La storia della Tv di Grasso di Lietta Tornabuoni
L'ITALIA A 24 POLLICI L'ITALIA A 24 POLLICI La storia della Tv di Grasso FRA tante informazioni, c'è il ritratto a dieci anni di Giusva Fioravanti «dalla faccia graziosa, furbesca e disarmante», piccolo interprete di Caroselli e sceneggiati televisivi destinato a diventare terrorista nero. C'è la nascita del termine «lottizzazione» (viene da lotto, da lot, un'antica voce franca col significato di «eredità, sorte, parte assegnata»), polemicamente applicato per la prima volta alla Rai dal giornalista Alberto Ronchey nel 1968. C'è la confessione d'appartenenza alla P2 resa da Maurizio Costanzo nel 1981 a una tv privata: «Voglio compiere, qui, davanti alle telecamere, un rito liberatorio... Ammetto di essere banalmente scivolato in questa vicenda...». E c'è la disperata opposizione alla tv, dall'inizio e per sempre, di molti scrittori italiani: da Leonardo Sciascia («Non la vedo mai, per me non esiste, per me la televisione è come scrivere un libro sull'acqua: il nulla, il vuoto: ho un rifiuto totale...») a Giorgio Manganelli («Non ho la televisione... ne diffido, la sospetto garrula, creativamente instabile, moralmente dubbia...»), a Guido Ceronetti («Non è altro che una radio allargata»), a Pier Paolo Pasolini che nel 1975 propose di abolire la televisione insieme con la scuola dell'obbligo. Aldo Grasso, docente universitario di Teoria e tecnica dell'informazione alla Cattolica di Milano, critico televisivo del Corriere della sera, saggista e ricercatore, conduttore della indimenticata radio-rubrica sulla tv «A video spento», con Storia della televisione italiana (prefazione di Beniamino Placido, Garzanti) ha fatto il libro di consultazione sinora più completo sulla nascita e sull'evoluzione della nostra compagna quotidiana. Non una storia politicofinanziaria né un'analisi di costume, non un saggio esteticosociale né una cronaca delle spartizioni e degli scandali partitici, non una lettura brillante e neppure uno studio sui teleproblemi dell'informazione. Sottraendo la televisione alla perenne polemica italiana sul potere o sui posti di comando e all'esame sociologico Xerox-americano, senza futilità Grasso la restituisce a quanto ha avuto e ha per i telespettatori la maggiore importanza: i programmi, i personaggi, gli eventi. Dalla preistoria a oggi, dal monopolio Rai al pluralismo, dal 1954 al 1991, dai professori che rappresentavano la vocazione didattica della televisione pubblica (Cutolo, Medi, Jole Giannini) ai comici che esemplificano il telepresente (Chiambretti, Teocoli, Gene Gnocchi, Pippo Franco), il libro ripercor- re la televicenda italiana. Di ogni anno, un breve corsivo basta a restituire la situazione strutturale, economica, gerarchica, legislativa. Anno per anno, vengono sinteticamente evocati i programmi più amati o rilevanti con un'attenzione speciale a un significativo «programma dell'anno», e vengono citati coloro che ne hanno scritto; vengono tracciati rapidi ritratti di personaggi emergenti e ricordate le cronache; vengono indicati libri specifici, segnalati film sulla tv, riportate classifiche di popolarità. Ogni decennio è scandito da un'analisi dell'autore sui temi imposti dall'attualità: le virtù e ambiguità della divulgazione televisiva, il rapporto difficile tra cinema e televisione, il calcio in tv, la vigilia del grande mercato televisivo dell'Europa senza frontiere. Gli indici ben compilati consentono di ritrovare con facilità argomenti, programmi e persone: questa storia-enciclopedia, utile libro d'informazione tra cronologia e antologia, potrà restare anche l'utilissima base di discussioni altrimenti approssimative su fatti mairi cor dati; ed è del tutto insolito che una nota s'indirizzi ai lettori chiedendo loro collaborazione, sollecitando eventuali aggiunte, integrazioni, modifiche o correzioni d'errori. Nella prefazione a Storia della televisione italiana, Benia- mino Placido ricorda che il compito inizialmente affidato alla tv era quello di unificare l'Italia. Compito assolto: «Ma intorno a quali "valori" ha unificato il Paese? Lo ha unificato intorno a un unico valore, la soggezione alla televisione». Nell'introduzione, Aldo Grasso riconosce che «la Rai rimane il più formi* dabile progetto culturale elaborato dal pensiero cattolico in Italia nel campo della comunicazione» e anche «la più grande e innovativa industria culturale dell'Italia»; mentre la televisione commerciale ha modificato il linguaggio («tutto è frantumato, tutto è "corto", tutto è facilmente dimenticabile») e ha «trasformato la televisione in un enorme supermercato in cui si trova di tutto». Adesso, conclude Aldo Grasso, per molte persone la televisione è un sostituto della vita e il modello di comunicazione pubblicitaria va diventando il modello di comunicazione dominante, anche in campo politico: «Caduto il monopolio, in Italia la sola "uguaglianza magica" che si possa ora realizzare è nel settore dei consigli-per-gli-acquisti». Lietta Tornabuoni " Aldo Grasso Storia della televisione italiana Garzanti pp. 622, L 48.000 Dal monopolio Hai al pluralismo una storia lunga quaranl'anni
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