Ecco il giovane Rouault libero dalle etichette di Gabriella Bosco

Ecco il giovane Rouault libero dalle etichette Parigi riscopre il primo periodo dell'artista Ecco il giovane Rouault libero dalle etichette 7n] PARIGI L ' ULLA pittura di Georges m Rouault c'è totale manli canea di pensiero critibìjl I co». Fabrice Hergott, organizzatore della mostra aperta al Centre Pompidou fino al 4 maggio, rifiuta le etichette solitamente attribuite all'artista di «pittore cristiano» e «pittore della miseria umana». Rouault stesso aborriva le catalogazioni, limitative. Hergott le ritiene «voce dell'incapacità, tipica degli Anni Sessanta (Rouault è morto nel '58) e poi mai evoluta, di riconoscere che una pittura cristiana può essere contemporaneamente moderna». L'esposizione raccoglie 110 opere del periodo giovanile dell'artista (1903-1920), il più trascurato, per dar prova della continuità tra il Rouault non religioso - il primo, appunto - e quello dell'età matura. Rouault diceva, in una lettera a André Suarès del 1913, «io ho una scrittura pittorica». E aggiungeva: «Un buon pittore può dipingere ogni cosa», spiegando poi che il modo di far significare un oggetto deve poter vincere tutti i pregiudizi concettuali legati all'idea dell'oggetto. Era ciò che Cézanne chiamava la «formula», un insieme modulato di capacità espressive. Rouault ebbe presto la sensazione di possederla e fu da allora tenacemente ribelle alle riduzioni tematiche della sua opera. Il periodo preso in esame dalla mostra è immediatamente successivo a un soggiorno in Savoia dove il pittore si era recato per ragioni di salute, e per superare le difficoltà psicologiche derivategli dalla morte (1898) del maestro e amico Gustave Moreau. Aveva sentito l'esigenza, dopo gli anni di studio e i soggetti da accademia dipinti per ottenere il Prix de Rome, «di pulire l'occhio». Il risultato, paradossalmente, fu di tele molto più cupe dal punto di vista del colore. Ma «lavate», grazie «al riposo, il cielo e la neve di Evian», dalla morsa dei modelli: qualche paesaggio {Versailles, le jet d'eau; La Pàniche), ma soprattutto la serie dei nudi e il tema del circo. Tornato a Parigi, Rouault era andato ad abitare nel quartiere popolare di Clichy. Il mondo delle prostitute gli parve adattissimoliti dipinto di G a estrarne «il massimo di sostanza creatrice». Rouault dipinse preferibilmente donne allo specchio, o di schiena [La fitte au miroir, Fitte vue de dos). La sua attenzione era centrata sulle forme dei corpi, in genere piuttosto abbondanti. Raramente gli occhi, quando si vedono, sono espressivi. Rouault intendeva ritrarre non gli individui, ma la loro condizione. Nella maggior parte dei casi - quasi la totalità delle tele riunite nella sala dei nudi - le donne, pesanti e sedute o accovacciate, hanno le braccia alzate. Rouault spiegò il fatto come volontà di alleggerimento, allusione alla spiritualità di ognuna di quelle figure. Con i clown, la tristezza è più insistita. Dall'Eicuyère alla Dan- seuse, dalle due Parades alla Femme canon, anche là dove ci sono più personaggi nello stesso quadro, i colori violenti creano delle barriere tra gli uni e gli altri, li isolano. Fa eccezione L'illusionniste, dove la gravità lascia il posto alla leggerezza d'atmosfera. Non è il più frequente, certo, ma è uno dei toni della paletta di Rouault: mostrare il fantastico che vive sotto il reale. L'insegnamento maggiore che l'artista affermava di aver derivato da Moreau. Segue la sala dedicata all'universo giudiziario. A partire dal 1906, Rouault si mise a frequentare con assiduità i tribunali. Ritrasse allora con particolare ferocia i giudici, che egli mise sotto il segno dell'infamia. Ancora una volta non quella delle persone, ma del loro ruolo. Se i tanti (1914) magistrati di Daumier erano più ridicoli che temibili, quelli di Rouault sono invece terrificanti. «I volti tremendi che ho dato ai giudici traducono l'angoscia che provo di fronte a un essere umano che deve giudicare gli altri esseri umani». Quello della bruttezza fu uno degli argomenti di scontro tra Rouault e i suoi critici. Definendolo «il pittore del brutto» egli riteneva non ne avessero compreso il senso. «La pretesa bruttezza è una tappa, un istante delle mie ricerche. Penetrando nel cuore della mia passione pittorica, ho sentito la forma più sobria, più spoglia». Nel '14, egli abbandonò in effetti i tribunali. Una sezione particolarmente interessante è consacrata alle ceramiche. Tra il 1906 e il 1913 Rouault realizzò più di 150 oggetti - vasi, piatti, brocche - ma la maggior parte è andata perduta. Fase che egli stesso definì essenziale nello sviluppo della sua arte, è per la prima volta apprezzabile qui al Centre Pompidou con alcuni rari pezzi rimasti intatti (La dame au chien, La femme au chapeau à plumes). In molte occasioni ripetè che per lui «lo spettacolo dell'universo» andava «non descritto, bensì decifrato». Così la sua arte proprio come una scrittura voleva fosse letta in profondità, non sfiorata superficialmente. L'inquadramento critico in una casella divenne una vera e propria ossessione: «Eccomi preso come un topo in una trappola, nelle retrospettive di me che si faranno senza di me». Questa, sul Rouault profano, va nel senso che egli auspicava: identificare la dimensione spirituale nell'autenticità, non nei soggetti. Cercò di spiegarlo con una metafora alpinistica: «Se ci si rappresenta l'ascensione di un Monte Bianco ipotetico in cui, seminudo, un povero diavolo si avventuri verso la cima, mentre tanti altri sono forniti di tutto il necessario per la scalata, può succedere che quel poveraccio, del tutto sprovvisto, che probabilmente si è dato per riscaldarsi a un così curioso esercizio, arrivi in cima prima dei meglio equipaggiati. Ma, certo, è eccezionale». Gabriella Bosco liti dipinto di Georges Rouault: «Le Verlaine du faubourg» (1914)

Luoghi citati: Parigi, Savoia