I fratelli scarcerati Insistono « l'omicida è uno dei debitori»
I fratelli scarcerati Insistono «L'omicida è uno dei debitori» Ripartono le indagini sul delitto in collina: «Il pensionato maneggiava centinaia di milioni, aveva paura» I fratelli scarcerati Insistono «L'omicida è uno dei debitori» Non hanno facce da killer Antonio e Massimo Impagnatiello, i fratelli entrati in prigione giovedì 5 marzo con l'accusa di avere ucciso il pensionato Alfredo Schena, e usciti lunedì grazie a un'ordinanza del Tribunale della libertà che ha valutato gli indizi a loro carico «di significato equivoco, o probatoriamente inconsistenti, o compromessi». Nella cucina di casa, in via Priocca 20 a Porta Palazzo, le loro sono facce stanche di ragazzi segnati da 24 giorni vissuti da «presunti colpevoli». Antonio, il più anziano, 32 anni, festeggia a whisky e dice: «La rabbia più grossa era leggere sui giornali che eravamo gay senza possibilità di replica». Massimo, 19 anni, posa la tazzina del caffé e aggiunge: «Proprio noi, che conte donne non abbiamo mai avuto problemi». Eppure è proprio nella loro presunta omosessualità che, secondo l'accusa, andava ricercato il movente del delitto in collina. Carabinieri, pubblico ministero e giudice per le indagini preliminari non avevano avuto dubbi: Schena sarebbe stato ucciso per «motivi sessuali». E le prove? Mozziconi di sigarette fumate da Antonio in un posacenere nel casolare, un sacchetto di proiettili calibro 9 nella casa di via Priocca, alibi contraddittori, testimonianza del cassiere di un cinema a luci rosse. «Accuse assurde», dicono ora i fratelli Impagniatiello. E con i loro legali, avvocati Bissacco, Cristini e Crovella, commentano il provvedimento del Tribunale della libertà. Le sigarette? Non provano nulle. I proiettili? Quelli che hanno ucciso il pensionato sono di una pistola calibro 22. Le contraddizioni? «Cattivi ricordi». E quella storia del cinema? Un fatto che, «pur se si ritenesse provato, costituirebbe circostanza del tutto ininfluente». E c'è dell'altro. Durante gli interrogatori in caserma, Antonio Impagnatiello aveva invitato i carabinieri a cercare l'assassino fra i debitori di Schena, impegnato da qualche anno in un attività di recupero crediti. «Un tentativo per sviare le indagini», secondo l'accusa. «Una possibile pista», per i giudici del Tribunale della libertà. A quella pista, i fratelli credono ancora. Dice Antonio Impagnatiello: «Alfredo se ne occupava per conto di un certo Alfredo Mantelli. Quel lavoro lo preoccupava. C'era gente che gli doveva cifre grosse: cento, centoventi, anche 150 milioni. Io stesso, una volta, ho ritirato per conto suo un paio di assegni per un totale di 180 milioni. E sovente lo accompagnavo a riscuotere a Torino e nei paesi della provincia: ultimamente diceva di avere paura, non voleva mai andare in giro solo». Ora che gli Impagnatiello sono stati scarcerati, ripartono le indagini sul delitto in collina. Ma i carabinieri del Nucleo operativo insistono: l'assassino non va cercato nel mondo dei recupero crediti: «Manca il movente». E lasciano intendere che, nonostante il parere negativo del Tribunale della libertà, al centro delle loro indagini restano solo loro, Antonio e Massimo, i due fratelli che non hanno facce da killer. [g. a. p.] I fratelli Antonio e Massimo Impagnatiello: «E' finito un incubo»
Luoghi citati: Torino
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