Cuneo se ne rende conto, mica come alle Molinette di Torino. Qui gli anziani sono assistiti, le scuole funzionano, tutto quello che dipende dagli amministratori de¬ mocristiani va bene. D'altra parte la Lega è nata a Milano, dove c'è tutto, a Brescia, che è un esempio riconosciuto di buongoverno de. Se la protesta fosse contro il governo locale, la Lega doveva fare il pieno a Napoli o a Palermo, altro che a Cuneo». " Alberto Leone, giovane assessore di Savigliano, ricorda ancora quella sera al teatro Milanollo, dibattito sulle riforme con De Mita e l'ideologo leghista Gianfranco Miglio, le urla, gli insulti, le proteste contro De Mita. «Li abbiamo visti tutti, prima, a cena alla Gran Baita. Si muovono da squadristi, erano venuti da Alba, Bra, Cuneo; si sono piazzati in punti diversi della sala e si sono messi a urlare». Dunque solo squadristi ex fascisti? «No dice Leone - attenzione: quelli sono pochi, gli altri che votano, sono ì nostri vicini di casa. E siamo sinceri, i nostri quadri non si sono mobilitati contro la Lega perché la pensano come loro. Li abbiamo visti ad Alba, quasi contenti perché il professor De Rosa aveva preso pochi voti. Io sono sicuro: ogni volta che in tv compaiono Andreotti e Gava perdiamo voti. Se De Mita parlasse italiano, andrebbe benissimo. Purtroppo parla avellinese». «Io - dice Giordana - di fronte a tutto questo individualismo, continuo a preferire la politica della solidarietà: la Sicilia è in Italia, non deve andare con Gheddafi». Coraggio avvocato, ci dica chi ha votato per la Lega, «Come a Brescia e a Milano i ricchi, i professionisti che stanno intorno al notaio Musso, gli av- vocali amici dell'avvocato Vercellotti che ha la villa a Malindi, i bei nomi dei circoli del golf di Cherasco, di Venasca, di Boves; i frutticoitori di Lagnasco, Cavallermaggiore, Racconigi che in garage, vicino al trattore, hanno parcheggiato la'Mercedes, non i contadini poveri delle valli». Quelli che odiano i cattolici democratici e pensano, aggiunge Leone, che «il bello della vita, come ha scritto il cuneese Giorgio Bocca, sia pisciare nella neve». Sentiamo l'avvocato Vercellotti, brillante penalista, studio in piazza Galimberti, una gioventù democristiana e una maturità liberale: «Sissignore, hovotato Lega, come molti miei colleghi, come moltissimi professionisti. Nell'Italia che cambia, non ci sono più simulacri. Dicono che quelli della Lega sono sconosciuti; io rispondo che quelli della de li conosciamo troppo bene: hanno avuto tutto il potere e non sono riusciti a dare nulla a Cuneo. Ora basta». Ha sentito senatore? Da Roma Franco Mazzola, da tempo fuori dall'orbita dorotea del padre nobile Adolfo Sarti, non si nasconde: «Abbiamo pagato l'immagine nazionale del partito. Da Cuneo dobbiamo premere su Roma per il rinnovamento: Martinazzoli presidente della Repubblica, Segni segretario del partito. A casa i Chini Pomicini e gli uomini della politica come potere. A Cuneo, noi, di scandali non ne abbiamo mai fatti». Cesare Martinetti Il sindaco è pronto ad andarsene «E' assurdo contare solo su Chiesa e mondo agricolo» Il parlamentare della Coldiretti «Meglio votare Lega che disertare l'urna Ora cercheremo di collaborare» Raffaele Costa, deputato liberale eletto nel collegio di Mondovì, uno dei primi «rivali» della de In aito l'avvocato Vercellotti, un tempo de, ora passato alla Lega; qui sopra Giuseppe Giordana, il segretario della democrazia cristiana cuneese Qui sopra Giuseppe Menardi, sindaco di Cuneo; a fianco Natale Carlotto, senatore eletto con i voti della Coldiretti