Da Peppone al portaborse di Pierluigi Battista

Da Peppone al portaborse Da Peppone al portaborse Così cinema e letteratura raccontano il voto DOSSIER UN FLASHBACK LUNGO 40 ANNE AROMA LTRO che festa democratica, quell'avvilente e tetra processione di storpi, deformi e idioti che affollano il seggio elettorale del «Cottolengo» presidiato da Amerigo Ormea, il protagonista; della Giornata di uno scrutatore di Italo Calvino. Aveva severamente sacrificato due giorni della sua vita, <0rmea, per sorvegliare che in quel laico giorno del giudizio tutto si svolgesse regolarmente. Anche in quel lugubre asilo di infelici e di minorati. Anzi, a maggior ragione lì, «dove la democrazia'si presentava ai cittadini sotto spoglie dimesse, grigie, disadorne». Era il giorno delle elezioni, rito emozionante e solenne che gli italiani, nell'anno 1953 in cui è ambientato il racconto di Calvino, celebrano ancora con aurorale entusiasmo, come si conviene a un diritto conquistato di fresco. E perciò descritto e vissuto dal cinema e dalla letteratura come una delle scene cruciali nell'immaginazione dell'Italia repubblicana. Eppure, è proprio nella letteratura che quella solennità comincia a mostrare le prime crepe. Che democrazia era mai quella che sfilava dinanzi allo sguardo esterrefatto del personaggio di Calvino? Idioti eterodiretti, «vecchie moribonde», «paralizzati dall'arteriosclerosi»: nel Cottolengo «fioriva», racconta Calvino, «un'aneddotica tra burlesca e pietosa: l'elettore che s'era mangiato la scheda, quello che a trovarsi tra le pareti della cabina con in mano quel pezzo di carta s'era creduto alla latrina e aveva fatto i suoi bisogni, o la fila dei deficienti più capaci d'apprendere, che entravano ripetendo in coro il numero della lista e il nome del candidato: «un due tre, Quadrello! un due tre, Quadrello!». Straziante caricatura della vita democratica. Poco somigliante con l'euforìa agonistica, lo scontro aperto, la sanguigna contrapposizione evocata dalla memorialistica sul 18 aprile '48. I preti e i «rossi», l'esercito della Chiesa romana e quello che marciava dietro i ritratti di Stalin: il mondo incarnato da Peppone e Don Camillo di Giovannino Guareschi. Due universi incompatibili: «Appena Peppone lesse sulle cantonate il manifesto nel quale si dice che un tizio di città avrebbe tenuto in piazza un comizio per invito della sezione del partito liberale, fece un salto. "Qui nella roccaforte rossa si dovrà permettere una provocazione simile? urlò -, la vedremo chi comanda qui"». Ci si giocava tutto in quelle elezioni. Ed è sulla base dell'esito di quel voto che si divaricheranno le strade di Gassman, Manfredi e Stefano Satta Flores in C'eravamo tanto amati di Ettore Scola. Qualcosa del genere trapela dalla gioia solitaria dell'ex partigiano Alberto Sordi, che in Una vita difficile paradossalmente apprende proprio nella casa di una' contessa monarchica, lui unico repubblicano della serata, il risultato favorevole nel referendum monarchia-repubblica. E anche il Mauro che neUa • Campagna elettorale idi Enzo Bettiza (1951) affronta il suo apprendistato nel partito comunista.a. fianca,-del compagno Beretta (Pajetta?). Ecco il 18 aprile '48 di Mauro, sospeso tra malinconie e funesti presagi: «Domani l'altro sarebbe stata una splendida domenica di aprile, 1 ultima veramente bella giornata del mese poiché già lunedì, su tutta la pianura padana, sarebbe calato un vento quasi di mare, grigio e snervante; e nel sole di dopodomani il popolo, come si dice, nei giornali, sarebbe andato tranquillo e fiducioso alle urne». E' l'epoca, interamente pretelevisiva, dei comizi. «Ricompaiono sulla piazza i liberali», annota con sarcasmo Leonardo Sciascia nelle Parrocchie di Regalpetra (1956), «si svegliano quando le elezioni sono vicine, si mettono disperatamente in cerca di una casa che abbia por¬ te o balcone sul Corso, tirano fuori la vecchia insegna dando una mano di vernice, di notte l'attaccano al balcone». La gente del luogo, racconta Sciascia, non li apprezzava, eppure i contadini seguivano sempre i loro discorsi; «'-'Sono persone istruite", dicono». E poi dall'altra parte, racconta Sciascia nei suoi colloqui cq% Domeniqp.Porzio (raccolti postumi nel Fuoco dell'anima, in libreria a giorni), c'erano «gli uomini politici stupidi» come quel Robotti, vessato e torturato da Stalin, che nondimeno andava tra i contadini di Racalmuto per descrìvere loro le delizie dei kolkoz sovietici. Oppure i notabili democristiani che «promettono agli agricoltori adeguati risarcimenti». «Una smorta folla empie l'aria d'irreali rumori»: è un comizio missino a Piazza del Popolo descritto da Pier Paolo Pasolini nelle Ceneri di Gramsci, e sulla bandiera che sovrasta il palco, tra il bianco, il rosso e il verde «arista tetro vegetale guizza cerea nel mezzo la fiammella fascista». Umore analogo a quello, fosco, di Giovanni Arpino negli Anni del giudizio («Ugo avrebbe dovuto parlare poco lontano, in uno spiazzo erboso che si apriva alle spalle delle case dove in quell'ora di tramonto giocavano ancora i bambini»). Ma è un umore tutt'affatto diverso da quello, beffardo e ilare, di cui è intriso il film Gli onorevoli (1963) di Sergio Corbucci, dove un Totò straordinario, candidato del «Partito nazionale della restaurazione», conduce la sua personalissima campagna elettorale a base di messaggi subliminali («vota Antonio, vota Antonio»), in competizione con la democristiana Franca Valeri, il liberale Gino Cervi, il monarchico Peppino De Filippo e il comunista Araldo Tieri. E diverso anche dallo spirito della poesia acrostica di Edoardo Sanguineti, quella in cui le lettere guida formano uno slogan da tutti riconoscibile: «VOTATEPCI». Poi arriva il capitolo corruzione. Nel suo Bianco, rosso e verdone Carlo Verdone coglie tre tipi umani sulla strada del ritorno a casa, per compiere il loro dovere elettorale. Ma è l'ultima frontiera del divertimento a urne aperte. Nel Vigile di Luigi Zampa, Alberto Sordi il motociclista usa la campagna elettora¬ le per fare un dispetto al sinda co-nemico De Sica. Nelle Mani sulla città di Francesco Rosi si dispiegano i giochi sporchi di Palazzo. E' Mario Pomilio, nel suo La compromissione, che prende di petto la caduta morale dei politici-candidati. Ma è Nanni Moretti che descrìve la campagna elettorale dei nuovi candidati-squalo nel suo recente Il portaborse. Sbiadisce il solenne rito democratico. E il giorno del Giudizio rischia di diventare una farsa. Come nella canzone Le elezioni di Giorgio Gaber (1976), dove l'elettore irreprensibile che compie il suo dovere civico, nel segreto della cabina si ruba la matita. Pierluigi Battista Quei contadini di Sciascia ingannati anche dai comunisti À sinistra, lo scrittore italo Calvino Sotto, Pier Paolo Pasolini Don Camillo (interpretato da Fernadel) fronteggia il sindaco comunista Peppone (Gino Cervi) nel film tratto dai racconti di Giovanni Guareschi

Luoghi citati: Italia, Racalmuto