Il poeta disse: «Tuca tuca» di S. B.

Il poeta disse: «Tuca tuca» Il poeta disse: «Tuca tuca» Enigmi, sfottò, giochi di parole e grigio fa rima con dentifrigio A LL'inizio era «ciribiribin». Per trovare qualche traccia di gioco nei testi delle canzonette italiane bisogna risalire a cose quasi da Zecchino d'Oro, tra Pascoli e Mannetti: «zum zum» e «tuca tuca», «sacundìsacundà» e «sugli sugli bane bane», «pinco panco» e «dada umpa». Partendo da questa linea si arriverà alla parola compiuta solo attraverso la balbuzie di «ba-ba-baciami piccina». Ma prima che subentri la rivalutazione del «trottolino amoroso», con i suoi «dudù dadadà», diciamo subito che la canzonetta italiana vuole essere più enigmatica che enigmistica. Niente gioco, semmai «carisma e sintomatico mistero», per dirla con Battiato. E' moderatamente enigmatico Luca Barbarossa, che nasconde mamma fin verso la metà di Portami a ballare: caso di Edipo denegato che gli è valso la vittoria di Sanremo. Sul versante del rompicapo logico ci sono certe canzoni di Battisti-Mogol. Per esempio, 7.40, la cui esegesi aero-ferroviaria era laboriosa quanto quella dell'omonimo modulo fiscale. All'enigmistica, invece, ci si avvicina con il filone più biricchino, quello di «me la dai, me la dai la tua pensée», con clarinetti, chitarrine, lazzi e, addirittura, piattaforme di trivellazione (Arbore, Maestro Mazza, Elio e le Storie Tese). «Agata, guarda, stupisci» è un doppio senso attraverso una sciarada («Agata, guarda 'stu pisci»); «il tucul è un posto rosa» è un biscarto finale (funziona come «Milan» per «miA lanA», o «super» per «suA perA»). Perfetti equivoci tra due soggetti, come in certi indovinelli studiati dal Pitré, si ascoltano in una rara canzone di Fo e Jannacci: «Per la moto non si dà» (storia del mancato baratto di una ragazza con una moto). I giochi di parole iniziano con certe rime e paronomasie (affinità sonore fra le parole) a cui, primo fra tutti, ci ha abituati Paolo Conte: «via da questa mischia c'è qualcuno che cincischia, ma la storia se ne infi¬ schia» o «ancheggiano mannequin fanatiche». Su questa linea si muove anche Vinicio Capersela, in una maccheronea italo-americana (Notte newyorchese): «I wonna your gonna, but you wonna my nonna?». Altre sciarade si ottengono attraverso liaisons obbligate dalla melodia: e un remoto «mai le dirò» veniva cantato in tutti i torpedoni, a squarciagola, come «maledirò». Su questo principio funzionano certi giochi di Elio e le Storie tese: «voglio un silos-sì lo voglio» e «sudicio: su di ciò la critica è concorde». E sempre in zona, troviamo il curioso titolo «DallAmeriCaruso», in un live di Lucio Dalla. Giochi di parole, qui e là e alla rinfusa, sono sempre più frequenti. Luoghi comuni distorti, come la domenica delle salme di De André e Oro, incenso e birra di Zucchero. Cambi di lettere ancora battistiani («non vorrei aver sbagliato la mia spesa, o la mia sposa»), poi impiegati da Arbore per certe rime «sbagliate»: «Il mattino è un po' grigio, se non c'è dentifrigio» o «se mi guardo allo specchio, io mi sputo in un ecchio». Ma non sono cose che capitano di frequente, nei luoghi ufficiali della canzonetta. A Sanremo, in particolare, gerghi e linguaggi giovanili compaiono solo di straforo, e lì i doppi sensi sono utili per sfumare discorsi troppo diretti. L'argomento della droga, per esempio, è un caso da manuale. Già Vasco Rossi parlava di vaghi' «viaggi» nella sua Vita spericolata (e Nantas Salvataggio si sentiva in dovere di sottolineare l'interpretazione non turistica del vocabolo). Poi, nessuna novità fino all'anno scorso, con Rudi Marra (subito eliminato) e con la canzone-manifesto di Marco Masini: Perché lo fai. Lì, subliminale, l'inequivocabile «farsi» circola come una tentazione, ma, nell'unico verso in cui fa capolino, viene subito addomesticato da una frase sentimentale: «perché ti fai, perché ti fai del male...». Meglio un gioco di parole di una verità troppo brutale, [s. b.]

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