Gli amanuensi della notte

Gli amanuensi della notte Chi sono i personaggi che lasciano i loro slogan sui muri. Incontro con il graffitista anonimo Gli amanuensi della notte ETORINO MARGINATI, ribelli, artisti, non artisti, militanti, braccati, dandy della I notte, guerriglieri», così Alberto Abruzzese aveva definito gli anonimi pittori dei graffiti murali, i Pollock, i Tombley, gli Schifano e i Rotella anonimi che continuamente lasciano messaggi, invettive e richieste, sui muri delle città del mondo, da New York a Berlino, da Mosca a Torino. Graffiti metropolitani, pubblicato da «Costa & Nolan», Tatuaggi urbani, dedicato a quelli torinesi, edito da II Quadrante, sono i libri, con saggi di Balderi, Senigalliesi, Abruzzese, Dorfles, Lanzardo, che, ultimamente, hanno raccolto e cercato di dare un senso e una identità ai graffiti e ai loro autori. Chi sono gli «artisti dell'ombra», gli individui equipaggiati di carboncini e spray che, più o meno furtivamente, addocchiano il muro immacolato e in velocità ci lasciano un pensiero? Uno di loro si è fatto avanti. Disposto, anonimamente, a raccontare la sua lunga, ventennale, esperienza di «graffitista». Ci incontriamo ai Murazzi. Segni di riconoscimento: capelli e barba rossa. Un po' poco. Dice che porterà un giubbotto da cacciatore, con molte tasche. Prima panchina scendendo dal ponte della Gran Madre. E' subito riconoscibile, ma perché piove e ai Murazzi non c'è nessuno, oltre lui. Ha l'aria tranquilla, curata, potrebbe essere un giovane avvocato, un fuoricorso di filosofia, un bibliotecario. Niente di under, anche un bancario. Per comodità posso chiamarla Spray? «Possiamo usare una mia scritta. La Stampa, parlando di graffiti metropolitani, l'ha riportata due volte...». Estrae dalle ampie tasche due ritagli di giornale: «Vede - dice - una il 6 giugno dell'84 e l'altra il 9 maggio del '90. Citavano un mio graffito che è rimasto: "Il mondo è quadrato e saltella". E' dell'83. Potrebbe chiamarmi così». Sono in presenza de «Il mondo è quadrato e saltella». La scritta è celebre, apparve in via Fratelli Calandra e venne ripresa in borgo Vanchiglia. La frase, che sembrava opera di un indiano metropolitano, dava allegria, diceva che guai intorno ce n'erano, ma si riprendeva a sor- ridere, a scherzare, a chiudere con gli anni di piombo. Signor «Il mondo è quadrato e saltella» come l'è venuta l'idea di scrivere sui muri? «Volevo rispondere ad una aggressione che veniva proprio dai muri. Era l'inizio degli Anni 70. Sui muri c'era una vera guerra: brigate rosse, fascisti, invettive. Non una briciola di humour e tutto a tinte forti, violente. Non c'era ancora la dimestichezza a usare lo spray. Erano pennellate di vernice o rossa o nera. Il resto era carboncino o temperino per turpiloquio da gabinetti o da ascensori». E lei cosa fece per rispondere a quella aggressione? «Volevo togliere un po' di tensioni dai muri. Volevo insinuare dei dubbi. Non c'era nessuno, qui, a farlo. Decisi di comperare un colore lontano dal rosso e dal nero. Scelsi il verde, senza nessun riferimento ecologico, mi piaceva. Studiai gli orari. C'era pace, per le strade, fra l'ultimo tram della notte e il primo del mattino, diciamo fra le tre e le cinque. Incominciai a fare dei punti interrogativi verdi. C'era scritto "Nixon Boia" e io aggiungevo il mio punto interrogativo. C'era scritto "Comunisti bastardi" e io facevo il punto interrogativo. Misi un punto interrogativo anche a "Fascisti carogne". Allora andavo dietro le scritte altrui». E poi? «Non rida, questo lavoro solitario mi portò a parlare con i muri. I punti interrogativi erano miei pensieri. Decisi che potevo scriverli». Si ricorda il primo e dove? «Sì: "Io non sono la frutta", lo feci in un androne di corso San Maurizio, c'era una galleria d'arte, Sperone, gente che andava e-veniva. Nel cortile c'era anche una sede di "Lotta Continua". Venni a sapere che pensa- rono ad una minaccia e fecero molte riunioni per cercare di capire da dove venisse. Qualche giorno dopo risposero con: "Ma sono uno stronzo"». Come sceglieva i suoi muri? «Il desiderio era quello di scrivere in centro, sui bei muri delle piazze, San Carlo, Castello. Bisognava superare problemi tecnici e pratici. Scrivevo sui muri meno trafficati». I suoi interrogativi avevano messo in pista altri? «Mazzart e Kamash. Quelli di Mazzart, ammazza l'arte, si fermavano lì a scrivere Mazzart. Anche Kamash sriveva solo Kamash eppure mi affascinava. Ci sentivo una presunzione intel¬ lettuale, un retroterra, Kamash l'ho incontrato, è un signore di sessantanni, i capelli bianchi, l'aspetto decoroso un po' triste. Non ci siamo scambiati una parola, solo uno sguardo». Dopo le scritte politiche quali temi vennero avanti? «Quelli ecologici con le prime invettive contro il degrado ambientale e quelle esistenziali del tipo: "Noi siamo la