Anche due generali spie di Stalin

Anche due generali spie di Stalin Nuovi documenti sui soldati italiani prigionieri in Urss nell'ultima guerra Anche due generali spie di Stalin Furono arruolati dai sovietici con altri 35 nostri ufficiali Accettarono di lavorare per Mosca nel periodo post-bellico MOSCA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE I prigionieri di guerra italiani «arruolati» dallo spionaggio so- ' vietico mantennero i contatti con il Cremlino anche dopo il ritorno in patria? Nessuno può affermarlo, almeno per ora. Ma che l'arruolamento ci fu è certo. La conferma è venuta da nuovi documenti ottenuti da «La Stampa», secondo i quali almeno due dei tre generali italiani prigionieri accettarono di collaborare anche nel periodo post-bellico. E' chiaro che il «sì» può essere stato dettato da minacce e pressioni, ed è possibile che una volta tornati in Italia, ufficiali e soldati abbiano tagliato ogni contatto con Mosca. Ma anche in questo caso, i documenti presentano un grande interesse. «Al Commissario del popolo per gli Affari Interni dell'Urss, Commissario generale per la sicurezza di Stato, compagno Berija L.P. Relazione sul lavoro operativo con gli agenti effettuato dal Direttorato per gli affari dei prigionieri di guerra e degli intemati». Con questo titolo, l'8 marzo del 1944, il responsabile per gli affari dei prigionieri Ivan Petrov ed il suo vice Melnikov, informarono il sanguinario gendarme di Stalin, Lavrentij Berija, sul lavoro di spionaggio svolto nei lager dei prigionieri di guerra, dal dicembre del 1942 al primo marzo del 1944. La relazione, in tutto 23 pagine, è ancora coperta dal segreto, e per questo motivo non siamo riusciti ad ottenerne il facsimile, ma solo una fedele copia dattiloscritta. 11 capitolo più «esplosivo» è il terzo, intitolato «L'arruolamento di agenti per il periodo postbellico». E' qui che vengono fornite le cifre esatte degli agenti reclutati tra i prigionieri di guerra entro il primo marzo 1944. I 3239 «selezionati» per lo spionaggio in patria vengono così divisi per nazionalità: «956 tedeschi, 1415 romeni, 168 ungheresi, 180 italiani, 423 slavi, 69 finlandesi, 28 francesi». Tra i 400 ufficiali «arruolati» si contano 7 generali (di cui due italiani), 16 colonnelli (un italiano), 13 tenenti-colonnelli (due italiani), 78 maggiori (quattro italiani), 35 capitani (tre italia- ni), 251 tenenti e tenenti maggiori (25 italiani). Nel complesso, dunque 37 dei nostri ufficiali accettarono di fornire informazioni durante la prigionia e, almeno a parole, anche dopo. Il fatto che nel documento si parli di 180 italiani selezionati, e non di 164 come risulta dai documenti da noi pubblicati domenica, non deve sorprendere. Il rapporto in questione è infatti aggiornato al 1° marzo 1944, e nel documento successivo, che copre tutto il 1944, si precisa che 1342 dei «prescelti» furono «trasmessi ad altri organi», e che altri 110 furono «esclusi». Secondo le fonti sovietiche, i primi 1282 prigionieri italiani furono rimpatriati dalla Russia il 20 luglio del 1945, e gli ultimi 27 addirit¬ tura nel 1954, dopo 12 anni di reclusione. E' dunque possibile che il numero dei militari destinati a far da spie si sia ulteriormente ridotto. Nel marzo del 1944, però, gli uomini di Berija contavano ancora di poter utilizzare 180 italiani. Nel paragrafo a loro dedicato, Petrov e Melnikov indicano la quantità di agenti selezionati per operare nelle città strategicamente più importanti: «Roma 15, Milano 6, Torino 3, Genova 2, Bologna 5, Napoli 3». Che tipo di informazioni fornirono ai sovietici i nostri militari? Durante la prigionia si trattò di riferire gli umori dei tedeschi, di tratteggiare la personalità dei generali hitleriani, di segnalare obiettivi militari e in- dustriali nelle retrovie e in patria. Mentre gli alleati combattevano il nazifascismo, e tanto più dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, questo tipo di collaborazione suscita tuttavia solo simpatia. Secondo alcune indicazioni, però, vi furono casi in cui alcuni soldati italiani accettarono di denunciare i «crimini di guerra» dei propri compagni d'arme. Ancor più dubbio dal punto di vista morale, certo, è lo spionaggio post-bellico a favore dell'Urss, se mai ci fu. Su questo punto, però, ottenere chiarimenti dalle autorità russe è ancora impossibile. Fabio Squillante ,rr~ ™« oiHTBer, .irò ne nnHBMtyn* drili ll i i chriè supgedmPcaDgepdddindKil sedi di documento che riproduciamo è la relazione sul campo di prigionia per generali n. 48, del generale maggiore Ivan Petrov capo del Direttorato generale per gli affari dei prigionieri di guerra e degli internati, inviata al vice di Berija, Serghej Kruglov, il primo settembre 1943

Persone citate: Fabio Squillante, Ivan Petrov, Kruglov, Melnikov, Petrov, Stalin