Libia, è già embargo a tre ditte italiane

Libia, è già embargo a tre ditte italiane In attesa della decisione Onu, vietati gli Usa a aziende «controllate da Tripoli» Libia, è già embargo a tre ditte italiane WASHINGTON dal nostro corrispondente Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu sta per stringere la rete attorno alla Libia e forse domani stesso approverà la risoluzione che imporrà, nei suoi confronti, l'embargo aereo e di forniture militari, oltre che un principio di isolamento diplomatico. Gli Stati Uniti, secondo fonti dell'Onu, avrebbero minacciato serie conseguenze economiche contro la Cina, se essa decidesse di opporre il veto. Mentre al Tribunale Internazionale de L'Aia i rappresentanti diplomatici di Gheddafi denunciano un disegno «terroristico» degli Stati Uniti contro il loro Paese, il dipartimento del Tesoro americano ha aggiunto 46 nomi alla lista delle ditte giudicate «sotto il controllo libico» con le quali nessuna impresa potrà più avere rapporti. Tra queste vi sono, assieme a ditte inglesi, svizzere e canadesi, anche tre aziende italiane. Si tratta della «Bortolotti» di Sarnico, in provincia di Bergamo, della «Tamoil Petroli Italiana» di Milano e della «F. A. Petroli». Queste tre ditte e la «Agip North Africa and Middle East Oil», che però ha sede a Tripoli e Bengasi, non potranno più fare affari con società americane, sulla base dell'embargo commerciale decretato nell"86 dall'amministrazione Reagan. La lista nera, che con quest'ultima aggiunta comprende ormai 106 nomi, è stata compilata, come ha spiegato un funzionario del Tesoro, Richard Newcomb, per rendere sempre più efficace «l'isolamento della Libia, in quanto complice e ispiratrice dei terrorismo intemazionale». Fitte consultazioni diplomatiche si sono intrecciate per tutto il fine settimana alle Nazioni Unite. Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, promotrice della risoluzione, volevano assicurarsi il sostegno più ampio possibile all'interno del Consiglio di Sicurezza. Un portavoce del dipartimento di Stato Usa non ha ovviamente confermato la notizia, fornita ieri dal «New York Times», secondo cui il suo governo avrebbe minacciato di togliere alla Cina lo status di «nazione più favorita» nei rapporti commerciali se essa decidesse di bloccare la risoluzione utilizzando il suo potere di veto. Ma l'indiscrezione viene considera- ta fondata e, del resto, il rappresentante cinese all'Onu, pur non approvando l'embargo contro la Libia,, non ha minacciato alcun veto e si limita a dire di non aver ancora ricevuto istruzioni precise dal suo governo. Si prevede un'astensione cinese, mentre anche le posizioni di India, Marocco e Zimbabwe appaiono incerte. L'approvazione della risoluzione viene quindi data per scontata. L'embargo aereo, il divieto di vendere alla Libia parti di ricambio per aerei e forniture militari in genere, oltre alla riduzione delle rappresentanze di- plomatiche a Tripoli, più l'espulsione di alcuni diplomatici libici da capitali occidentali, tutto questa scatterebbe dal 15 aprile. Inizialmente l'entrata in vigore delle misure avrebbe dovuto scattare dopo 48 ore dalla loro approvazione. E' stato il Marocco a perorare una dilazione, perché i Paesi arabi non avrebbero apprezzato l'avvio di provvedimenti punitivi in pieno Ramadan. La richiesta del Marocco è stata accettata. In un'intervista al francese «Figaro Magazine», Gheddafi ha minacciato una contro-rappresaglia, sostenendo che il suo governo è stato finora «troppo buono» con molte imprese europee. Poi, per far capire quanto sia moderato, Gheddafi ha raccontato che la comunità musulmana vorrebbe che lui si autoproclamasse «califfo» e, in quanto tale, si riappropriasse dell'Europa meridionale, Sicilia compresa. Ma questo, ha subito aggiunto, sarebbe «irragionevole». Paolo Passarmi Il leader libico Muammar Gheddafi La prima misura di blocco a Tripoli è scattata con sanzioni americane per tre aziende italiane che gli Usa dicono controllate dal Colonnello

Persone citate: Bortolotti, Gheddafi, Muammar Gheddafi, Richard Newcomb