USA la notizia è uno spot di Furio ColomboLivio Zanetti

USA la notizia è uno sport Pubblicità e informinone confondono i loro messaggi. Il giornalismo americano cambia, e in peggio USA la notizia è uno sport ENEW YORK E sei fotografie a colori che Benetton ha proposto di recente per la sua campagna di pubblicità (il malato di Aids che muore, l'auto che brucia, il delitto di mafia, il guerrigliero nero che impugna un osso umano, gli scampati indiani dell'alluvione, la nave dei profughi) hanno provocato un dibattito molto vivo in America. Di che tipo di comunicazione si tratta? E' un modo opportunistico di fare pubblicità o è un percorso strano del giornalismo? L'idea di Benetton ha trovato un terreno carico di dubbi. Per esempio Calvin Klein insiste da tempo sui «news magazines» con le fotografie della «donna presidente»: sei immagini che sembrano scattate per un servizio di attualità. Una donna giovane siede nel luogo del potere circondata da ministri, assistenti, agenti del servizio segreto, deputati, portaborse, tutti uomini. La serie fotografica viene pubblicata senza alcuna indicazione pubblicitaria, salvo una scritta nell'ultima pagina che dice «omaggio alle donne», e la firma dello stilista. La sequenza è fatta per apparire come notizia e pone il problema: di che notizia si tratta? Il problema si fa più complesso quando - nella sede dell'autorevole Time May ozine - si fa largo il sospetto che vi sia un intreccio fra messaggio e pubblicità della casa. Ricordate la copertina di Time che proclamava, in dicembre, Ted Turner «uomo dell'anno»? Giornalisticamente la scelta può essere giudicata impeccabile, perché il '91 è l'anno della Guerra del Golfo, la guerra della Cnn e di Turner, che l'ha creata. Ma Ted Turner è anche azionista di Time, con una quota del 27 per cento. «Come ci difendiamo?» hanno risposto i giornalisti di Time in un corsivo. «Semplice. Siamo bravi e al di sopra di ogni sospetto». • Certo imbarazzano di più - in quel settimanale - i servizi lunghi e frequenti dedicati ai film Warner, alla musica Warner, ai libri Warner, ai cartoni animati Warner, ai divi e autori Warner. Ma è un incrocio di percorsi ormai inevitabile. Warner controlla una parte considerevole del tempo libero americano. E la quota di maggioranza di Time. In queste avventure Time non è solo. La trasmissione giornalistica della tv americana più ammirata e credibile, dicono gli esperti, è «Nightline», condotta dal leggendario Ted Koppell. E' giusto. Ma «Nightline», in una intervista con Oliver North, ha mandato in onda un intero video promozionale sul colonnello del caso Iran-Contras e sul libro, offerto al programma televisivo dall'editore, Warner, appunto. Ma senza mai indicare che si trattava di un filmato promozionale, presentandolo, anzi, come «una nostra inchiesta». Il «caso North» ha aperto la strada alla scoperta di moltissimi casi analoghi. Quasi tutti i servizi scientifici su nuove scoperte e nuove tecnologie vengono illustrati con video promozionali messi a disposizione da chi produce la nuova medicina o la ricerca d'avanguardia. Gli spettatori pensano a una testimonianza obiettiva. Il caso è apparso così grave e diffuso che la «Drug and Food Administration», che sorveglia la messa in commercio dei medicinali, si è arrogata una responsabilità che i giornalisti non si sono assunti in proprio. Vuole vedere tutti i filmati e video prodotti dalle società farmaceutiche per verificare che non corrispondano ai servizi mandati in onda dalle stazioni televisive come «documento scientifico». Ma le reti televisive, piuttosto che essere colte (raramente) con le mani nel sacco, sono esse stesse iniziatrici di un nuovo giornalismo in cui il rapporto con la realtà cambia per gradi, fino a diventare sempre meno credibile, sempre più vicino a un prodotto, sia pure un prodotto creato in casa, dalla televisione stessa. Il primo gradino è quello di trasmissioni come Inside Edition e Hard Copy. In esse un fatto vero viene ricostruito o sceneggiato, a volte con attori, a volte con gli stessi protagonisti che si prestano, ma con musica, stile e montaggio da cinema. Si tratta, suggerisce Paul Fahri del Washington Post, di una forma di para-giornalismo, in cui la vicenda vera raggiunge un grado molto alto di spettacolo. Un nuovo stile, più drammatico e più consumabile? Forse, ma è incalzato da un'altra novità, quella di preannunciare nel telegiornale un film su una vicenda vera, inserendo nel telegiornale una notizia che assomiglia al film. Dopo il film, nel tg della notte, i protagonisti veri della vicenda vengono portati in studio (magari cercandoli negli ospedali e nelle prigioni). Tutto ciò, secondo gli esperti, diminuisce agli occhi del pubblico la demarcazione fra notizia e invenzione. Sono veri tutti i film della tv, anche quelli i cui protagonisti non vengono esibiti in studio? Un altro esempio di contaminazione fra spettacolo e notizia è una forma di telegiornale con pubblico e applausi. Uno dei modelli di maggior successo si chiama Making It, è prodotto dalla Abg-tv ed è indirizzato soprattutto alle minoranze urbane. Potete vedere una ragazzina che racconta la sua vita di droga. L'effetto è vero e brutale, la sentite dire che sua madre dava via quel poco che i bambini avevano da