HA VINTO L'AMOR TRADITO di Marinella Venegoni

HA VINTO L'AMOR TRADITO HA VINTO L'AMOR TRADITO PICCOLO e secco come un Woody Alien, il pizzetto avaro che gli copre il mento, Dario Vergassola si guarda intorno imbarazzato negli squallidi spogliatoi del Palasport, dopo la vittoria a Sanscemo. Brivido della prima intervista: «Sono ipocondriaco. E sono un cabarettista, non un cantante». Confusione sanscemese di arti & mestieri, un calderone che richiede comunque la musica come modulo espressivo di trivialità, cretinerie, cattiverie, oppure semplici e metafisici sfoghi autobiografici come quello di Vergassola, tradito da «Marta» con un certo Mario: è il filone di Elio e di «Rapput», il postfemminismo consente di apostrofare con «puttana» e «troia» le traditrici; la musica c'entra sempre meno e le donne tradite continuano a piangere con Mia Martini. Il vincitore smarrito, trentacinquenne padre di due figli di 8 e 4 anni, spezzino, è un tipo divertente suo malgrado. Fa cabaret prendendo ferie dall'Arsenale Militare: «Non so più come fare, dovrò mollare la carriera artistica per tornare in ufficio». Molla l'Arte, non il Posto. Alla moglie ha detto che veniva a Torino per un corso d'informatica; recitare allo Zelig va bene, ma Sanscemo può essere inconfessabile. «Quando mi hanno scritturato la prima volta, a Milano, mi hanno fatto due domande personali, prima del provino: ho parlato per 40 minuti della mia famiglia, alla fine mi hanno detto: "Basta così, sei assunto", e non avevo nemmeno cominciato il mio provino. Lavoro sulla vita vissuta, ogni volta ho tanto materiale da poter fare uno spettacolo nuovo». Un vincitore-promessa in mezzo ad una confusione cialtrona di stili, con gli echi dei testi che arrivavano a sprazzi, come ai concerti cantati in inglese. Scampoli raccolti al volo: «Usatele più spesso, se no vi si ossidano», «Nonno ti accorgi o no che stai crepando», «E' bello essere un vitello», «Però Pippo si limita alle pippe», «Anneghiamo nel garantismo/ che è la culla del riformismo». «Al gabinetto cago io per te» canta uno che ce l'ha con la presa di potere dei computer; e il vecchio Valter Vaiai: «E' morto un papa sulle strisce/ e le strisce poverette tutte sporche di papa». E ancora «Donatella Raffai/ sei una camomilla per noi», «Marco Masini sparati in testa/ finisce la noia comincia la festa». Vorrebbe essere demenzialità. In zona giuria, brillano gli occhi furbi del Mago Gabriel, quello scoperto dalla Gialappa's, esperto di «pinotismo». Il comico Saponara chiede ad una collaboratrice di Maurizio Mosca: «A chi l'hai data per lavorare lì?». «A tutti!» risponde lei trionfante. Delirio. In zona, 1'«ufficio corruzioni» è composto dai due ragazzi napoletani che stampavano per gioco francobolli falsi, ora raccolti in un libro di successo. Ma non si debbono scomodare. Mentre noi meschini giurati segniamo su di una scheda il nome del vincitore e lo consegniamo, entrano a cantare «I trenini svizzeri»: sono quattro dirigenti della Polygram, la casa discografica che stampa la compilation di Sanscemo, più il manager di Zucchero Michele Torpedine. Mascherati da ferrovieri elvetici, quasi irriconoscibili. Si fa appena in tempo a notare che rifanno il verso a Rino Gaetano buonanima; ma sono in gara, e arriveranno terzi fra i fischi indiavolati del pubblico. Qui, dietro l'ufficio corruzioni, non li ha votati nessuno, ne siamo certi. Scherzando scherzando, il musicbusiness continua il suo gioco di sempre. Marinella Venegoni

Luoghi citati: Milano, Saponara, Torino