Depardieu, un titanico Colombo

Depardieu, un titanico Colombo Costa Rica: la faticosissima lavorazione per la superproduzione europea con la regia di Ridley Scott Depardieu, un titanico Colombo «Così imparo, io che volevo evitare il militare» JACO (Costa Rica). Quarantacinque gradi di calore. Eppure il cinema si muove, in una delle sue varianti più mirabolanti, una superproduzione indipendente europea, «Cristoforo Colombo» di Ridley Scott con Gerard Depardieu: «Mai visto niente di simile!», esclama la voce unica dell'attore. Cosa? Sì, mai visti una simile energia, una simile organizzazione e simili mezzi per una simile durata (siamo alla quindicesima settimana di lavorazione, ne restano altre tre) in simili condizioni atmosferiche. «Come dice Elizabeth» (Depardieu ama sottolineare il buon senso di sua moglie), «mi sta bene, a me che volevo evitare il servizio militare». «Le difficoltà della lavorazione creano una tensione, un'energia positiva senza la quale il film sarebbe irrealizzabile», afferma Ridley Scott. «Ai problemi d'un progetto di questa vastità s'unisce l'obbligo di finire per una data fissa terribilmente vicina: tutto deve essere pronto per l'anniversario della scoperta dell'America, il prossimo 12 ottobre. Io non ho alle spalle la grande macchina finanziaria e logistica d'uno studio di Hollywood: l'unica macchina siamo noi! Sono io il responsabile del buon andamento del film, di eventuali sforamenti del budget e del piano di lavorazione...». Rivelatosi nel 1976 con «I duellanti», questo inglese cinquantaduenne è diventato un valore sicuro del cinema americano. Ma da quando l'ex grafico, britannico fino alla punta dei capelli rossi, ha affrontato la California, ha continuato a raccontare la scoperta di un'altra forma di vita: che fosse il mostro di «Alien» o i replicanti di «Biade Runner», i costumi giapponesi in «Black Rain» o l'improvvisa libertà che inebria le due provinciali di «Thelma & Louise». Domatore di megaprogetti e affascinato dall'intreccio dei due mondi, Ridley Scott era l'uomo ideale per filmare in grande il faccia a faccia tra la vecchia Europa e il Nuovo Mondo. Agli ordini di quello che la sceneggiatrice del film, Rose- lynne Bosch, chiama Capitan Scott, da quattro mesi si svolge un'operazione di vasto respiro. C'è stata la campagna di Spagna, dominata da un freddo glaciale e riguardante la lotta di Colombo per organizzare i suoi viaggi e goderne i vantaggi. Adesso c'è la spedizione nell'America Centrale: è infatti qui anziché alle Antille (vero luogo d'approdo del navigatore) che si gira il film. Un film che, secondo il copione ideato dalla giovane ex giornalista, più che la ricostruzione d'una avventura sul mare sarà una rievocazione dell'Europa all'alba del Rinascimento e il racconto dell'urto tra due universi. La banchina della grande partenza e le mura fittizie della città spagnola di Palos da dove il genovese salpò sono dunque nella baia di Herradura, non lontano da Jaco, in Costa Rica. Perché in America Centrale e non in Europa? La risposta è ancorata in fondo alla banchina: la «Santa Maria» e la «Nina», fedelmente ricostruite nei cantieri di Glasgow, e la «Pinta», fabbricata a Bahia, hanno fatto vela verso quella che sarebbe stata comunque la loro destinazione anziché fare un giro pericoloso e interminabile attraverso il Sud d'Europa. Sono impressionanti, le caravelle della grande scoperta, e per niente belle. Nulla a che vedere col sontuoso galeone costruito a suo tempo per «Pirati» di Polanski. Barcacce di legno annerito, ingombre di fagotti e di barili, popolate di corsari patibolari e cenciosi. Qualche minuto a bordo fa capire quale follia fu l'impresa di Colombo meglio d'ogni discorso davanti a un mappamondo... La dizione degli attori è un altro problema cruciale, in un film dal cast cosmopolita, girato in inglese e che ha bisogno d'imporsi sul