l'Europa può tifare per Neil il gallese di Aldo Rizzo
L'Europa può tifare per Neil il gallese r OSSERVATORIO 1 L'Europa può tifare per Neil il gallese GGI si concludono le elezioni in Italia, otto giorni fa si è svolto il «secondo turno» francese e giovedì si vota in Gran Bretagna. E' in atto un grosso riassetto in tre dei quattro maggiori Paesi della Cee. Stasera sapremo l'esito italiano, dopo lo sconquasso francese, ma non meno emozionante, da un punto di vista europeo, è il confronto britannico. La previsione è che vincano i laboristi. Sarebbe «un caso in controtendenza», come ha scritto il nostro corrispondente Paolo Patruno. Rispetto a quale tendenza? Rispetto a quella che vede, ingiustamente, i socialisti dell'Ovest coinvolti in qualche modo dal crollo dei regimi dell'Est. In realtà, i socialisti democratici sono stati gli avversari di prima linea del comunismo totalitario. E «socialismo» è una parola di cui troppi si sono serviti, non solo a sinistra, snaturandola. Però attenzione: i laboristi, se vincono, vincono su basi nuove, rispetto alle elezioni che, dal 1979 in poi, hanno portato e confermato al potere i conservatori, guidati da Margaret Thatcher. A differenza dei socialisti italiani, francesi, spagnoli, portoghesi, tedeschi (a proposito, ieri si è votato anche in due regioni della Germania), i socialisti inglesi ebbero, negli Anni Settanta, un rigurgito di marxismo, che contribuì a indebolirli e a isolarli. Non parlo di Harold Wilson e di James Callaghan, ai quali si deve l'ultima vittoria laborista, nel 1974. Essi erano dei moderati, sul piano politico ed economico. Il loro torto, semmai, fu d'indulgere al nazionalismo antieuropeo, costringendo la Cee a rinegoziare l'adesione britannica, poi confermata da un referendum. Parlo della «leadership» che venne dopo, quella di Michael Foot e Tony Wedgwood Benn, che non solo riprese la vena antieuropea, ma vi aggiunse le chiacchiere sul disarmo unilaterale e una linea economico-sociale estremista: e tutto questo di fronte alla svolta liberista della signora Thatcher, che stava comunque scuotendo le isole britanniche. Neil Kinnock, il leader attuale, andò al comando nel 1983, ma le novità tardarono a vedersi. Era anche lui antieuropeo, chiamava la Cee «il club dei ricchi». Ancora nel 1987 si pronunciò per il disarmo nucleare unilaterale e per una lunga serie di nazionalizzazioni. Ma la riconversione al centro del Labour Party era nell'ordine delle cose, cioè nella logica politica. E piano piano prese corpo. Ora Kinnock ha scavalcato i conservatori sul terreno dell'europeismo: tende a un'adesione integrale al trattato di Maastricht, contro le riserve di John Major. Ha rassicurato gli americani sul piano dell'impegno strategico e la City su quello della moderazione economica. Vuole il rilancio dell'economia, dopo la lunga recessione, che ha preso in contropiede Major, e la stabilità della sterlina nel Sistema monetario europeo. Dal primo luglio, la Gran Bretagna avrà la presidenza di turno della Cee. Non è più un problema se a gestirla sarà il gallese Neil Kinnock, un «pentito» dell'isolazionismo (o insularismo). Ma bisogna dire che il tono di Londra cambierà anche se, in extremis, ce la facesse John Major. Confermato a Downing Street dal voto popolare, il successore della Thatcher sarebbe certamente meno grigio e prudente anche di fronte all'Europa. Se infine si arrivasse a un governo di coalizione Kinnock-Ashdown, si potrebbe contare anche sul tradizionale europeismo della terza forza liberal-democratica. Insomma, nella fase delicatissima delle ratifiche del trattato di Maastricht, che va da qui alla fine dell'anno, Londra potrà diventare finalmente un punto di riferimento costruttivo. In tal caso, verrà meno un alibi storico per gli europeisti contraddittori del continente. Italiani compresi, per molti versi. Aldo Rizzo
Luoghi citati: Europa, Germania, Gran Bretagna, Italia, Londra
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