mangiare per comprare la droga, che persino il bagno di casa veniva affittato a piccoli spacciatori. Vedete la casa, ascoltate le testimonianze di una vita d'inferno. Quando la bambina ha finito la sua confessione-verità il pubblico applaude, grida. E si passa alla «notizia» successiva. Qui però, nei programmi con il pubblico (dove realtà e spettacolo si mischiano e si influenzano controllare) si inserisce un altro fatto nuovo, il cosiddetto «infomercial» o informazione commerciale truccata. Avviene in molti modi. O perché la persona che conduce in studio fa riferimenti casuali - che sembrano imposti dalla notizia - a un certo prodotto, o perché presta la sua voce e la sua credibilità di conduttore del programma di notizie per preannunciare lo spot commerciale che sta per venire, indicando il nome del prodotto. Nei giornali radio, e soprattutto nel più ascoltato d'America, quello della Cbs-radio, che è ritrasmesso in tutto il sub-continente americano, il rapporto si è fatto ancora più stretto. Le due voci note dei conduttori, che leggono le notizie della Casa Bianca, delle vicende russe e della guerra in Jugoslavia, a un certo punto, con lo stesso ritmo e tono, passano a raccomandare un prodotto, un'agenzia di viaggio, una marca di cibo in scatola, una banca, raccontandone i pregi, le ragioni di fare la scelta. Poi riprendono a leggere le notizie. E' una contaminazione che non è ancora avvenuta (non in modo così diretto ed esplicito) nei telegiornali. Ma molti sostengono che le stazioni tv, nazionali e locali, sono già affollate di «documercial» o «documentari commerciali». Sono programmi che hanno tutta l'apparenza del documentario, ma nascondono nome e raccomandazione di un prodotto, spesso di grandi marche nazionali. Un «documercial», a sua volta, è interrotto da regolari spot commerciali, in modo da accentuare la sensazione che si tratti di un normale programma sponsorizzato da altri. Uno dei modi più eleganti di affrontare i «documercial» è stato adottato dalla redazione sportiva della Nbc-tv per la rubrica «Vita di un campione». La mac¬ china da presa segue l'atleta mentre compra un certo antidolorifico, mentre beve da una certa lattina, mentre indossa un certo paio di scarpe. E poiché il filmato con il campione comincia nello spogliatoio, vediamo anche la marca di mutandine e canottiera, di camicie e di jeans. I giornali non sono da meno. Il New York Times, nel supplemento domenicale del 1° marzo, aveva un articolo dedicato al campione di golf Chi Chi Rodriguez, illustrato da molte fotografie di bambini. Il testo narrava lo slancio con cui Rodriguez si dedica ai bambini poveri e insegna loro a giocare a golf. In piccolo, alla fine dell'articolo veniva detto che tutto era pagato dalla Toyota. Ma anche il diffondersi delle pagine a pagamento (per un manifesto politico, per la difesa dei diritti di qualcuno in un Paese lontano o per la proclamazione di un nuovo leader religioso), rappresenta una forma di nuovo giornalismo, o almeno di nuova comunicazione. I redattori di un giornale sono sempre meno i responsabili dei messaggi che passano, della scelta degli argomenti, delle notizie che - come dice il motto del New York Times - «vale la pena di pubblicare». Tutto ciò dimostra die regna incertezza, nelle fonti di informazione, della carta stampata, delle radio, delle televisioni sui gusti e i desideri del pubblico, fra indici di preferenza che crollano e costi che aumentano. Pensate alla catena televisiva Cnn. Divenuta celebre con i servizi di Peter Arnett da Baghdad, adesso sostiene le sue immense spese alternando a telegiornali e dibattiti «regolari» serie sempre più frequenti di un genere di giornalismo che si potrebbe chiamare «turistico». Comprende apertamente raccomandazioni di luoghi, prodotti e persone. E fa un certo effetto vedere questi programmi intercalati da nostalgici spot che la Cnn dedica a se stessa. «Volete rivedere la Guerra del Golfo? chiamate questo numero e vi manderemo il video di quei giorni mdimenticabili». Tutto ciò spiega forse perché The Economist ha intitolato uno dei suoi editoriali (in 29 febbraio) «The Media Mess», la confusione dei Media (ma «mess» si può anche tradurre «pasticcio, disastro»). L'editoriale fa notare che l'astronave delle informazioni funziona con propulsori: la grandezza (1 dollaro su 6 del Prodotto nazionale lordo di ogni Paese industriale avanzato è speso nei media e nei suoi messaggi), l'indebitamento, che consiglia la corsa verso qualunque avventura. E il dominio di persone (Maxwell, Murdoch, Steve Ross) che, per brevi stagioni, mantengono spazi enormi di controllo e sono libere di travolgere, perché si tratta di un'industria senza codici e senza tradizioni. Di fronte a noi, sostiene il settimanale inglese, c'è questa prospettiva: più tempo libero, più televisione, più Hollywood. Nell'insieme la previsione è di un'immensa macchina disordinata, che invade lo spazio e spinge al margine le notizie. A meno che... Ma la parte positiva di quel che potrebbe accadere non è ancora stata scritta. Furio Colombo modsempre pstretto, sempre pdifficile dIn basMiriaMae LivZane modo sempre più stretto, . sempre più difficile da In basso Miriam Mafai e Livio Zanetti

Luoghi citati: America, Baghdad, Hollywood, Iran, Jugoslavia