Otto Dix la rivolta di un reazionario

Otto Dix, la rivolta di un reazionario Londra scopre il pittore tedesco in una retrospettiva di 150 opere Otto Dix, la rivolta di un reazionario Dalla violenza della guerra alla società crudele J\\ LONDRA I ' APITA talora di avvertiI re, con un dolore rasse1 i gnato e chiuso, quante >^ I privazioni e incomprensioni deve subire chi, per una ragione o per l'altra, non si accorda o addirittura si oppone alle correnti e alle convenzioni della società. Questa sensazione la si prova oggi di nuovo visitando la mostra di Otto Dix (90 olii, 25 acquarelli, una cinquantina di disegni) che la Tate Gallery di Londra accoglie nelle sue sale fino al 17 maggio, dopo le soste di Stoccarda e Berlino che nei mesi scorsi hanno celebrato il centenario della nascita del grande pittore tedesco. Sembra infatti che il destino della cultura tedesca in tutte le sue manifestazioni artistiche (dalla pittura alla musica) sia quello di accendere le passioni' politiche e di essere spesso esaltata o esecrata al di fuori di più equilibrate ragioni estetiche. Rintracciarne le motivazioni ci porterebbe lontano, non soltanto alla Germania nella guerra del 1870 e poi nei conflitti mondiali di questo secolo. Ci porterebbe fino agli artisti della Riforma, fino a Diirer, Altdorfer, Baldung Grien o Gruenewald, così come guardare e capire Dix ci porta proprio fino a questi stessi maestri a cui Dix non smise mai di guardare e d'ispirarsi in tutta la sua carriera. Fu la sua una scelta (e certo una necessità) che fece subito, quando appena ventenne, praticamente autodidatta, cominciò a dipingere a Dresda: qui s'era trasferito per seguire i locali corsi d'arti e mestieri lasciando il piccolo villaggio rurale dove il padre esercitava la sua modesta attività di fabbro del paese. E in mostra spicca uno dei primi dipinti, Autoritratto con un garofano, eseguito all'età di 22 anni: era il 1912. Inevitabile l'incontro con la pittura di Vari Gogh: quello stesso anno, in autunno, una mostra di 41 quadri alla Galleria Arnold di Dresda lo mette in contatto con l'espressionismo teso e febbrile del maestro olandese. La reazione di Dix è immediata, ecco il Sorgere del Sole, dove un sole dai raggi neri come spade esplode su un paesaggio invernale visitato solo dalle nere grida dei corvi. Poi il futurismo italiano e l'interventismo. La guerra sarà dapprima una visione inebriante e lo testimoniano gli straordinari autoritratti che lo raffigurano come un dio guerriero: quello doppio del 1914, in un rosso sontuoso, quello da Soldato e poi l'altro con l'elmo dorato da Artigliere guglielmino. Vederli e pensare alla continuità della cultura figurativa tedesca è quasi una reazione immediata, tanto richiamano alla mente due tra i migliori pittori al lavoro oggi a Berlino, Fetting e Lupertz, a settant'anni di distanza. Come loro è affascinato dalle forze della violenza e in trincea disegna moltissimo (spedisce a Dresda più di 600 tra disegni e acquarelli), si butta nell'avventura della guerra con tutto se stesso, senza nessun sentimento di paura o disgusto; registra quello che vede, anche a costo delle accuse di militarista e di reazionario. Nel 1919 il rientro in patria segna l'inizio del periodo più febbrile della sua maturità artistica, influenzata, ma per breve tempo, dal dadaismo, la cui irridente critica della società e dell'arte borghese non poteva che trovare la sua approvazione: Una Strada di Praga e i Giocatori di Skat ben lo dimostrano; ma l'ironia e il gusto per il gioco di quel movimento non fanno parte della sua natura. La violenza, come una compagna ormai inseparabile, torna a visitarlo nella lunga serie di incisioni della Guerra (la sua più famosa), nei ricordi di vita militare (La stanza degli specchi di Bruxelles), che conferma il suo gusto per rappresentare la prostituzione e le disparità sociali (più tardi lo accuseranno di comunismo) mentre s'infittiscono, col successo anche di scandalo e provocazione che