GROUCHO Buffone e seduttore

GROUCHO Buffone e seduttore GROUCHO Buffone e seduttore uffone -htIEGLI Anni 60, quando il A Sunday Times criticava « la moda delle autobiogra1 fie definendole «comuni kAl oggi quanto l'adulterio, e raramente meno riprovevoli», Groucho Marx stava cercando di scrivere la sua, in piena conformità con il giudizio del Times fatta eccezione naturalmente per la morale. Le sue regole erano semplicemente due. Rivelare il meno possibile sul suo privato («dopo 80 mila parole i tuoi lettori non sanno ancora un dannato niente di te», gli scrisse il suo editore dopo aver letto il manoscritto), e concedersi un piccolo peccato ogni volta che se ne presentasse l'occasione. Più o meno la stessa cosa accadeva nelle interviste. Se il giornalista era un uomo, tutto quello che otteneva dal grande comico ormai settantenne erano battute su argomenti generici. Se invece era una ragazza con due belle gambe lunghe e un seno generoso, allora Groucho inforcava gli occhiali e usando tutto il suo «charme» lasciava cadere sul discorso una pioggia di battute sul sesso e sull'assurdità del vincolo sacro tra un uomo e una donna (cose come «Il matrimonio è la causa principale del divorzio», oppure «Il problema del matrimonio è che devi sposare una donna, l'ultima persona al mondo con cui potresti avere qualcosa in comune»). Per concludere quasi infallibilmente cercando di ottenere un appuntamento con la bella ragazza. Fu solo dietro l'insistenza del suo editore che il più insolente e geniale dei fratelli Marx ammise di avere moglie, e anche tre figli. Due dei quali, Arthur e Miriam, pareggiano oggi i conti con quelle «temporanee amnesie» del padre, con due libri che fra qualche settimana usciranno negli Stati Uniti, mentre in Italia manca poco all'uscita di Lettere di Groucho Marx, con cui l'Adelphi rende elegantemente omaggio al Julius H. Marks memorabile corrispondente di intellettuali colleghi del mondo del cinema, giornalisti, teatranti, agenti e amici. Insomma una pioggia di libri che danno finalmente un ritratto diverso, più vero, di un grande attore che preferiva passare per freddo piuttosto che rivelarsi sentimentale, ma che con tutto se stesso amava invece la famiglia, i libri e i soldi senza distinzione. Basta dare uno sguardo alle 200 lettere inedite alla figlia Miriam, che escono ora col titolo Love Groucho (Faber & Faber), per vedere che, dove non si parla di denaro, il discorso cade sempre sui più affettuosi e franchi consigli da padre a figlia: «John dice che vi siete conosciuti in ascensore. Stava salendo o scendendo? Questo è importante perché scendendo in ascensore si ha sempre quella sensazione di affondare, e per quel che ne so avresti potuto scambiarla per amore. Se invece stavi salendo si tratta certamente di amore a prima vista...». Groucho Marx amava scrivere e amava la compagnia degli scrittori, anche se usava spesso l'ironia per mascherare la soggezione che gli incutevano. Già negli Anni 20, quando il successo di The coconuts e Animai crackers nei teatri di Broadway aveva fatto di lui una celebrità, non concepiva passatempo migliore che starsene in famiglia, con un grosso havana e l'ultima copia del New Yorker. La mattina incontrava i fratelli Harpo, Chico e Zeppo in un ristorante vicino al teatro, dove le battute rimbalzavano velocissime da un lato all'altro della tavola, sulla quale i tovaglioli diventavano conigli e le zollette di zucchero dadi per giocare d'azzardo. Ma era la sera che i Marx venivano introdotti da Dorothy Parker tra i letterati della cerchia dell'Hotel Algonquin: col risultato che se Groucho cercava di nascondere il suo complesso di inferiorità concludendo ogni riflessione colta dei suoi nuovi amici con una battuta brillante, gli altri tre si volatilizzavano alla svelta, alla ricerca del più vicino tavolo da gioco. Non a caso, lo stesso atteggiamento di Groucho si riflette in una sua lettera a T. S. Eliot, a cui ammirato e faceto scriveva: «Non credevo che lei fosse così bello. Se non le hanno ancora offerto un ruolo in qualche film sexy, ciò è da attribuire solo alla stupidità dei responsabili del casting». In ogni caso, che ci si scherzasse sopra o no, la stupidità del mondo di Hollywood era per lui una cosa molto seria. In My life with Groucho del figlio Arthur Marx (Barricade Books) viene fuori con assoluta chiarezza che il solo film di qualità girato a Hollywood dai fratelli Marx fu Una notte all'opera (1935), grazie alla sensibilità e al genio del produttore Irving Thalberg. Il resto, nell'opinione di Groucho, era spazzatura, pessima versione in pellicola dei loro migliori spettacoli teatrali, sfruttati da gente incompetente e rozza. Ma il cinema voleva dire guadagnare, e i soldi, diceva Groucho Marx, erano la cosa più importante, più importante anche dell'amore (proprio lui, che sposò tre donne le cui doti messe insieme non gli avrebbero garantito un mese di