Che belle le menzogne se sono di Bufalino di Osvaldo Guerrieri

Che belle le menzogne se sono di BufalinoTorino, successo dello spettacolo, regista Angione Che belle le menzogne se sono d TORINO. Trasformare un romanzo in uno spettacolo teatrale porta di solito al trionfo del compromesso. La terza creatura che ne vien fuori è spesso ibrida, ha un po' dell'uno e un po' dell'altro, magari troppo poco dell'uno e altrettanto poco dell'altro, con l'effetto di scontentare in egual misura lettori e spettatori. Ma «Le menzogne della notte», che Girolamo Angione ha tratto dal romanzo di Gesualdo Bufalino e ha messo in scena all'Erba, possono essere considerate un'eccezione. Sono diventate buon teatro per l'intelligenza con cui Angione ha accostato la pagina letteraria e per le virtù intrinseche del romanzo, che, sostenuto da un'affabulazione sontuosa e da una continua variazione di tono, è arrivato in palcoscenico con le cadenze e le visioni di una «moralità leggendaria». Un gruppo di prigionieri trascorre l'ultima notte di vita in una fortezza piantata su uno scoglio battuto dal mare. Possiamo immaginare il Mediterraneo, il regno borbonico percorso da fremiti libertari; e possiamo supporre che i condannati siano affiliati a una qualche carboneria rivoluzionaria, che moriranno per empito libertario e perché sentono, confusamente e romanticamente, che il loro sacrificio si trasformerà in un destino esemplare. Perciò rifiutano l'offerta del governatore, il quale promette salvezza se soltanto uno di loro svelerà l'identità del loro capo, un misterioso rivoluzionario chiamato popolarmente Padre¬ terno. Aspettando la morte, raccontano a turno il momento più felice o più significativo della loro vita, non curandosi di un sedicente frate Cirillo che condivide la loro cella e il loro destino. Strutturato come un «Decamerone» e nutrito dal seme eversivo della menzogna, il romanzo ha in sé una teatralità dal dinamismo tutto mentale, che rischia in più punti di sgretolare il lavoro di Angione. I racconti autobiografici del barone Ingafù, del sedicente poeta Saglimbeni, del soldato Agesilao, dello studente Narciso Lucifora, hanno quelle virtù letterarie difficili da trasformare in teatro. Ma Angione ha saputo estrarre da questi magnifici e torrenziali monologhi tutte le emozioni necessarie alla scena. Ogni confessione diventa perciò una febbrile narrazione d'amore e di armi, di banditismo e di vita cortigiana, ogni monologo è un'epopea, tanto che «Le menzogne della notte», nelle loro due ore, fanno il condensato di quattro o addirittura di cinque spettacoli ambientati nel carcere grigio disegnato da Marco Pejrolo e da Pier Paolo Ramassa e affidato a un gruppo d'attori molto sobrio e ben amalgamato. Fabrizio Bava, Francesco Benedetto, Lionello Candotti, Marco Pejrolo, Roberto Scappin, Alessandro Vinciarélli e Roberto Milanesio hanno ben sostenuto la difficile prova e meritato gli applausi del folto pubblico. Si replica fino al 12 aprile. Osvaldo Guerrieri

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