ormai lo circonda, le commissioni per i ritratti. Ecco allora sfilare sotto i nostri occhi (in mostra sono più di una ventina) il grand e demi monde della Repubblica di Weimar: poeti, intellettuali, attori, mercanti d'arte e d'armi, chirurghi, avvocati, ballerini, acrobati, assassini, marinai, pasticcieri, tutti protagonisti o comparse di quel gran teatro che sarà poi identificato con gli «Anni Venti di Berlino». Qui in verità Dix s'e- ra trasferito dopo una sosta di tre anni a Dusseldorf che con Dresda, dove ricoprì l'incarico di professore all'Accademia di Belle Arti dal 1927 al 1933, costituisce il terzo e penultimo degli spostamenti affrontati nella sua vita. In questi quindici anni i suoi capolavori si susseguono e non solo i ritratti, come quello di Anita Berber, una cult-figure nella Berlino di quegli anni, fasciata nel suo vestito di scena in raso rosso o quello della Giornalista Sylvia von Harden, con il suo monocolo di lesbica trasgressiva. Sono infatti anche gli anni dei grandi trittici: La guerra del 1932 e Metropolis del 1928, delle grandi allegorie Tre Prostitute, Melancolia, Vanitas, La strana coppia, quasi tutti dipinti a tempera, strato dopo strato con la pazienza degli antichi maestri. Da qui il fulminante giudizio di Grosz che lo soprannomina «Otto» Beldung Grien e quello del conte Harry Kessler, una delle più importanti figure dell'haut monde della Repubblica di Weimar, che aveva capito tutto prima degli altri e lo definisce «un rivoluzionario reazionario». Ma era lo stesso Dix a spiegarci, in termini di pittura, la sua intenzione: «Per me innovazione significa estendere, intensificare le forme d'espressio- ne già contenute nella pittura dei maestri antichi». E ce lo proverà con le invenzioni strabilianti, i Ormai il nazismo ha trionfato e Dix tuttavia non lascia la Germania anche se viene accusato d'essere un pittore «degenerato». Si dedica a un tema meno compromettente, il paesaggio, che dipinge sempre più frequentemente ispirandosi alla natura che lo circonda vicino a Costanza, dove s'è ritirato a vivere nella sua quarta e definitiva dimora, sempre richiamandosi agli antichi maestri, Friedrich e Runge. Raffigura ancora delle allegorie, ma i demoni che le abitavano sono ormai dei fantasmi, li Terzo Reich «millenario» lo strappa dal suo isolamento e lo richiama alle armi in un disperato tentativo di sopravvivenza, proprio sul finire della guerra, nel 1945, e finisce in un campo di prigionia alleato che l'ironia della sorte vuole a Colmar, là dove allora come ancor oggi, c'è l'«infetto» capolavoro di Gruenewald a cui tanto doveva. Ma l'ebbrezza della guerra, i piaceri della violenza e l'erotismo sono ormai come il lontano ricordo d'un ergastolano che abbia perfino dimenticato le motivazioni della condanna. Non lo vuole più nessuno. I trasformisti di regime lo giudicano non abbastanza realista nella Germania Est, troppo figurativo nella Germania Ovest (l'americanismo è ora di moda e l'espressionismo s'è fatto astratto). Dix cade nell'oblio pur tentando sempre di esporre. Manda un quadro a una mostra, ma prima d'accettarlo gli chiedono d'inviare un curriculum vitae: è moralmente ucciso. Come in un delirio d'autocommiserazione dipinge ancora dei Cristi derisi, insultati, flagellati, ma sono quasi tutti autoritratti. Ora il Muro è caduto, la Germania è riunita, tutto sembra tornato come prima, quando Dix era un giovane apprendista avido di successi in una Dresda intatta. Ora è arrivato il momento della riscoperta ufficiale e da Stoccarda e Berlino sono partite le celebrazioni. Dureranno? MaxRabino ne gidei mverà liantiOrme Dix maniad'esseto». Scompche dquentnaturCostavere nva didosi adrich delle Qui accanto un dipinto di Otto Dix: «Prostituta con guance rosse» (1923) Sotto: autoritratto dell'artista con sigaretta in un disegno del 1922 Sopra: particolare del trittico «Metropolis» (1928) esposto in questi giorni alla Tate Gallery. Qui accanto: «Ragazza con rosa» un dipinto del 1923