Il boss avvertì: mi uccideranno

Il boss avvertì: mi uccideranno Bari, forse avvelenato in cella perché voleva svelare i segreti dell'organizzazione Il boss avvertì: mi uccideranno Dopo l'autopsia, più dubbi BARI NOSTRO SERVIZIO Un bicchiere d'acqua, una tazzina di caffè. Possono averlo avvelenato così, come uccisero il banchiere Michele Sindona, ma per ora l'autopsia lascia aperte tutte le ipotesi sulla morte di Antonello Lazzaretto, il trentaseienne boss messinese deceduto all'alba di sabato in una cella d'isolamento del carcere di Bari, dov'era stato rinchiuso con l'accusa di essere il capo di una banda che trafficava eroina utilizzando anche uomini al di sopra di ogni sospetto: funzionari di banca, commercialisti, commercianti. «Non so se mi faranno uscire vivo dal carcere», avrebbe detto Lazzaretto, dopo l'arresto di lunedì, ad alcuni agenti. «Una morte bianca», cioè ancora da chiarire: così la definisce Luigi Strada, uno dei tre medici che ha eseguito l'autopsia. Le cause del decesso - avvenuto per arresto cardiaco - potranno essere stabilite soltanto con esami istologici e tossicologici. Tracce di veleno verranno cercare anche sugli oggetti, bicchieri, bottiglie che Lazzaretto ha usato nelle ultime ore di vita. La cella, sigillata dopo la sua morte, sarà riaperta stamattina per un sopralluogo. Gli investigatori gettano acqua sul fuoco. «Morte naturale, solo questo possiamo dire adesso»: è l'unica frase che si concedono. Non parla Giovarmi Co- langelo, il sostituto procuratore della Repubblica che conduce l'inchiesta. Ma l'ipotesi dell'avvelenamento prende quota. Antonello Lazzaretto era un boss potente; collaborava con la 'ndrangheta che gli vendeva l'eroina; gestiva un'organizzazione specializzata nel traffico di droga e nel riciclaggio di denaro sporco. «La sua morte fa comodo a molta gente», afferma Carlo Curione, il magistrato che ha smascherato la banda ordinando 44 arresti. «Su Lazzaretto contavo, avrebbe potuto raccontare molto. L'avevo già ascoltato e dovevo incontrarlo di nuovo». Sposato, due figli, una villa da favola, macchine potenti e una Rolls-Royce, Antonello Lazzaretto era, fino a pochi mesi fa, sconosciuto alle forze dell'ordine; nessun legame con la malavita barese era mai emerso. Poi nove mesi di indagini, intercettazioni telefoniche hanno messo a fuoco la figura di un uomo discreto, ma abile a dirigere un'organizzazione che ogni giorno muoveva centinaia di milioni. A spacciare l'eroina provvedeva il clan barese dei Capriati. Lazzaretto girava in città solo su auto blindate e accompagnato da guardaspalle. Negli ultimi tempi sapeva di essere controllato e al telefono, con i suoi complici, parlava in codice, non si sbilanciava mai, misurava ogni frase. In più di un'occasione si era però tradito. Ignorando che l'intercettazione cominciasse al momento di alzare la cornetta, s'era lasciato andare, a telefono aperto, a discorsi compromettenti con parenti e amici che erano in casa con lui. E la Guardia di Finanza aveva registrato tutto. Ufficialmente disoccupato dopo essere stato commerciante di calzature, viveva da miliardario, circondato dalla sua corte nella villa dotata di piscina e di cuni¬ coli sotterranei nei quali - sospettano gli investigatori - venivano probabilmente tenuti nascosti rapiti e ricercati. Se avesse parlato e detto tutto quello che sapeva, sarebbero stati guai per altri insospettabili. Ce n'erano ancora, e ad altissimi livelli, che spalleggiavano l'organizzazione. «Se venisse provato che non è morto per cause naturali dice Curione - ci sarebbe molto da preoccuparsi». Per il direttore del carcere, Antimo Pacifico, è un'ipotesi da non considerare: «E' infarto, tutto qui». Tonio Atti no Il blitz nella villa del boss Antonello Lazzarotto

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