nuova retroguardia". Apparve sul Lungo Dora». E lei, come reagì? «Io provavo la via della didattica e quella del nonsense. In piazza Maria Teresa scrissi: "Guai agli onnivori" e sui muri della Rai "Puzzo e Profumo". Diceva così: "Chi puzza non profuma. Chi profuma non puzza. Meglio profumarsi". E' di quel periodo anche: "I ricchi sono cattivi. I poveri sono buoni. I ricchi sono buoni e i poveri sono cattivi. I ricchi sono poveri. I poveri sono ricchi". Poi, davanti all'Università tracciai la "Rivoluzione dell'orario". Diceva: "Il vero rivoluzionario mangia quando gli altri dormono. Scopa quando gli altri mangiano. E dorme quando gli altri scopano"». Rimpianti? «Il nonsense sul muro è difficile. Devi essere veloce. Non sei mai contento del risultato. Gli altri ti sembrano più bravi. Chi ha scritto in piazza San Carlo sulle due colonne d'angolo con via Roma: "Boa di qua", "Boa di là"? E chi: "Chieti e ti sarà tato", in piazza Cavour? L'avevano attribuito a me. Purtroppo non sono io». Lei, dal nonsense dov'è andato? «Ho attraversato vari periodi. Mi sono dedicato ai pesci. C'era scarso interesse per gli abitanti del mondo ittico, così per un po' scrissi, in giallo, "polpo" e "polpo bombarda". Era un "affondo" nella coscienza razionale del passante. Poi pensai ai pesci d'acqua dolce. Mi concentrai su corso Vittorio, andando, naturalmente, verso il Po e, portone dopo portone, scrissi: carpe, tinche, lucci, trote, cavedani. Quando mi cancellavano un cavedano dovevo "rimetterlo"». Rispetto al tempo dei pionieri, alle scritte violente, al colore rosso nero, oggi cosa vede? «Mi sembra ci fosse allora più spontaneità. Lo dico anche per me. Giravo in macchina, mi si accendeva una lampadina e cercavo il muro. Come un cacciatore che cerca il suo animale. Ma ieri non si pensava al futuro. Tuito era rifiuto. Oggi c'è più fiducia, c'è progettualità. I muri di oggi dicono che la città è in buona salute. Si sente che l'anima della città non è minacciata da nessuno. Sui muri si leggono opere di minimalisti, artisti dell'arredo urbano e grandissimi costruttori di affreschi, opere imponenti che richiedono una lunga preparazione. Leggi sui muri voglia di futuro: "Voglio innamorarmi". Certo c'è anche dolore: "Manchi all'appello". Ma, contro la droga, ho letto in via Po un buon graffito, pieno di sarcasmo critico: "Fatti una pera e sarai protagonista"». Lei, tecnicamente, come procede? Ha un abito da lavoro? «Indosso loden con grandi tasche o giacconi come questo. Sono pratici per tenere le bombolette di spray. Bisogna fare attenzione alle scarpe e al dito, le scarpe si sporcano facilmente, il dito, se non è protetto, può gelare sotto il gas uscente». Mai incontrato, mentre graffiava, proprietari dello stabile? «No. Incontrato passanti. Ma quelli ridono e passano: il muro non è loro. Le buone scritte resistono, come se ci fosse un tacito accordo di non cancellarle. Il muro è "imbrattato" solo se le scritte sono corrette; malriuscite». Cosa ha scritto ultimamente? «In dieci minuti ho realizzato una scritta di oltre dieci metri, in via Verdi, davanti al ristorante "Marinella". Dice "Quando mi incontrerai per l'ultima volta io ti dirò che da quando mi hai lasciato ho pensato a te tutti i giorni e tu piangerai o non piangerai, comunque non ci sarà tempo per nessuna cosa"». Triste come Kamash? «Mi hanno risposto: "Suicidati". Una risposta di buon senso alla "leopardata muraria". Fra graffitisti non si socializza, ci rispondiamo, e nessuno termina, nemmeno l'autore, una scritta interrotta da cause di forza maggiore. Leggasi carabinieri, polizia». Qual è stata, per lei, la grande novità' degli Anni 80? «Il sommergibile dei ragazzi di'El Paso. Un mattino in via Rossini, all'angolo di corso San Maurizio, è apparso un sommergibile, coloratissimo, enorme. Un lavoro di grande bellezza. Pensai che era arrivato il "mattatore", il "cavaliere solitario" che ci avrebbe fatto fuori tutti. Non fu così, diventò manierista e aprì la strada agli "stampini", quelli che si preparano i cartoni a casa». Il futuro? «Ricco, una meravigliosa varietà e qualità con messaggi raffinati e complessi. Bisognerà pensare, prima o poi, ad un Archivio dei graffiti». E lei, continuerà? «Finché mi attirerà un muro, mi affascinerà la notte». Vorrei tirargli la barba, mi sa che è finta. Come è finto il suo aspetto da giovane avvocato, da bibliotecario, da bancario. Nella tipologia di Abruzzese è lui, il «dandy della notte». Nico Orango «Ho cominciato nei Settanta con dei punti interrogativi. Il mio slogan? Il mondo è quadrato e saltella» Graffiti sui muri di Torino. I loro autori sono rigorosamente anonimi. Equipaggiati con spray e carboncini, scelgono le ore più tranquille della notte. Non si conoscono neppure tra loro: tutto quel che resta è qualche firma in codice

Luoghi citati: Berlino, Mosca, New York, Torino