Architetti sotto accusa

Architetti sotto accusa Giornate torinesi dedicate a «Uomo, architettura e città» Architetti sotto accusa / limiti: «Fare cose belle da vedere» E si spaccia paccottiglia per qualità Quale modello per la città di domani? Come modificare, ammesso che sia possibile, le città nelle quali vive la maggior parte degli uomini, oggi? Si discute di questi temi al Piccolo Regio nel convegno al quale partecipano architetti e protagonisti della cultuura contemporanea (ingegneri, filosofi, sociologi, amministratori pubblici). L'iniziativa pertinente ed opportuna (promossa dall'Ordine torinese degli architetti e patrocinata dalla Regione) mette a confronto le esperienze, i progetti e le idee di quattro grandi città europee: Barcellona, Berlino, Parigi e Torino. C'è da imparare, da riflettere da confrontare ipotesi e tesi. Una volta tanto l'immaginazione sale sul podio e si confronta con la realtà. Una realtà complessa attorno alla quale sfila un orizzonte abbastanza confuso. Perché non è mai accaduto che il politico e il progettista, il sociologo e l'urbanista dovessero, gomito a gomito, dare risposte urgenti a domande globali incalzanti: che riguardano la qualità della vita, l'organizzazione delle relazioni, la sistemazione dei trasporti e delle comunicazioni, la salvaguardia dell'ambiente e del territorio. Occorre una premessa per capire l'intreccio appassionato (ed anche affannato) delle varie sperimentazioni illustrate negli incontri di queste giornale tori¬ nesi dedicate all'«Uomo, architettura e città». Fino all'inizio del '900 i sistemi delle relazioni sociali, dell'urbanistica, dei servizi e delle comunicazioni ricalcavano grosso modo modelli consolidati da secoli. In meno di cent'anni si sono concentrati avvenimenti (citiamo di sfuggita, le invenzioni applicate all'industria e ai trasporti, la radio e la telematica), che hanno impresso una svolta epocale ai modelli di comportamento. Allora: quale città, domani? Ecco alcuni interlocutori a confronto. Roberto Vacca, ingegnere, pessimista su come vanno le cose oggi (specialmente in Italia) e ottimista per quanto l'uomo potrebbe fare per migliorare se stesso in futuro. Ipotizza una città a dimensione tecnologica, propone l'«agorà telematica» e del sapere, chiede maggior cultura («Ogni città dovrebbe avere una sede universitaria»). Tutto ciò presuppone la gestione corretta dei talenti e delle risorse. Un esempio: «La saturazione inevitabile del traffico, così come lo viviamo oggi, richiederà la dotazione di mezzi di trasporto elettrici ma le attuali reti di distribuzione di energia dovranno essere modificate». Quindi un quesito: come dovremo organizzarci per avere sufficiente energia?. Vacca propone uno scenario futuribile e concreto, di conseguenza ottimista. E' la risposta ai dubbi del filosofo Roberto Salizzoni che introduce nel dibattitto la contrapposizione tra modello di progettazione «conservativa» (che si basa sull'esistente) e progettazione evolutiva ossia sperimentale. Il dilemma tra il possibile e l'immaginario, il positivo e il negativo vedono contrapposti Gino Valle uno dei maestri della nostra architettura e Lucius Burckhardt dell'Università di Kassel. Per quest'ultimo le città non hanno futuro «L'organizza¬ zione sociale è divisa tra chi sta bene e chi no ed i privilegiati che gestiscono il potere e possono usufruire di situazioni ottimali non hanno nessuna predisposizione al cambiamento». Valle a sua volta non indulge all'ottimismo. Si limita a ricordare con un paradosso quali sono i limiti dell'architetto: «Fare cose che siano belle da vedere». Aggiunge: «Il guaio è che i buoni architetti sono sempre meno. Da qui una gran confusione e la paccottiglia che viene spacciata per qualità». Pier Paolo Benedetto Roberto Vacca con il presidente dell'Ordine degli architetti, Silvio Ferrerò

Persone citate: Gino Valle, Lucius Burckhardt, Pier Paolo Benedetto, Roberto Salizzoni, Roberto Vacca, Silvio Ferrerò

Luoghi citati: Barcellona, Berlino, Italia, Parigi, Torino