Nella multinazionale «Mandela Spa» di Domenico Quirico

Nella multinazionale «Mandela Spa» SUDAFRICA Nel grattacielo magliette del leader e code di businessmen bianchi a caccia di affari Nella multinazionale «Mandela Spa» Boutique e segretarie bionde alla sede dell'Arie JOHANNESBURG DAL NOSTRO INVIATO Per le cravatte e i foulard si può scegliere tra due colori, blu o bianco, ma tutti firmati con una civettuola sigla dell'Anc: misto seta al 50%, come avverte con scrupolosa sincerità un cartellino nella vetrinetta, garantito da copyright debitamente registrato. Pare siano un vero successo commerciale, l'ultimo grido della moda; lo assicura soddisfatta una commessa della boutique che fa da vetrina al grattacelo dell'African National Congress, il movimento di Nelson Mandela, e aggiunge che ormai li comprano (e li indossano) anche molti yuppie bianchi. Per chi ha pretese di eleganza più modeste ci sono scaffali ricolmi di tute e t-shirt: richiestissime (restano solo le taglie forti) quelle con pacate invocazioni a concedere il potere alle masse, e a inaugurare un governo multirazziale. Piacciono sempre asciugamani, spugne e puzzle con un Mandela giovanissimo in versione boxeur, o con i volti da nonni saggi di due veterani della lotta contro la discriminazione razziale, Walter Sisulu e signora. Attraggono meno, a giudicare dalla abbandonza delle taglie, le magliette con i simboli e le parole d'ordine di «Umkhonto We Sizwe» (la lancia della nazione), l'ala militare del partito, che, con frecce e zagaglie invitano a insegnare subito ai bianchi che i tempi sono cambiati. Un vero disastro, come dimostra la polvere che malinconicamente ispessisce sulle copertine, si rivela il settore libri, dove una monumentale enciclopedia leninista giace à fianco di prontuari per la guerriglia urbana. Nel quartiere degli affari a Johannesburg il grattacelo che l'Anc ha comprato dalla Shell ha pareti grigie e denuncia qualche stagione architettonica in più rispetto alle gemme di vetro della Anglo American e della De Beers. Attorno al palazzo si ammassa una folla di bancarelle, questuanti, curiosi, venuti in pellegrinaggio dalle township della periferia o dalle campagne per ammirare la rassicurante immagine del nuovo potere nero ormai incombente. Spiano attraverso le vetrate, ma pochi si avventurano oltre l'ingresso, vigilato da un servizio di controllo abbastanza distratto per una città dove venti morti al giorno per violenze politiche sono una scorcertante normalità. Si troverebbero a disagio questi fantaccini dell'Anc, queste plebi di Soweto e Alexandre, nel look asettico e effìcientista, da avviata multinazionale, che domina il grattacielo. Turbe di segretarie disinvolte e carine (alcune bianche e biondissime) di¬ stribuiscono pass e consigli su come attraversare il labirinto di sigle, uffici di quadri intermedi, portavoce, dirigenti e segretari di questo immenso ministero del potere nero. Bianchi dall'aspetto di business-man vanno e vengono senza fare anticamera, con la disinvolta consuetudine che contraddistingue i luoghi dove si prendono decisioni importanti e soprattutto si fanno buoni affari. Il parto politico del nuovo Sud Africa è ancora avvolto dal confuso bla bla delle discussioni incrociate, dai rilanci e dalle polemiche di una conferenza preparatoria a cui partecipano ben diciannove partiti. Ma nel grattacelo di Sauer Street il futuro è già cominciato; una parte delle decisioni che conta si prendono già qui, nella sede di quello che ancora a due anni fa era un movimento clandestino dal discusso passato e dall'ancor più incerto avvenire. E' il paradosso dell'Anc: per metà già partito di governo, impegnato in una neppure tanto sotterranea cogestione del potere, nucleo di quella nuova classe dirigente nera a cui stanno per aprirsi le porte della politica; e per metà partito armato, ancora lusingato dalle atmosfere e dalle mitologie rivoluzionarie. Nei corridoi del palazzo, nonostante i manifesti che ribadiscono il motto un po' bolscevico «Amandla awethu» (potere al pòpolo), prevale l'Anc manageriale e tecnocratico, uscito, a prezzo di grandi sacrifici, dalle scalcinate scuole che l'apartheid aveva concesso alla maggioranza della popolazione. Una classe di leader che non ha avuto esperienza diretta dell'esilio e non ha quindi imparato il marxismo elementare, pietrificato e burocratico in Urss, a Cuba o in Germania Est e accetterà, primo o poi, di riesaminare anche i sacri comandamenti delle nazionalizzazioni e del centralismo scolpiti nello statuto del partito. Come il leader sindacale Ciryl Ramaphosa, che discute, alla pari, con i manager bianchi i contratti per l'aristocrazia operaia dei metallurgici e i minatori. Difficile trovare nelle stanze del potere nero i comrades, la generazione perduta dell'apartheid, i ragazzi senza istruzione e senza mezzi che combattono nelle township una guerra a metà tra il teppismo luddista e la politica e che non vogliono sentir parlare di moderazione. Sono due anime del partito che già si scrutano minacciose e con sospetto. Ma soltanto se vinceranno gli uomini del Palazzo, il Sud Africa avrà un futuro e non diventerà un altro esempio di via africana alla penuria e al caos. Domenico Quirico Nelson Mandela e il simbolo dell'Arie piacciono anche in boutique

Persone citate: African, Beers, Nelson Mandela, Pare, Ramaphosa, Sauer, Soweto, Walter Sisulu

Luoghi citati: Cuba, Germania Est, Sud Africa, Urss