«Quei presuntuosi dell'Economist» di Arrigo Levi

«Quei presuntuosi dell'Economist» Arrigo Levi: «Non ci hanno mai perdonato il sorpasso, ci considerano un Paese inferiore» «Quei presuntuosi dell'Economist» I giornalisti italiani contro U settimanale inglese DOPO L'INVITO A VOTARE LEGA O PRI AROMA RROGANTI, superficiali, supponenti, succubi di salotti e circoli ristretti, colonialisti, giornalisti attratti dalle trattorie romane al punto da aver smarrito la reporter investigation e di aver ceduto al pappa e ciccia coi politici, proprio come gli italiani. L'attacco ai giornalisti inglesi è duro, ma c'è anche chi è d'accordo con la diagnosi sui guai italiani e i consigli elettorali (o La Malfa o la Lega) delì'Economist, autorevole settimanale economico. Si riapre però una vecchia polemica, un antico antagonismo: «Andiamo al sodo - dice per esempio Arrigo Levi, ex direttore de La Stampa -, gli inglesi non ci hanno mai perdonato il sorpasso perché ci hanno sempre considerato un Paese inferiore, prima buono per il fascismo, poi per il comunismo, ora per la Lega. Anni fa, per chi non se lo ricorda, ì'Economist consigliava di votare pei. Hanno un ingiustificato senso di superiorità». Divide, Ì'Economist. Roberto Villetti, direttore dell'Avanti, si dice «stupefatto per la caduta di stile. Un giornale attento e di establishment come quello inglese ha diritto di individuare un'alternativa di governabilità, non di dire agli italiani: protestate e basta». Renzo Foa, direttore dell' Unità, invece non è per niente stupefatto: «Ognuno fa il tifo, non è uno scandalo. Personalmente non mi offendo a sapere come la pensano gli inglesi e non mi sentirei imbarazzato nel consigliarli. Il mio giornale fa il tifo per i laboristi, ma non credo che gli italiani nel votare diano retta all'Economist, come non credo che gli inglesi obbedirebbero all'Unità». Sandro Fontana, direttore del Popolo, quotidiano della de, dice che quella di consigliare agli altri per chi votare rappresenta una forma di «provincialismo alla rovescia. Questi inglesi che vivono a Roma sono catturati dalle opinioni di circoli, scrivono ciò che lì si dice e immaginano che quella sia l'Italia. Ma non hanno letto le ultime statistiche Istat secondo cui il nostro Paese sta meglio del loro, abbiamo benessere e libertà...» Vittorio Feltri, direttore de L'Indipendente, invece ha provato una gran soddisfazione a leggere Ì'Economist. Mica sono bergamaschi, dice, né sono iscritti alla Lega, eppure dicono le cose che diciamo noi: e allora? Rivolto a tutti quelli che l'hanno attaccato per «bossismo», Feltri consiglia di leggere il settimanale inglese. Legittimo l'invito al voto? «Ognuno risponde Feltri - è libero di dire quello che vuole». E lui darebbe un consiglio elettorale agli inglési? «Sì, direi di votare per i conservatori, per la Thatcher, per Major, perché credo nel futuro del passato». Piero Ostellino, editorialistadel Corriere della Sera, pensa invece che il giudizio dei giornalisti inglesi sia deviato dal¬ l'eccesso di frequentazione delle trattorie, intorno al Pantheon e al palazzo romano, assieme ai giornalisti e ai politici italiani. «Al mattino rileggono gli articoli che hanno scritto e pensano che quella sia l'Italia. Sono, per così dire, deviati da un eccesso di immersione nel palazzo italiano». Ostellino direbbe agli inglesi pei chi votare? «No, piuttosto consiglierei i partiti italiani di comportarsi come il partito conservatore che ha portato al potere un blocco sociale diverso da quello che governava prima. In Italia invece siamo al solito trasfor¬ mismo: tutti quelli che hanno governato mandanamente dai salotti stanno passando all'opposizione per prepararsi a continuare a governare». Dal suo ufficio di direttore del Mattino di Napoli anche Pasquale Nonno non risparmia il giornalismo britannico: «Da quando ho visto come lavorano, non leggo più gli articoli che riguardano l'Italia». Perché? «Sono inattendibili e arruffoni, mi pare provinciale pubblicare i loro giudizi su di noi: io per esempio non ho fatto scrivere nemmeno una riga su quanto diceva Ì'Economist. So¬ no alcune centinaia di anni che gli inglesi spiegano al mondo come comportarsi. Io, umilmente, sono in difficoltà a dire agli italiani per chi votare, figurarsi se oserei spiegarlo a un inglese». Giulio Anselmi, vicedirettore vicario del Corriere della Sera, ritiene di «non avere titoli per consigliare a un inglese per chi votare. Sul mio giornale non darei consigli, farei piuttosto un'analisi sui programmi dei vari partiti». Il giudizio deìì'Economist, anche secondo Anselmi, risente della «supponenza con cui gli inglesi guardano all'Italia, è un riflesso dell'opinione britannica che l'Italia sia un Paese minore. Però attenti, la sostanza delle critiche rivolte dall'Economisi, è in larga parte da condividere». Per Alberto Ronchey, editorialista di Repubblica, non c'è «niente di scandaloso» in quanto scrive ì'Economist sulla situazione italiana: «Dicono la verità». E sul consiglio elettorale? «Mica ci obbligano, mica ci mandano le guardie della Regina...» E dai telegiornali? Bruno Vespa, direttore del Tgl, parla di «straordinaria superficialità nel giudicare l'Italia, di complesso di inferiorità nei confronti di un Paese che li ha superati». Alberto La Volpe, direttore del Tg2, la definisce una «singolare indicazione, quasi una provocazione culturale che riflette una concezione illuministica delle vicende italiane, vicino a quella degli industriali e di Romiti». Enrico Mentana, dal suo Tg'5, dice che si tratta di «un giudizio da bottega del barbiere, una supersemplificazione: 5 anni fa parlavano solo di Cicciolina, ma intanto noi abbiamo fatto più strada di loro». Anche Emilio Fede, direttore di Studio Aperto, se la prende con gli inglesi: «Farebbero bene ad occuparsi dei loro problemi: hanno guai maggiori dei nostri». Bisogna chiamare il Tg3 per sentire un'opinione diversa. E infatti Sandro Curzi, il direttore, dice subito che «gli inglesi sono legittimati a dire la loro su di noi, così come lo siamo noi a dire la nostra su di loro. E' talmente ovvio: queste polemiche mi sembrano fintamente patriottarde...». E Curzi non si fa pregare per un consiglio elettorale agli inglesi: «Come noi, hanno bisogno di un grande cambiamento». Cesare Martinetti Ma Curzi: «Possono dire ciò che vogliono. Queste polemiche mi sembrano fintamente patriottarde» Sopra, al centro, il direttore del Tg3 Alessandro Curzi e, a destra, il direttore dell'«lndipendente» Vittorio Feltri Sopra, l'editorialista di «Repubblica» Alberto Ronchey Qui a fianco il direttore del «Mattino» Pasquale Nonno

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