mercato ameri- cano per non naufragare. Come se la cava Depardieu? «Ha un orecchio diabolico», dice la «dialogue coach» Louise Vincent, sbalordita dai progressi del suo turbolento allievo. E' il meno: Depardieu in azione è di per sé uno spettacolo. Qui non è l'interprete sottile di Truffaut, di Pialat, della Duras, e l'estate prossima di Godard: è il gigante che dà un afflato di potenza e d'emozione alle grandi ricostruzioni letterarie o storiche e le sottrae all'illustrazione accademica... Eccolo, sudato sotto il suo mantello da ammiraglio, compiere una rivoluzione astronomica, nientemeno che far fare un mezzo giro al globo terrestre. Non si riesce a immaginare quale altro attore sarebbe adatto a una simile fatica da Atlante... Il produttore Alain Goldman ha trent'anni e parecchi capelli bianchi. L'anno scorso non ne aveva neppure uno. «Colombo» è, semplicemente, il suo primo film. Metterlo su, tra Parigi, Londra, Madrid e Los Angeles, è stata una saga epica quasi quanto quella del navigatore. Ma la tempesta peggiore s'è scatenata lo scorso novembre, tre settimane prima dell'inizio della lavorazione. Uomini e materiali erano già pronti in Spagna, le caravelle navigavano verso l'America latina, i do¬ dici set in Costa Rica erano in costruzione, quando la società assicuratrice americana incaricata di garantire che il film venisse portato a buon fine scoprì che, a conti fatti, mancavano la piccolezza di quattro milioni e mezzo di dollari. A quel punto erano già stati spesi otto milioni di dollari, di cui il produttore Goldman si ritrovava personalmente responsabile. A quel punto, a Los Angeles nessuno avrebbe puntato su quel giovane temerario. Mentre un consorzio bancario francese specializzato negli audiovisivi, il Sodete («d^gli eroi», dice oggi il produttore), assicurava le spese correnti, Goldman si lanciò in un vertiginoso rodeo per trovare in una settimana i fondi mancanti. Rischiò di perderci la salute e la ragione; si guadagnò, in extremis, il rispetto della gente di cinema delle due parti dell'Atlantico. «44 milioni di dollari e 773.036», specifica ora dichiarando, tra ironia e manìa, l'esatto budget del film, gigantesco persino per i livelli hollywoodiani. Un budget coperto fino all'ultimo soldo dalla prevendita dei diritti di distribuzione, Paese per Paese. Gli acquirenti maggiori sono la Paramount per gli Stati Uniti (10 milioni e mezzo di dollari) e la Gaumont per la Francia (8 milioni, 1 milione e mezzo dei quali versati da Antenne 2 per i diritti televisivi). «E' eccezionale riuscire a combinare una coproduzione esclusivamente europea (Francia, Inghilterra, Spagna), una prevendita mondiale e una distribuzione negli Stati Uniti attraverso una Major», sottolinea il produttore. «Colomb», «Colon», «Columbus»: contrattacco, forte del Vecchio Continente rispetto all'imperialismo americano, o cavallo di Troia hollywoodiano? La miccia del copione abilmente intessuto da Roselynne Bosch, la miniera testardamente scavata da Ridley Scott e dalla sua troupe, la dinamite Depardieu saranno presto pronti per i fuochi d'artificio dell'uscita: anch'essa anomala per vastità, e quasi contemporanea in tutto il mondo. Cinquemila copie distribuite, millecinquecento delle quali negli Stati Uniti il 9 ottobre, e trecentocinquanta in Francia nel giorno anniversario, il 12 ottobre... Quel giorno, le rovine sontuose della (falsa) città della regina Isabella costruita da Colombo nel Nuovo Mondo non saranno più ricoperte dalla giungla. Jean-Michel Frodon Copyright «Le Monde» e per l'Italia «La Stampa» 45 milioni di dollari per un'impresa epica quasi quanto il viaggio del navigatore genovese Il film sarà una rievocazione del Vecchio Continente all'alba del Rinascimento e racconterà l'urto con il Nuovo Mondo Due momenti della lavorazione con il protagonista Depardieu. Alla cinepresa, di spalle, il regista Scott