Kinnock: le mie idee per liquidare Maggie di Paolo Patrono

Kinnock: le mie idee per liquidare Maggie A 5 giorni dal voto parla il leader laborista: aperture sulla proporzionale Kinnock: le mie idee per liquidare Maggie LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE E' sorridente e ottimista Neil Kinnock, quando nel grande salone al pianterreno deH'«Institute of Civil Engineers», tra lampadari a gocce e stucchi in legno, posto simbolicamente a mezza strada fra il Parlamento di Westminster e la residenza del premier a Downing Street, spiega al gruppo di giornalisti stranieri come sarà la «sua» Inghilterra all'indomani del 9 aprile. Esordisce ammiccando con gli occhi: «Benvenuti alla più importante campagna elettorale dal '45, che i lahoristi vinsero». E subito dà il tono al suo intervento: «A luglio, quando comincerà la presidenza inglese della Cee, il primo atto del nuovo governo laborista sarà la ratifica della Carta sociale, che Major ha rifiutato a Maastricht». Si sente già la vittoria in tasca, Kinnock, e l'incontro con la stampa estera gli serve proprio a darsi quel tono da statista internazionale che fino a pochi giorni fa i conservatori gli negavano sarcasticamente. Il vento gonfia le vele del partito laborista, indicato ormai come il favorito nell'entusiasmante volata al foto-finish che contraddistingue queste elezioni. E Kinnock, rosso di pelo, figlio di un minatore gallese, dopo il purgatorio di nove anni come leader dell'opposizione, si gode anticipatamente la festa. I sondaggi lo danno favorito, anche se di misura. Anche se i conservatori stanno producendo un rush finale rabbioso per recuperare i suffragi degli scontenti, della «middle class», penalizzata dalla recessione e disposta a votare per i liberal- democratici pur di «punire» il governo. Fiutato il pericolo, Kinnock è corso subito ai ripari e ieri ha gettato in campo l'ultima «bomba», ha agitato la sirena della «proporzionale», il miraggio dietro al quale i liberaldemocratici di Faddy Ashdwon corrono da sempre. E' un'apertura ancora ambigua, di sicuro, perché il Labour sta solo studiando la riforma del sistema elettorale. Ma si è già impegnato, se vincerà, a introdurre la «proporzionale» per l'elezione della nuova assemblea autonoma scozzese. E' bastata questa fessura nel monolitico muro del sistema maggioritario uninominale che tradizionalmente ingessa il sistema politico inglese, per increspare con onde di riflusso sempre più ampie il convulso panorama elettorale. Major ha strillato contro «il cinico opportunismo» di Kinnock. Ashdown in pubblico fa mostra di non dar credito alla disponibilità dei laboristi. Ma basta il solo impegno a far eleggere secondo il sistema proporzionale la futura assemblea scozzese per assicurare a Kinnock una benevola aspettativa da parte dei liberaldemocratici. Un'apertura sotterranea di credito che potrebbe consentire perciò ai laboristi di governare, anche se non riusciranno a ottenere la maggioranza assoluta ai Comuni, sorretti di volta in volta dall'esterno dai voti centristi. Non sarebbe certo questa la prima, unica «conversione» radicale impressa da Kinnock al Labour. Da quando ha ereditato nell'83 un partito «schiantato» dal trionfo elettorale della Thatcher contro il vetero-marxista Michael Foot, Kinnock si è pa¬ zientemente impegnato a «rifondare» il laborismo, svecchiandolo da tutte le incrostazioni comunisteggianti: nazionalizzazioni, antieuropeismo, disarmo unilaterale. Kinnock sembra a un passo dalla vittoria. Da Washington all'Europa, tutti hanno gli occhi puntati su di lui, perché il Labour vittorioso sarebbe un «caso» in controtendenza, dopo la sconfitta dei socialdemocratici in Svezia e dei socialisti in Francia. Ieri Kinnock ha cercato di rassicurare tutti: gli americani per la fedeltà agli stretti legami con Bush, i finanzieri internazionali e la City «che non ha un motivo razionale per allarmarsi, considerati i nostri impegni a rilanciare l'economia e a tener saldo il valore della sterlina nello Sme». Agli europei, Kinnock ha mandato un messaggio chiaro. «E' interesse degli inglesi giocare un ruolo positivo, costruttivo all'interno della Cee». Quindi, un «sì» entusiasta alla Carta sociale e «sì» anche «a un approccio più positivo» sull'Unione economica e monetaria che invece Major avvolge nelle nebbie del futuro. L'unico «no» è arrivato sul federalismo, sugli «Stati Uniti d'Europa». «La mia generazione non è ancora matura. Di questo parleranno i nostri nipoti». Kinnock sa bene che sull'integrazione politica europea gli umori popolari, da questa parte della Manica, restano scettici, se non diffidenti. Perciò sta attento a non perdere consensi. Perché il 9 aprile si gioca davvero tutto: se il Labour non vince nel pieno della recessione è condannato a non vincere più. Paolo Patrono I segretario laborista Neil Kinnock dopo un comizio a Southampton [foto api

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