Il balletto delle 3 Chiese di Sergio Romano

Il balletto delle 3 Chiese Mosca di fronte al Vaticano Il balletto delle 3 Chiese UANDO Agostino Casaroli, allora segretario di Stato, andò a Mosca nel 1971 per depositare lo strumento di adesione della Santa Sede al trattato di non proliferazione, non fu ricevuto da Gromyko e dovette accontentarsi di un glaciale incontro con Kuroedoy, presidente del Consiglio per gli affari religiosi. I sovietici tenevano contatti con il Vaticano a Roma ed erano disposti a tollerare un certo commercio spirituale fra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, ma non erano pronti a riconoscere la Santa Sede come «potenza» internazionale e a garantirle un diritto diplomatico d'intervento nelle loro faccende religiose. Quando tornò a Mosca nel 1988 per il millesimo anniversario del battesimo della Rus' di Kiev, Casaroli fu l'unico dei delegati stranieri a cui Gorbaciov dette un'udienza particolare, e i sovietici spiegarono la preferenza osservando che il cardinale, dopo tutto, era il Primo ministro d'uno Stato Sovrano. In meno di vent'anni avevano completamente rovesciato la loro posizione. E oggi infine apprendiamo dalla penna di Gorbaciov e dalle labbra di Giovanni Paolo II che il loro incontro a Roma, nel novembre 1989, fu epocale e storico, come usa dire di tutti gli avvenimenti che riescono ad attraversare per qualche giorno le forche caudine della disattenzione universale. Per raccapezzarsi fra segnali tanto contraddittori conviene fare uh passò indietro è cominciare dall'inizio. : .!?'•■!; aguale miaò?! Il giorno,' nel 1439, in cui Basilio II, gran principe di Mosca, rifiutò di. avallare gli accordi ecumenici del Concilio di Firenze? O il momento, trent'anni dopo, in cui Ivan III sposò la nipote dell'ultimo imperatore di Bisanzio, si atteggiò a protettore della cristianità ortodossa e proclamò che Mosca era la «terza Roma»? O gli anni, alla fine del Settecento, quando i gesuiti, soppressi da papa Ganganelli, trovarono asilo, ironicamente, nella Russia imperiale? O ancora il 1917 quando la Santa Sede sperò davvero che la doppia rivoluzione - quella demomassonica del febbraio e quella bolscevica dell'ottobre - avrebbe permesso a Roma la «riconquista» apostolica della terra russa? Andrea Riccardi, professore di Storia del cristianesimo all'Università di Roma, ha scelto una data più vicina. Nel libro // Vaticano e Mosca, che appare in questi giorni presso Laterza, ha ricostruito l'ultimo atto di questo grande dramma storico: quello che inizia con la Seconda guerra mondiale e termina con il collasso dell'Unione Sovietica. Nei primi anni della guerra fredda la Chiesa, sotto il papato di Pio XII, non ebbe dubbi né sulla natura del comunismo né sul modo di combatterlo. Lo aveva condannato nel 1937 con l'enciclica Divini Redemptoris e gli lanciò addosso il fulmine della scomunica con il decreto del Sant'Offizio del luglio 1949. A Praga, Budapest, Leopoli, Varsavia, Zagabria la Chiesa fu brutalmente decapitata. I vescovi e i parroci languivano nelle carceri, lavoravano nei gulag o vivevano come reclusi fra le quattro mura dei palazzi vescovili, ma erano pur sempre la testimonianza silenziosa di una fede incrollabile. I dubbi cominciarono tra la fine degli Anni Cinquanta e l'inizio degli Anni Sessanta quando la congiunzione di tre astri - Giovanni XXIII sul trono di Pietro, John Kennedy alla Casa Bianca e Nikita Krusciov al Cremlino dette a molti la speranza che dopo i rigori della guerra fredda il mondo avrebbe conosciuto gli anni del disgelo e del dialogo. L'eco dell'incontro fra Gorbaciov e Wojtyla in Vaticano nel novembre 1989 fu certamente grande, ma non produsse lo sbigottimento e le reazioni contraddittorie - riprovazione e speranza - che agitarono il mondo cattolico quando si apprese la notizia dell'udiènza che papa Roncalli aveva concesso ad Aleksej Adzhubej, genero di Krusciov e direttore delle Izvestia. L'udienza ebbe luogo il 7 marzo 1963 mentre si teneva a Roma, dall'11 ottobre dell'anno precedente, il secondo Concilio Vaticano. Giovanni XXIII morì nel maggio e il suo successore, papa Montini, dovette affrontare immediatamente uno dei problemi centrali del Concilio: l'atteggiamento della Chiesa verso il comunismo. Erano favorevoli alla condanna, tra gli altri, alcuni vescovi brasiliani ai quali premeva anzitutto alzare una forte barriera, nella loro società, contro il nemico ideologico. Prevalsero la diplomazia ecumenica di Paolo VI e di alcuni fra i maggiori vescovi e cardinali occidentali del momento: Tisserant; Kònig, Willebrands. Prevalse in altre parole, al di là d'ogni giustificazione dottrinale, il convincimento che la Chiesa dovesse adattarsi all'esistenza del comunismo e cambiare strategia. Dallo scontro frontale e dal reciproco assedio occorreva passare alla guerra di posizione o, meglio, alla tregua armata. L'autore descrive bene il «balletto» triangolare che si recita negli Anni Sessanta e Settanta fra le tre Chiese dèi suo libro: la Chiesa cattolica, la Chiesa ortodossa é la Chiesa comunista. Ciascuna ha il suo piano e le sue astuzie. Ciascuna ha bisogno del nemico per resistere o consolidare i propri vantaggi, ma deve evitare concessioni che possano intaccare la propria originalità e credibilità. E ciascuna deve al tempo stesso guardarsi le spalle da chi non approva la politica conciliante e compromissoria del vertice. Nella Chiesa di Roma i più severi contestatori sono, negli Anni Settanta, il cardinale polacco, Wyszinski, che deve convivere con il governo comunista di Varsavia, ma non tollera che la Santa Sede abbia con esso relazioni ufficiali, e due grandi presuli, liberati dalla prigionia: Slypyi, metropolita degli uniati, e Mindszenty, primate degli ungheresi. Non è vero, secondo Riccardi, che Giovanni Paolo II abbia abbandonato la diplomazia ecumenica di Paolo VI: coltivò un rapporto speciale con la Polonia, dette alla politica vaticana il contributo della sua dimestichezza con l'Europa centro-orientale e allargò ai popoli slavi gli orizzonti della Chiesa. Ma tenne con sé Casaroli e si predispose, anch'egli, a un lungo assedio. Accadde invece che la fortezza sovietica crollasse da sola, assai più rapidamente di quanto Paolo VI e Giovanni Paolo II non avessero previsto e sperato. Alcuni vedranno nelle vicende di questi anni un segno della Provvidenza. Altri osserveranno più crudamente che la strategia vaticana è stata spiazzata dagli avvenimenti. Molti pregheranno affinché la Chiesa possa utilizzare per i suoi fini apostolici questa straordinaria occasione storica. Altri osserveranno più sobriamente che essa troverà sulla propria strada due avversari: la Chiesa ortodossa e la crescente secolarizzazione della società russa. Riccardi non lascia il passato per avventurarsi nel futuro e non tenta di rispondere a queste domande. Ma per il prossimo capitolo dei rapporti fra la Prima e la Terza Roma il suo libro sarà per molto tempo un'indispensabile guida. Sergio Romano