SARTORI : UN VADEMECUM PER LA SECONDA REPUBBLICA di Furio Colombo

SARTORI : UN VADEMECUM PER LA SECONDA REPUBBLICA SARTORI : UN VADEMECUM PER LA SECONDA REPUBBLICA "■k "V'ON so spiegarmi come mai non sia ancora i^K venuto in mente di faI ^ft re una ricerca di opiI nione su due parole I che occupano uno j spazio infinito nei giornali, nei notiziari I S della televisione e nel JL. V discorso politico. Le due parole sono Riforme Istituzionali e Referendum. Ci sono partiti che si dividono, su questi punti, platee che si spaccano, leaders che se ne vanno bruscamente per la loro strada lasciando il partito, partiti che lasciano i leaders. Sarei curioso di sapere se la gente (e per «gente» intendo coloro che hanno vero interesse per la vita politica) sa di che riforme si parla e di quali referendum si discute. Quanto agli esperti - che sono gli esclusivi conduttori del gioco - sembrano non rendersi conto, in buona fede, che il significato di ciò che stanno discutendo e per il quale si scontrano, non è comune, non è noto, o è stato dimenticato. Naturalmente la responsabilità di giornali e giornalisti è molto grande. Che bella idea sarebbe se nel giorno dedicato al silenzio (il 7 marzo scorso) nelle redazioni si fosse presa l'iniziativa di pubblicare spontaneamente «glossari» e «dizio¬ nari» di parole politiche incomprensibili, da usare negli altri giorni, quelli delle normali pubblicazioni. Con una pazienza e una semplicità che sorprende, lo ha fatto Giovanni Sartori. Tutta la prima parte del suo «La Seconda Repubblica? Sì, ma bene» (Rizzoli, pp. 120, L. 18.000) è un manuale diretto al pubblico per dire: sapete di che cosa si discute, da un lato all'altro del Paese, dall'alto al basso dello schieramento politico, in questi anni, sapete su che cosa si scontrano i personaggi politici coinvolti in fitti dibattiti che non si capiscono? Visto che i politici non si voltano indietro per vedere se la folla li segue, visto che i giornalisti spesso ripetono il gergo politico senza spiegarlo, il più illustre dei politologi italiani, in centodiciassette chiarissime pagine spiega, illustra, fa esempi, confronti, indica i nomi, definisce le ipotesi. E quando le ipotesi sono nuove e senza precedenti, trova nomi e definizioni nuove. Giovanni Sartori è un «politicai scientist» che alla Columbia University occupa - unico straniero - la «Albert Schweitzer Chair on Humanities» e che gli americani considerano un riferimento nella cultura politica mondiale. In Italia è intervenuto varie volte, sempre con chiarezza, e anche con humour, sulle «riforme». Ma anche quando ha avuto successo nel raggiungere il pubblico e nel farsi capire - col suo linguaggio limpido e il suo rigore logico di fiorentino ostinato - si è scontrato col secondo problema del discorso pubblico italiano. Se il primo è l'oscurità, il secondo è il soliloquio. Ciascuno parla da solo, guarda avanti, e, se partecipa a un dibattito, attende cortesemente (quando il dibattito è cortese) che l'altro abbia finito. E ricomincia esattamente dal punto in cui si era interrotto. Ricomincia a parlare di sé e della sua idea senza tenere il minimo conto di quello che ha ascoltato (o avrebbe dovuto ascoltare) da altri. Anche in questo caso la chiarezza e il rispetto per il pubblico del politologo Giovanni Sartori rivelatosi in questo caso pamphlettista ricco di verve e di gusto - costituiscono un caso a parte. Appena si è aperto il dibattito sulle «riforme», Giovanni Sartori, che ha passato ima vita di studioso a occuparsene (una vita piuttosto bella, molto apprezzata dai suoi pari: è stato preside della scuola Cesare Alfieri di Firenze, Chairman del Dipartimento di Politicai Science della Stanford University per poi essere chiamato alla Columbia University a New York), non si è tenuto in disparte con sdegno. Ha cominciato a scriverne (sul Corriere della Sera) con precisione, con chiarezza, con humour. Ha passato in rivista il sistema americano, si è chiesto perché funziona. Ha risposto che conta molto l'ambiente culturale, la storia. Ha provato a immergerlo nel sistema italiano. Ha dimostrato che i due sistemi culturali e storici non si corrispondono. Ha fatto la stessa prova col sistema francese, ha mostrato i pezzi del meccanismo istituzionale, li ha montati e smontati per mostrare dove sono i punti di controllo e di predominio, più vicini alla presidenza, più vicini al «cancelliere», più vicini al Parlamento. Articoli provocatori per la limpidità, ma anche per gli spunti critici che contenevano rispetto a tante altre posizioni hanno attratto l'attenzione del pubblico, che finalmente capiva e poteva interpretare battute, frecciate, riferimenti, allusioni, con cui ogni sera i leader politici si fronteggiavano al telegiornale. Con la stessa mano pedagogica, con lo stesso proposito di non perdere il filo logico e quello storico, di notare implacabilmente confusioni e contraddizioni, Sartori ha scritto adesso questo piccolo libro esemplare. Prevedo, come per gli articoli, una reazione in quest'ordine. Interesse e attenzione della gente che finalmente capisce. E' come avere in mano una mappa e sapere finalmente come orientarsi. Rispettosa risposta degli addetti ai lavori che, però, passeranno a illustrare ['altra posizione, quella che hanno sposato e sostengono, perdendo di vista il senso di questo libro, che è spiegare, prima di tutto. Disattenzione dei naturali destinatari, i politici. Molti di loro perderanno due occasioni. Di chiarire e di farsi capire. Ci sarà qualche battuta ai margini di un convegno, e via. Fatica e talento sprecato? Non credo. Dopo tutto al gioco della democrazia partecipa anche l'opinione pubblica. Più è informata e meglio gioca. Questo libretto è un punto importante a favore di un grande dibattito fra l'opinione in grado di capire e partecipare e le altre parti del gioco. E' un libro che aprirà due o tre finestre nel «circolo delle riforme». E porterà frequentatori meno confusi e passivi. Furio Colombo

Persone citate: Albert Schweitzer, Cesare Alfieri, Giovanni Sartori, Sartori, Stanford

Luoghi citati: Firenze, Italia, New York