«Addio o Milano bella» soldi in salvo a Lugano di Zeni

«Addio o Milano bella» soldi in salvo a Lugano «Addio o Milano bella» soldi in salvo a Lugano LA NUOVA FUGA DEI CAPITALI LUGANO DAL NOSTRO INVIATO Dalle parti di Porto Ceresio, a pochi chilometri da Ponte Tresa, uno dei valichi più frequentati tra l'Italia e la Svizzera, qualcuno giura d'aver rivisto l'Albino al lavoro. Chi sia l'Albino, un uomo, un simbolo, un nome in codice, nessuno lo sa o comunque nessuno lo dice in questo lembo di Lombardia che sconfina naturalmente nel Canton Ticino. Una cosa soltanto è nota dell'Albino: negli Anni Sessanta e Settanta faceva lo spallone, portava soldi dall'altra parte, dall'Italia in Svizzera, percorso a senso unico. Con gli spalloni, ovviamente, è tornata la fuga dei capitali. Più difficile per via di una vigilanza della Banca d'Italia che, dopo la liberalizzazione, impone pur sempre che ogni esportazione di valuta superiore ai 20 milioni sia segnalata per fini statistici. Ma anche una fuga più raffinata, fatta a colpi di sovraffatturazioni o di sottofatturazioni, di società fantasma, persino di battute d'asta fatte ad hoc nelle nuove cittadelle dell'evasione. «L'interesse per la Svizzera è cominciato cinque o sei mesi fa, quasi all'improvviso», ammettono senza troppa voglia di parlarne alla sede centrale di Lugano della Banca del Gottardo. Dove, comunque, non hanno problemi a precisare che «è negli ultimi due mesi che il fenomeno ha assunto dimensioni più consistenti, molto più consistenti». Meno diplomatico degli uomini della Gottardo, l'avvocato ticinese Paolo Bernasconi, ex procuratore del Sottoceneri. Per lui, quella che i banchieri locali preferiscono definire «una normale diversificazione degli investimenti», è fuga dei capitali bella e buona. «Un fenomeno imponente», dice. E precisa: «Inferiore soltanto a quella che sta avvenendo dalla Germania verso la Svizzera motivata dalla paura di pros- simii aggravi fiscali che per fòrza di cose il governo tedesco dovrà introdurre per assorbire. larerisidell'ex-Ddr». ' Di nuovo fuga, dunque. Con un tariffario ovviamente non scritto ma precisissimo: chi sa dice che portare capitali «dall'altra parte» costa il 2%, per ogni miliardo che esce, oltreconfine arrivano 980 milioni. L'identico prezzo che fino a un anno fa costava l'operazione inversa e cioè riportare clandestinamente in Italia vecchi capitali portati nella vicina Confederazione negli anni ruggenti. Ma il 2% non ferma certo la corsa verso la sospirata sicurezza nella terra di Guglielmo Teli di un numero crescente di italici risparmiatori: piccoli imprenditori, commercianti, liberi professionisti. Molti lombardi, «la maggioranza», ammettono zelanti funzionari dell'Ubs di Bellinzona. Ma anche molti provenienti dalle altre regioni vicine, dal Veneto, dal Piemonte. Con una sorpresa: non sono solo i probabili tifosi del Bossi, arrabbiatissimi contro una «Roma padrona» dalla quale filtra adesso una strana voglia di consolidamento dei titoli di Stato, a gon¬ fiare le file del partito degli spalloni. Niente affatto. «C'è anche l'alta burocrazia», dice Luciano Amendola, amministratore delegato della Prudential Bache di Lugano. Insomma, un partito trasversale dove credo politico e credo economico si confondono in una certezza quasi assoluta: dopo le elezioni, nulla sarà più come prima. Il passa parola che ha generato il nuovo esodo passa inevitabilmente da Milano. In piazza Affari, tra una depressione e l'altra, molti stendono un pietoso velo sull'argomento. Ma tutti sanno. Leonida Gaudenzi, vecchio saggio: «Beh, l'instabilità preelettorale genera molte paure». Francesco Aletti, giovane guru: «E' una risposta al timore di una prossima patrimoniale». Svicola Guido Roberto Vitale, colonna