Un «Vampiro» delI'800 e la Famiglia Addams di Osvaldo Guerrieri
Un «Vampiro» delI'800 e la Famiglia Addams All'Adua la commedia di Brofferio, regia di Navello Un «Vampiro» delI'800 e la Famiglia Addams TORINO. L'apparenza è di un feuilleton gotico, ma forse neppure Angelo Brofferio, che compose la commedia nel 1827 per la Reale Compagnia Sarda, prese mai sul serio l'argomento del «Vampiro». Certo, nel castello di Westfalia dove immaginò la vicenda si aggirano fanciulle esangui, dilagano morbosi brividi d'orrore, si citano favole spaventose, si annunciano arrivi fatali e mortiferi morsi notturni. Ma Brofferio ne dà una visione distanziata (in altri tempi si sarebbe detto straniata). In quegli anni il vampirismo era un tema alla moda, Frankenstein emanava un fascino macabro al quale non si sottraevano neppure gli spiriti più illuminati. Sarà stato proprio per questa dilagante fortuna che Brofferio si decise a sovrapporre alla serietà dell'argomento il gioco deformato della parodia. Ma con molta astuzia. La vicenda del Barone di Wansfield e di sua figlia Amalia viene trattata apparentemente con grande serietà. L'uomo rivela subito una feticistica devozione al valore guerresco degli antenati, la fanciulla è divorata da una febbre che la estenua. Sono i morsi di un vampiro, spiega Tommaso, segretario factotum irrimediabilmente succubo delle arti magico-divinatorie di Antonia. Non sarà certo la prospettiva di un matrimonio con lo squattrinato conte di Clermont a ridar vigore ad Amalia. Il suo vampiro si chiama amore e si placa soltanto all'apparire di Riccardo, da lei sposato in segreto prima che fosse scacciato dal ca- Giustino Duran stello e creduto morto in duello. Nel riprendere questa commedia quasi dimenticata e nel rappresentarla all'Adua con il Teatro di Sardegna, Beppe Navello ha spinto alle estreme conseguenze il gioco parodistico di Brofferio. Con l'aiuto fondamentale dello scenografo e costumista Luigi Perego ha montato uno spettacolo che gronda di umorismo macabro. Pallori mortali, occhi fortemente bistrati, costumi spesso violacei che evocano le ali del pipistrello, rigonfie musiche sinfoniche e operistiche: ma l'orrido ha qui le movenze e i toni della farsa, cita in modo persino spudorato le risibili necrofollie della «Famiglia Addams» e il demoniaco siglato Disney. Gioco divertente, amabilmente baraccone, sostenuto da un Giustino Durano che soltanto in qualche punto eccede nella caratterizzazione del barone, da una Isabella Orchis bravissima nel dare ad Amalia i tremori e l'imponderabile evanescenza di una sonnambula. Il Tommaso di Lia Careddu è fortemente assimilato all'idea del topo: ha una lunga coda e porta toponi al guinzaglio. Maria Grazia Sughi è la baronessa Eleonora, Maria Grazia Bodio è Enrichetta, Andrea Brugnera tratteggia bene l'inconsistente Clermont. A Renzo Rossi il compito di portare in scena il positivismo della scienza medica e ad Alessandro Pala il brevissimo ruolo del marito di Amalia. Applausi.calorosi e confortanti risate. Osvaldo Guerrieri Giustino Durano
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