DAHRENDORF arriva il secolo liberale di Alberto Papuzzi

DAHRENDORF arriva il secolo liberale Il sociologo tedesco che riceverà lunedì il premio Agnelli: che cosa ci attende dopo l'età della socialdemocrazia DAHRENDORF arriva il secolo liberale Sette anni di esperienza parlamentare, favorì l'alleanza fra Schmidt e Brandt. Ma ne uscì disilluso: o si fa Vintellettuale o si fa politica IRA l'intellettuale e il potere esiste un confine. Non è un muro insuperabile, come vorrebbe la «sinistra eterna», tuttavia è un confine che non si può valicare senza cambiare status. 0 si è «in» o si è «out». O si fa parte di coloro che sono «dentro» o ci si riconosce in coloro che sono «fuori». Se un intellettuale si dà alla politica, cessa di essere un intellettuale, almeno in quella fase, «perché non può più avere il necessario distacco». La schizofrenia dell'intellettuale rispetto al potere è il problema attorno a cui ruota tutta la biografia di Ralf Dahrendorf. Il pensatore tedesco, da anni cittadino inglese, riceverà lunedì a Torino il «Premio internazionale senatore Giovanni Agnelli» che promuove la dimensione etica nelle società avanzate. La fonte più utile per capire Dahrendorf è un libretto della metà degli Anni 80: Pensare e fare politica. Nel primo capitolo, «Valicare i confini», egli ripercorre le tappe della sua formazione e i suoi rapporti con la politica; il secondo capitolo è dedicato significativamente a Raymond Aron, lo «spectateur engagé», l'uomo di cultura che sceglie di diventare il consigliere del Principe. Tra Sartre e Aron, tra l'intellettuale «negatore» e l'intellettuale che si compromette, Dahrendorf parteggia per il piccolo professore che invitò De Gaullo a lasciare l'Algeria, ma deve riconoscere che «la sua esistenza intellettuale è stata una storia di fallimento». Troppo vicino al potere per sentirsi spinto al pensiero e troppo lontano per passare all'azione, Aron rimane alla fine «un Kissinger senza Washington». Dahrendorf è nato ad Amburgo nel 1929. Il nonno era rimasto senza istruzione^ il nipote lo descrive come un personaggio di Canetti: «Di tanto in tanto disoccupato, altre volte occupato, sempre pieno di vita e di idee, e sempre socialdemocratico». Il padre fu un dirigente della spd: da giovane, aveva un banchetto di frutta al mercato e organizzava i minatori dell'Alta Slesia; divenne redattore del giornale di partito ed ebbe una non facile vita politica. Alla fine del '44 Dahrendorf, appena quindicenne, venne arrestato insieme con un amico, in quanto membro dell'associazione studentesca «Germania per la libertà», e finì in un campo dì lavoro forzato. «Dopo otto settimane fummo spediti via a calci». Nel 1952 Dahrendorf si laurea in filosofia con la tesi II concetto di giusto nel pensiero di Karl Marx. Frequenta la prestigiosa London School of Economics, dove conosce «il grande Karl Popper», l'Istituto per la ricerca s sociologica di Francoforte, l'Università di Saarland, il Center for Advanced Study di Palo Alto. Scrive il saggio per l'abilitazione alla docenza: Classi sociali e conflitto di classe nella società industriale (Laterza, 1977): è considerato la sua opera maggiore, in cui il concetto di proprietà dei mezzi di produzione è riletto in chiave di autorità sulle organizzazioni produttive. Nel 1960 arriva la nomina alla nuova cattedra di sociologia dell'Università di Tubinga. A diciott'anni Dahrendorf aveva aderito alla spd, ma dopo il soggiorno inglese non aveva rinnovato l'iscrizione. Da accademico, scrive editoriali e si occupa di educazione; prendeva confidenza «con il ruolo di consigliere». Anche i suoi libri venivano interpretati come interventi politici: Classi sociali e conflitto di classe rappresentò nella Germania del dopoguerra - sono parole sue - una spmta alla «pedagogia del conflitto»; Homo Sociologicus, pubblicato nel '64, «è stato, fra l'altro, giustamente letto come una confessione anarchicoliberale». Queste, dunque, furono le fondamenta per sette anni di politica attiva con il partito liberale, dal 1967 al 1974, come parlamentare, favorendo l'alleanza tra Schmidt e Brandt, e come membro della Commissione esecutiva della Cee a Bruxelles. Ma è proprio l'esperienza politica concreta a disilludere Dahrendorf sul ruolo dell'intellettuale che prende posto nelle case del potere. «Unità, allora, di teoria e prassi? No! Ad ogni modo, io non l'ho mai sentita così». Gli altri uomini politici gli dicevano: ora finalmente lei potrà applicare la sua scienza sociale; commento dell'interessato: «A tutto può essere riferita la mia sociologia tranne che alla applicazione». L'intellettuale che deve prendere una decisione di carattere politico si trasforma in un Amleto, perché è uno che «vede sempre l'altro lato». Il Dahrendorf politico e il Dahrendorf intellettuale sono due persone diverse: «Io non sono mai stato politico in quanto sociologo o sociologo in quanto politico». Dal 1974 al 1982 Dahrendorf ha diretto quella London School of Economics dove aveva insegnato negli Anni 50. Successivamente ha tentato, senza soddi- sfazione, di rientrare nella vita politica tedesca; così è tornato, come dice una sua metafora, a «mettere l'orecchio sulla schiena del tempo per auscultare che treni sono in arrivo»: ha lavorato e insegnato negli Stati Uniti e dall'anno accademico '87-88 è rettore a Oxford del St. Anthony's College. L'ultimo libro si intitola 1989. Riflessioni sulla rivoluzione in Europa, scritto nella forma di una Lettera immaginaria a un amico di Varsavia, che riecheggia la Lettera destinata a un amico di Parigi, il pamphlet di Edmund Burke contro la rivoluzione francese. Noi stiamo vivendo, secondo Dahrendorf, «la fine del secolo socialdemocratico» {Al di là della crisi, 1983), cioè il secolo di crescita, uguaglianza, lavoro, ra¬ gione, Stato, internazionalismo. Che cosa potrà venire dopo? In un'intervista che ci concesse qualche anno fa, Dahrendorf indicava tre scenari per il mondo occidentale: massimo decentramento possibile delle decisioni, battaglia contro il gigantismo burocratico, espansione reale dei diritti dei cittadini, a partire dal reddito minimo garantito. Queste erano le vie di salvezza contro le rigidità di un capitalismo, reaganiano e thatcheriano, che secondo sir Ralf metteva da parte il pensiero sociale. Questi sono i possibili contenuti di un «secolo liberale». Ma tutto potrebbe volgere al peggio: «Il futuro per un liberale non è una previsione, è una speranza». Alberto Papuzzi Da destra jurgen Habermas e gli ex cancellieri tedeschi Helmut Schmidt e Willy Brandt A sinistra Ralf Dahrendorf (FOTO A. SODO]