dell'Èlifomobi-' liare: «Ne ho sentito parlare ma, confesso, non ne so nulla». Sbotta nel' suo inconfondibile accento toscano Giovanni Svetlich della Sovardino: «Accipicchia se è un fenomeno che esiste». Le cause? Non più la paura dei comunisti che aveva spinto legioni di «cumenda» meneghini a sfidare guardia di finanza e polizia di frontiera, con il cuore in gola e le ventiquattrore piene zeppe di quattrini, pur di salvare il salvabile. Non più l'ossessione delle Brigate rosse. Non più il timore di rapimenti che aveva attanagliato schiere di commercianti, piccoli imprenditori di vecchia e di più recente fortuna. Milano, vecchio e nuovo porto verso Lugano bella, questa volta teme l'incertezza: sulla lira, sui rendimenti di Btp e Cct, soprattutto su un fisco finalmente efficiente e in grado di colpire l'area dell'evasione sommersa. «Cosa succederà al fisco italiano con il mercato unico europeo? Aumenteranno gli accertamenti, gli scambi di informazioni, i controlli incrociati?», si chiede Bernasconi. E così, ecco spiegata la fretta di portare al- trove, in luogo più sicuro, quello che finora è sfuggito agli uomini delle Finanze e che domani potrebbe non sfuggire più. L'eterna voglia d evasione, dunque. Ma anche una gran paura che la cuccagna dei titoli di Stato stia irrimediabilmente per finire. «Il prossimo governo italiano dovrà in un modo o nell'altro prendere delle decisioni dure in materia di rientro del debito pubblico e l'inviolabilità dei titoli potrebbe essere messa in discussione», è l'analisi di Amendola dal suo punto d'osservazione di Lugano. Consolidamento? Riduzione netta dei tassi? Semplice dichiarazione dei Bot nel 740? Poco importa: «Il fatto è che l'investimento nei titoli di Stato non solo ri¬ schia di essere meno redditizio ma soprattutto di uscire allo scoperto», insiste Amendola. Insomma, è la paura di vedere emergere dal mare grande del «nero», del risparmio segreto mai dichiarato al fisco, decine e decine di milioni investiti in Bot e Cct che gela i nuovi partecipanti alla corsa in Svizzera. «Nero per nero, meglio al sicuro in una banca di Lugano o di Ginevra», è l'ovvia conclusione dell'amministratore delegato della Prudential luganese. E sia chiaro, aggiunge Amendola, «quando si dice nero non si deve pensare ai soldi della mafia: quelli hanno altri canali di riciclaggio e per arrivare in Svizzera, aggirando ogni controllo, passano adesso dai Paesi del¬ l'Est dove la vigilanza è nulla e grande la voglia di valuta pregiata straniera». La paura fa Svizzera anche sul fronte valutario. La lira non è più quella di Un anno fa, si riparla di possibile svalutazione. E via verso Lugano. La conferma? Di nuovo dalla Banca del Gottardo: «Fino a un anno fa i nostri clienti italiani volevano investire in lire, puntavano sulle eurolire, sugli alti tassi, sulla solidità della lira nello Sme. Adesso la moneta italiana non la vuole più nessuno, puntano tutti sul marco, sull'Ecu, persino sul fiorino, sulla sterlina e sul sempreverde dollaro». Certo, la Svizzera non è più il paradiso terrestre di un tempo per il novello evasore. Riciclag¬ gi, traffico di droga, scandali finanziari hanno lasciato il segno sull'un tempo impenetrabile segreto bancario. Non è più possibile, per esempio, arrivare direttamente allo sportello di una qualsiasi banca, presentare il contante e aprire un conto, magari anonimo. Così come più nessuno si fida dell'anonima fiduciaria dopo i passati crack. Adesso il nuovo cliente va presentato, schedato con tanto di formulario B. Ma volete che nella funzionale Svizzera non si trovi un cliente d'antica data, sicuramente ben introdotto e disponibile (con adeguato compenso) a presentare chicchessia all'amico direttore di banca? Armando Zeni Una banca di Lugano