Pronipoti di Omero impegnati esistenziali e anche post-moderni di Mario Baudino

Pronipoti di Omero impegnati, esistenziali e anche post-moderni A Torino i maggiori poeti greci Pronipoti di Omero impegnati, esistenziali e anche post-moderni DTORINO NA lingua che «vive» da tre millenni, una tradizione che affonda nel passato più lontano e leggendario, una ricchezza straordinaria di registri linguistici con cui giocare: la poesia neogreca ha una situazione particolarissima e molte caratteristiche che dovrebbero rendere invidiabile la condizione dei suoi poeti. Ma parla a un «piccolo popolo» dal punto di vista dei numeri (una decina di milioni di persone) e nonostante possa vantare due premi Nobel (Seferis e Elitis) resta un mondo relativamente sconosciuto: soprattutto nella vicina Italia. Il centro Montale di Roma ha lanciato una iniziativa per colmare questa lacuna, organizzando una sorta di «giro d'Italia» a cura di Paola Maria Minucci, per un gruppo dei più importanti poeti greci. Dopo Roma, Trieste e Venezia, mercoledì e ieri è stata la volta di Torino, con la collaborazione dell'Unione Culturale e dell'associazione «Santorre di Santarosa». Due serate, una dedicata alla lettura dei versi e un'altra a un omaggio a più voci per Costantino Kavafis, il grande «faro» del Novecento non solo greco, il poeta del Mediterraneo. Gli autori invitati sono sei: Titos Patrikios, Jenny Mastoraki, Markos Meskos, Michalis Ghanàs, Dimitri Deskalopoulos e Kikì Demoulà. Rappresentano le ultime tre generazioni: quella «della sconfitta», che ha visto la resistenza e la guerra civile, quella «perduta», del dopoguerra, e quella degli Anni Settanta, gli scrittori ora sulla quarantina. Offrono un ottimo spaccato della storia greca più recente, dalla contrapposizione sanguinosa e frontale della guerra civile agli anni cupi della giunta militare, fino alle disillusioni degli Anni Ottanta in un Paese che stenta a prendere il passo dell'Europa. Impegnati,, esistenziali, postmoderni: i poeti greci non si sono mai rifugiati nello splendore della loro lingua, hanno saputo •..•te '■: ■ -i: : ,. t: ife -, *V affrontare il mondo e le loro sconfitte. «Ma questa è una nostra tradizione antica. Il poeta, in Grecia, beneficia di uni riconoscimento sociale, non Jè un isolato - ci spiega Titos Patrikios, il più anziano del drappello -. La poesia è stata l'unica espressione letteraria che non ha mai subito rotture traumatiche, neppure durante i secoli bui dell'occupazione ottomana». Titos Patrikios riassume, nella sua storia personale, il tormento e le disillusioni degli scrittori greci. Ha fatto in tempo a combattere nella resistenza contro i tedeschi, a essere confinato dopo la guerra civile e la rivolta comunista di Markos. Ha vissuto a lungo in esilio, durante il regime dei colonnelli, ed è stato funzionario dell'Unesco. «Poi ho deciso di rientrare in patria. Non solo per il ritorno della democrazia, ma anche perché stando all'estero, a Parigi, sentivo la mia lingua indebolirsi. E non mi ritengo confinato in una cultura marginale: l'interesse del mondo anglosassone e della Francia per la nostra cultura è crescente. In Italia siete ancora un po' distratti: non sapete che la poesia greca moderna nasce proprio da un nobile veneziano, Comaro, che dopo essersi trasferito a Corfù scelse il greco come lingua di cultura. Scrisse una grande epopea: è un po' il nostro Dante». La lettura di mercoledì (molto ricca di suggestioni, grazie alla recitazione di Adriana Rinaldi e Raffaella Marsella, le due attrici dello Stalker Teatro, e alle musiche composte ed eseguite da Filippo Racioppi) ha dato, per illuminazioni, un quadro almeno indicativo di quanto si muove in quell'universo poetico. Impossibile, naturalmente, riassumere. Ma due versi di Kikì Dimula possono offrire un'approssimazione: «Voglio avere la coscienza in pace / di aver soffèrto per ogni cosa». Mario Baudino