E Don Chisciotte perde l'ingenuità

E Don Chisciotte perde l'ingenuità Roma: il «Don Quijote» con la regia di Scaparro che aprirà l'Expo di Siviglia E Don Chisciotte perde l'ingenuità ROMA. «Don Quijote - Fragmentos de un discurso teatral» di Rafael Azcona da Cervantes, regia di Maurizio Scaparro, sarà il principale avvenimento per quanto riguarda la prosa nella prima fase di Expo '92 a Siviglia, dove debutterà fra un paio di settimane; se ne può parlare fin d'ora perché è stato presentato in anteprima al Valle (una sola replica), e sarà brevemente portato anche a Napoli. Se ne può parlare in breve, perché altrimenti il discorso sarebbe immenso: in carattere, appunto, con lo spettacolo, che volendo affondare i denti nello sconfinato capolavoro di Cervantes in un'ora e quaranta senza intervallo, sceglie la strada della semplicità, della minimizzazione, dell'antologia; della riduttività, insomma, ma, mi affretto ad aggiungere, in modo tutt'altro che spiacevole. Scaparro e Azcona immaginano dunque che in una specie di grande stalla la cui architettura (di Roberto Francia) richiama un poco quei «corrales» dove si recitava nel Siglo de Oro, una ventina degli episodi più famosi del grande libro vengano un po' recitati un po' vissuti, talvolta assai sbrigativamente e sempre in scioltezza, da un gruppetto di comici-acrobati-ballerini, un paio dei quali suonano sommesse musiche di Eugenio Pennato per chitarra e violino. Qualcosa di simile, insomma, a un teatro popolare di cantastorie - all'inizio infatti un narratore così introduce la vicenda - dove invece del cartellone con le illustrazioni dei vari fatti vengono esibite caste ricostruzioni plastiche dei medesimi, non senza l'uso a volte fantasioso di qualche attrezzo come un carretto, o come il fatidico teatrino dei pupi dove il folle hidalgo si getta al salvataggio della donzella in pericolo (ma coerentemente con lo stile trasognato di tutta la serata, neanche qui avvengono vere violenze, il folle hidalgo si limita a prendere in braccio un pupazzo che poi gli verrà tolto senza che egli opponga resi¬ stenza). Grazie ai colori dei costumi di Emanuele Luzzati, di una vivacità sbiadita che suggerisce il filtro della memoria e della nostalgia, e alle luci calde e affettuose di Teo Escamilla, i contrasti sono smussati; e benché l'occhio abbia di che nutrirsi, i conflitti si svolgono quasi soltanto sul piano verbale, lasciando emergere limpidissimamente la lingua originale, offrendo una esperienza addirittura inebriante a noialtri ascoltatori abituali di traduzioni. Una efficiente piccola troupe affianca i due protagonisti, che si chiamano Josep Maria Flotats e Juan Echanove. Il secondo è il classico Sancho Panza panciuto e tarchiato, e recita con eccellente compostezza gestuale ed ottimo senso del rit¬ mo. Meno tradizionale e per me più eccepibile il Don Chisciotte del primo, fisicamente alto, allampanato e imponente come richiesto dal personaggio. Il cavaliere di Flotats è soprattutto un ingenuo, un bambino che crede alle fiabe, con gli occhi perennemente sgranati e perfino con la goffaggine dei bambini; non ha mai, insomma e per continuare ad essere telegrafici, la fisicità di uno Chaliapine (vedi il film di Pabst) o di un disegno di Daumier. E se Don Chisciotte non è anche un uomo, un uomo vecchio, con i piedi poggiati malgrado tutto sulla terra, perde una dimensione importante. Altissimo gradimento da parte della sala gremita, sonori applausi per tutti. Masolino d'Amico Josep Maria Flotats (Don Chisciotte) e Juan Echanove (Sancho Panza)

Luoghi citati: Napoli, Roma, Siviglia