sopravvivenza). In realtà, Arthur racconta che il padre spendeva a piene mani mantenendo una legione di pa¬ renti poveri che non aveva mai nemmeno visto in faccia. «Sono fortunati che non li conosca - diceva minaccioso -. Se li conoscessi, non manderei loro neanche un penny». Oggi sembra che Groucho mostrasse nei confronti dei fratelli un misto di complicità affettuosa e di rivalità, e forse non è un caso che abbia soffiato la prima moglie Ruth Johnson al fratello Zeppo, che passava per il bello della famiglia. Ma la sua gelosia andava in realtà tutta a Chico, che suonando il pianoforte riu¬ sciva a corteggiare con successo tutte le ragazze. «Quanto vuoi per suonare?», gli chiedeva Groucho che aveva trasformato in gag da avanspettacolo la sua invidia. «Sei dollari l'ora» rispondeva Chico. «Quanto per non suonare?». «Non te lo potresti permettere». E la pariglia era resa anche sulla scena. Un anno dopo avere incontrato Zeppo al ristorante con la bella Ruth Johnson, ed essersi complimentato con lui per il suo buon gusto («Purtroppo non posso dire altrettanto di lei, signorina») la ragazza sposava Groucho. Ma a dispetto dei molti anni che durò la loro unione da cui nacquero Arthur e Miriam, lo humour fu proprio il principale ostacolo alla sua riuscita. Per molto tempo Ruth non riuscì a perdonargli quel che fece il giorno delle nozze, quando il giudice di pace disse «Vi dichiaro uniti nel sacro vincolo del matrimonio», e Groucho rispose «Sarà sacro per lei, io ho altro per la testa». Ed è rimasta una pietra miliare nelle memorie del primogenito Arthur, la scena accaduta chissà quante volte, di quando il padre portava tutta la famiglia a cena in un ristorante elegante di Los Angeles, dove senza i baffi, finti e le sopracciglia posticce nessuno lo riconosceva. Groucho ne approfittava per dire al mai- tre: «Scusi, ha un tavolo? Il mio nome è Jackson, Sam Jackson, questa è la signora Jackson e questi sono tutti i piccoli Jackson». Se il ristorante era affollato e il maitre rispondeva altezzoso «Ci sarà da aspettare», Ruth pregava il marito di dirgli chi fosse, di farsi riconoscere. E lui prima protestava, poi litigava, ma alfine capitolava. «Mia moglie vuole che le dica chi sono», diceva sconsolato al maitre. «In verità il mio nome non è Jackson. Mi chiamo Schwartz, sono nel campo delle tubature all'ingrosso, e questa è la signora Schwartz, e questi sono tutti i piccoli Schwartz». Immancabilmente venivano sbattuti fuori. Il secondo e il terzo matrimonio, con le giovanissime Kay Gorcey e Eden Hartford, non furono molto più fortunati del primo. E Groucho, che nelle sue tournée a Londra aveva cercato la conversazione brillante di Noel Coward e Somerset Maugham, a Beverly Hills amava sempre di più la compagnia degli amici che incontrava al Nate 'n' Al's Delicatessen, dove si riunivano i migliori scrittori e comici di Hollywood. Era il suo mondo, molto più di quello elegante che gli portavano in casa le sue mogli, e che lui abbandonava a metà serata andandosene a letto mentre gli ospiti continuavano a divertirsi («La prossima volta non uscirò del tutto dalla mia stanza. Sarà un successo devastante»). Ma proprio quelle amicizie più care gli saranno alienate negli ultimi anni, quando una giovane ragazza di nome Erin Fleming, con un | viso che ricorda Vivien Leigh, si impossesserà della sua casa, dei suoi soldi e della sua vita, arrivando persino, scrive Arthur, a picchiare suo padre, a drogarlo e a minacciarlo di morte. I rapporti tra padre e figlio avevano in realtà cominciato a deteriorarsi molti anni prima che Arthur cercasse di allontanare Erin Fleming dal vecchio comico ormai senile. E al lettore a cui oggi stanno per essere offerte le sue lettere, sembrerà strano scoprire che fu proprio una lettera la causa di quella grave discordia. Groucho non voleva che venisse pubblicata, ma alla fine se ne fece una ragione, tanto che ora la si legge nel libro di Arthur Marx. «Tua madre se n'è andata oggi - gli aveva scritto il padre nel 1942 -. Sono andato a dirle addio prima che salisse in macchina. Era uno di quegli strani momenti semiseri, in cui non sai bene cosa dire. Alla fine le ho dato la mano e ho detto "Beh, è stato un piacere conoscerti, e se capiti ancora nei paraggi, passa a trovarmi". Tua madre deve aver pensato che stessi scherzando. E per la prima volta nella mia vita, ho sentito arrivare una risata quando proprio non la stavo cercando». Livia Matterà Due libri in America e uno in Italia sul più insolente dei fratelli Marx Preferiva mostrarsifreddo ma era sentimentale e amava la famiglia. Con i suoi scherzi esasperava la prima moglie Un ritratto inedito del grande comico nelle sue lettere e nei ricordi del figlio arx GroucdA dEr Groucho Marx (al centro) con i fratelli Harpo (a sinistra) e Chico In basso a sinistra, Groucho vestito da rugbista. A destra, con Erin Fleming

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