Kurosawa ultimo imperatore

Kurosawa ultimo imperatore Incontro col regista, 82 anni, sul set di «Madadayo» Kurosawa ultimo imperatore // maestro torna al Giappone delle sue origini 7S] GOTE MBA ■ ' ON Akira Kurosawa, I eravamo abituati al rit1 i rao solenne d'un film V* I ogni cinque anni, che diventava un avvenimento in Giappone e all'estero. Da Sogni in poi, il vecchio imperatore del cinema giapponese ha ritrovato una seconda giovinezza e la fiducia dei produttori giapponesi. Dopo Rapsodia in agosto, ecco il trentesimo film di Kurosawa, Madadayo: il titolo ancora provvisorio è un'espressione infantile del gioco a nascondersi che si potrebbe tradurre «Aspetta un momento!» oppure «Non sono pronto». Si gira a Gotemba, vicino a Tokyo,dove il regista possiede una casa. È' il signor Tokuma, grande industriale dei «media», presidente della società Daiei, a produrre il film, per celebrare i cinquant'anni di carriera del cineasta giapponese più internazionale che debuttò nel 1943 con Sugata Sanshiro: il regista torna così alle origini, nel seno d'una società che ai tempi d'oro aveva prodotto nel 1950 Rashomon, per abbandonare poi Kurosawa alle cure della società Toho sino a Akahige. Per Kurosawa, che ha compiuto il 23 marzo ottantadue anni, Madadayo è innanzi tutto l'occasione di rendere omaggio a uno scrittóre che da giovane amò profondamente, quasi dimenticato dalla generazione attuale, Hyakken Ueluda, morto a Ottantadue anni in un'aura di leggenda. «Ci sarà pochissima azione nel film», avverte il regista; «Racconterò essenzialmente il1 rapporto tra il maestro ("sirllffi^i è i suoi discepoli' ("dSslffT*isffirandomi a molte opere MUcnpa, che fu una specie di fna'ftre.-à-penser per una generazióne letteraria, e che era stato, lui stésso discepolo di Soseki, il grande autore umanista dell'inizio del secolo». La scena girata in un mattino grigio e freddo a Gotemba, non lontano dall'incombente monte Fuji, si svolge negli ultimi giorni della Seconda guerra mondiale, nella primavera del 1945, quando i B-29 americani bombardavano a tappeto Tokyo. Il professor Uchida (Tatsuo Matsumura, l'interprete di Dodeslca-denwe sua moglie (Kyoko Kagawa, attrice memorabile di Mizoguchi, Ozu e Kurosawa), parlano nella loro casetta sfuggita alla rovina, sotto un prugno fiorito: si può immaginare una scena più giapponese? «In una casa m minia¬ tura simile a questa - spiega Kurosawa -, Uchida viveva con sua moglie, senza alcuna comodità, e spesso i discepoli venuti ad ascoltarlo dovevano restare fuori, esposti alle intemperie». Si potrà ancora dire che Kurosawa è un cineasta «occidentalizzato» che ignora la cultura giapponese? Attorno al cineasta circolano i collaboratori consueti: Ishiro Honda, l'ex regista di tJodzilla e degli altri mostri della Toho, divenuto da qualche anno consigliere personale di Kurosawa per le questioni tecniche; Kazuko Kurosawa, la figlia del regista che sovrintende ai costumi e Hisao Kurosawa, il figlio che si occupa della Kurosawa Productions (è soprattutto lui, dicono, a spingere il padre a girare ancora). Ecco dunque Kurosawa tornato al suo tema consueto, l'apprendimento e il rapporto che lega il maestro e i suoi emuli, come in Akahige e in tante altre opere. Sarà un caso che s'interessi a uno scrittore che privilegiava la morale e i valori spirituali facendo una vita ritirata e modesta, invocando un umanesimo attivo? Sicuramente Kurosawa s'identifica in parte con questo personaggio specialissimo nel pa¬ norama letterario giapponese, in particolare s'identifica nei rapporti di lui con i discepoli. Considerato un maestro a Parigi come a Londra o a New York, ha pure lui dei «deshi», degli allievi? Oggi in Giappone è considerato un uomo del passato dal pubblico colto, irritato dal fatto che quello di Kurosawa sia l'unico nome giapponese celebre all'estero, e uno dèi suoi più amari rimpianti è appunto la mancanza di eredi artistici. Constatazione malinconica: «Nessuno dei miei assistenti è riuscito a diventare un vero cineasta». Di qui, forse, l'ossessione metaforica, in molte sue opere, del tema della trasmissione del sapere, di fronte a un Paese e a un cinema che sempre più gli sfuggono. Nessuno oggi si richiama a Kurosawa altro che per rispettarlo come una specie di «tesoro nazionale vivente» (è un titolo ufficiale usato in Giappone, ma a lui non è stato attribuito) oppure per almanaccare sull'ammirazione occidentale colpita da oltre quarant'anni dalla sindrome di Rashomon. Del resto il cinema giapponese non sta meglio, e nonostante l'apparizione di alcuni giovani indipendenti è sempre più difficile trovare nelle opere recenti qualcosa che s'avvicini a un vero film: anche in Giappone la televisione, i videoclip e la pubblicità hanno scavato il terreno sotto i piedi al cinema di qualità. Anche quest'anno, non ci sono che dilemmi angosciosi: Oshima riuscirà finalmente a girare il suo film sugli ambigui rapporti tra Rodolfo Valentino e Sessue Hayakawa nella Hollywood degli Anni Venti, HollyViròód Zen con !,Ryuìchi Sakamoto e Antonio Banderas? Riuscirà Imamura, dopo il cocente fiasco di Pioggia nera, a realizzare il prossimo film sulle sue esperienze giovanili del dopoguerra nel quartiere di Shinjuku?... Nel contesto deviante e deprimente d'un Paese in cui il valore-cinema è inversamente proporzionale all'opulenza materiale nazionale, non stupisce che il Giappone, con l'occhio all'Europa, moltiplichi le operazioni di import-export cinematografico: il festival di Tokyo, che intende assolutamente inserirsi tra le grandi manifestazioni cinematografiche, diventa annuale, si moltiplicano i piccoli festival. Intanto, Kurosawa gira... Max Tessier Copyright Le Monde/La Stampa Protagonista uno scrittore che si ritira in campagna a educare i suoi allievi mentre bombardano Tokyo Qui accanto: Richard Gere In «Rapsodia in agosto». A sinistra: Kurosawa. In alto: il regista sul set di «Madadayo»