L'edera «stecca» nel salotto di Milano
L'edera «stecca» nel salotto di Milano Crollo della de e rimproveri a La Malfa nel meeting post-elettorale degli Amici della Scala L'edera «stecca» nel salotto di Milano Delusi i vip: ilpri cresce, ma poco MILANO. Attilia Lanza, una delle grandi «padrone di casa» milanesi, è delusa. «Speravo che i repubblicani guadagnassero molto di più», è il suo primo commento. Poi aggiunge: «Sono depressa, qui vanno avanti solo quelli della Lega». E spiega così il nonsuccesso di Giorgio La Malfa: «Avrebbe dovuto andare prima all'opposizione». Primi commenti a caldo nella lunga serata post-elettorale milanese. Cominciata presto. Alle sei del pomeriggio è già tutto pronto nei salotti del palazzo di corso Venezia che ospita gli «Amici della Scala». Nonostante l'ora insolita, i primi invitati sono già davanti ai televisori sintonizzati con le kermesse elettorali delle varie reti. In prima fila con la sua grande chioma rossa, Almerina, vedova di Dino Buzzati. Anna Crespi e la figlia Matte, attivissime, fanno gli onori di casa. Aspettano per le otto, le nove di sera, il grande pienone: tra i centossessanta invitati, hanno promesso di far di tutto per venire uomini di cultura, personaggi del mondo dell'industria. Sono attesi Franco Tato, amministratore delegato della Mondadori, la critica Rossana Bossaglia, Sergio e Lilli Polillo, l'architetto Renzo Mongiardino, il più noto organizzatore di sfilate made in Italy, Beppe Modenese, il compositore Bruno Bettinelli, Serena Foglia, Edgarda Ferri. Mentre sul tardi, assicura Matte, arriveranno i giovani, la tribù dei figli Zucchi, Sforza, Bassetti, Borromeo. Dalla finestra che dà sul giardino di casa Invernizzi si vedono la fontana e i fenicotteri rosa che l'hanno reso famoso. Un panorama che richiama altri tempi. Proprio come il ritratto a olio di Giuseppe Verdi sopra il divano del salone principale degli «Amici della Scala» e le cornici d'argento con le fotografie dei sommi interpreti della musica, da Toscanini a Horowitz, da Carlo Maria Giulini a Herbert Von Karajan. Delusione. Ma anche sorpresa. Milano che conta, dopo le prime proiezioni e le prime conferme, si interroga sul domani e tenta di spiegare come e quanto è successo. Le decine di appuntamenti, agli Amici della Scala come nei salotti più raffinati, servono anche a questo: a confrontare, insieme, idee, giudizi, analisi. Anche se, lì per lì, il compito è più arduo di quanto alla vigilia si poteva immaginare. Persino un esperto come Giorgio Calò della Directa, società di ricerche di mercato, confessa lo stupore prevalente. «Nessuno, né gli istituti di ricerca né i politologi, avevano previsto l'intensità della caduta de», premette. Poi, da esperto, ecco la spiegazione tecnica: «Le ultime interviste di giovedì davano un 2025% di incerti. Generalmente gli incerti si ridistribuiscono su tut¬ ti i partiti, questa volta invece nessuno degli incerti ha evidentemente votato de. Così, anziché fermarsi al 30-31%, la de è scivolata sotto». Tutto chiaro? Lapidario, il giovane occhialuto seduto al suo fianco sintetizza: «La de ha perso, punto e basta. Ogni altra considerazione è inutile». Stupita poco o tanto, la Milano che vive nella cerchia dei Navigli comunque non nasconde la soddisfazione per quelli che definisce «i segnali di cambiamento» e per la maggioranza persa dai quattro partiti seduta stante ribattezzati «di sgoverno». Pragmaticamente, c'è già chi abbozza scenari prossimi venturi. «In fondo, questo è il primo voto libero dopo tanti anni, adesso la de non raccoglie più i voti di quelli che volevano arginare il pericolo comunista e sta assestandosi sul suo zoccolo duro», è la tesi di Luciano Colombo, commercialista. Per il quale è fin troppo ovvio che questo ridimensionamento «è una svolta per la de», una svolta «che dovrebbe darle la forza per far pulizia al suo interno, altrimenti vuol dire che è un partito senza speranza». Concorda Giorgio De Giorgis, consulente chimico: «E' così, senza dubbio è un voto di protesta». «Crolla tutto, spero che qualcosa cambi, finalmente. Siamo tutti stufi, no?», sbotta (al telefono) Inge Feltrinelli presa la volo mentre sta uscendo per correre al teatro Nuovo, ospite attesa di «Profondo Nord», la trasmissione su Rai 3 di Gad Lemer, per poi spostarsi a casa di Cristina Formenton. La serata post-elettorale milanese, si sa, è un susseguirsi di appuntamenti. Gae Aulenti, appena tornata da Roma, preferisce rinviare ogni commento a quando saranno noti i dati definitivi. Ha ancora molte telefonate da fare, confessa, prima di andare a cena dall'amico Dino Franzin. Niente serata mondana, invece, per Giordano Zucchi, imprenditore tessile tra i più conosciuti. Dopo due ore di coda in autostrada, giura d'aver solo voglia di starsene a casa a guardare in santa pace la tivù per capire qualcosa: «Il futuro? Staremo a vedere come riusciranno a imbarcare persone nuove tra le forze sane, chissà». Si interroga sul futuro, ritrovandosi, la Milano agiata chiusa nella cerchia dei Navigli. Ma non è la sola a farlo. Cinque chilometri più a Sud, lontano dai palazzi tardo settecenteschi di corso Venezia e del quadrilatero d'oro, alla Baggina, ex orgoglio di Milano, ex regno di Mario Chiesa, causa non secondaria delle disavventure meneghine socialiste, tra gli anziani ospiti non c'è stata campagna elettorale prima e neppure kermesse post-elettorale ieri. Niente panini e rinfreschi. Solo mugugni, sperando in un domani migliore che da queste parti significa cibi più caldi e personale più numeroso. La parola a Bruna, 79 anni, alla Baggina da nove. Anche lei stupita e sorpresa. Dice: «Questa volta, giuro, ero incerta su cosa votare tra tutti quei partiti ma poi mi sono detta, coraggio, bisogna farlo». Valeria Sacchi Armando Zeni Tutti preoccupati dal boom di Bossi «E Forlani faccia pulizia in casa» Nella foto grande a sinistra l'architetto Gae Aulenti, a fianco l'editrice Inge Feltrinelli ^PP|
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