Canova, divino e ambiguo

Canova, divino e ambiguo Venezia mette a confronto più versioni della stessa scultura Canova, divino e ambiguo Dalla carnalità all'idea del sublime AVENEZIA VEVAMO lasciato a dicembre il divino Canova nelle sale romane di Pa lazzo Ruspoli con il bianco corteo metafisico delle undici statue venute da San Pietroburgo: ora, a primavera (ma fino a tutto settembre), quel corteo, smembrato e messo a confronto con opere gemelle - alcune veramente tali, è la mai vista novità della mostra veneziana -, appare fin troppo bianco, pulito. Ne viene sminuita quella carnale tattile vibrazione di luce che, inestricabilmente frammista e Commista con l'idea astratta dèi sublime e del bello classico e' con l'avvitarsi dinamico della forma pura tale da far invidia a Boccioni, fa sì che il fenomeno Canova sia uno dei più enigmatici e ambiguamente affascinanti della storia della scultura. In apertura della mostra al Museo Correr la sfilata di ritratti e autoritratti conferma anche sul piano umano e psicologico questa ambiguità di uomo dai cento volti in uno sconvolgente momento storico: fiero annunciatore di tempi nuovi nell'Autoritratto del 1792 agli Uffizi; cittadino cisalpino già stempiato e un poco canuto nel Ritratto di Appiani; aulico e laureato, avvolto nel mantello a modo di toga, con il parrucchino adatto alla corte viennese del 1805, nel Ritratto dell'austriaco Lampi; romanticizzato e ringiovanito da Fabre nel 1812 con la «melensa, infranciosata parrucca» scura di cui scriveva il Foscolo nello stesso anno. Alle spalle del Ritratto dipinto da Fabre a Firenze è raffigurato il modello, in terracotta o in cera, della Venere italica di Palazzo Pitti appena terminata, che è esposta nel salone terminale della mostra assieme alla versione, di poco anteriore, del Residenzmuseum di Monaco, eseguita per il principe Luigi di Baviera. Come ho già accennato, là più affascinante novità della mostra è costituita appunto dalla presenza di più versioni della stessa scultura, che, assieme ai modelletti in terracotta, in creta, in cera ci coinvolgono nei meccanismi, per nulla segreti, della colossale officina canoviana fra Possagno e Roma. Un discorso a parte è quello dei disegni, soprattutto se connessi come ideazione a statue esposte e quindi' direttamente confrontabili, e dei dipinti. Solo in tempi recenti gli uni e gli altri hanno rivelato il lato visionario, notturno, persino orrifico dell'artista: l'enfatizzazione fisica abnorme della forma classica maschile, l'erotismo manieristico della «grazia» femminile; talora, nelle figure danzanti, l'interpretazione neocinquecentesca, da «grottesca», delle scoperte pompeiane. All'estremo opposto, vi è il Canova che accetta, con la Venere italica, di «sostituire» nelle collezioni fiorentine la Venere de' Medici portata da Napoleone a Parigi. Analogamente, in precedenza, nel 1802, lo scultore aveva adattato un'idea di gruppo concepita anni prima, dei pugilatori dei Giochi Nemei Creugante e Damosseno, alla richiesta di Papa Pio VII di rimpiazzare altri capolavori classici trafugati dai francesi nelle raccolte vaticane. Nessuno, nemmeno Michelangelo, nemmeno Bernini, aveva spinto la sfida ai grandi modelli classici, collezionati dai papi o dai Medici fino a concepirne la contraffazione «moder- na». Canova sì, come d'altronde gli architetti dell'utopia neoclassica da Roma a Milano, da Parigi a Washington. Per questo i romantici di seconda e terza generazione, fratelli nemici, coniarono per spregio è con spregio il termine di neoclassicismo. Ma se ora guardiamo e cerchiamo di veramente comprendere il fascino strano e folle dei due pugilatori che si fronteggiano, ne possiamo cogliere la mistione dì cerebrali esercizi di filologia classica ma nello stesso tempo di modelli viventi da accademia e di attori eccessivi di una tragedia adatta a tempi sconvolti: E ci rendiamo conto ad esempio che il Damosseno è padre tutt'altro che putativo dello Spartaco di Vela, squillo di trombe per il 1848. Se poi passiamo a vedere, appesi nella seconda sala della mostra, i relativi disegni («Antonio Canova fece questi quattro segni, Roma 1794»), ancor più ci rendiamo conto, nell'esasperazione anatomica, della parentela con i visionari inglesi e scandinavi del secondo Settecento a Roma. Proprio il carattere di rigore monografico, che gli ordinatori Giandomenico Romanelli, Giuseppe Pavanello, Ferdinando Mazzocca hanno voluto imprimere alla mostra (unico fastidioso neo, le raggiere metalliche poste a protezione delle statue come una sorta di guardinfanti rovesciati) sottolinea ancor più questi continui conturbanti ribaltamenti di forme e di idee. Essi sono frutti di un impressionante controllo della concezione e della materia, fra una sensibilità spontanea, calorosa, pittorica e calcoli di ritmi compositivi di livello algebrico: ciò è evidente tanto nell'amor© e Psiche originario, già di Murat, incredibilmente concesso dal Louvre, sia nel mai visto, straordinario Adone e Venere dalla Villa La Grange di Ginevra. L'arco proposto, di forme e di culture, è veramente grande. Intorno al fulcro «moderno» del neoclassicismo ruota un gran passato che nasce dal Bernini, ben evidente nel precoce gruppo scenico di Euridice e Orfeo, acerbamente affascinante persino nelle incertezze di impostazione anatomico-dinamica del nudo femminile; e si protende una post-modernità per cui l'altro gruppo "giovanile Dedalo e Icaro ha qualcosa da insegnare persino a un Gemito. Certo la versione originaria della Maddalena penitente approdata a Genova con la collezione della Duchessa di Galliera, anticipò di decenni il pietismo cristiano romantico, da Hayez e Bartolini. Il confronto fra la versione genovese e quella più tarda dell'Ermitage di Pietroburgo - leggermente variata nell'atteggiamento - dimostra l'eccesso di pulitura di questi marmi russi, cosicché l'impressione di un lavoro di atelier è forse solo causata da questo eccesso. Ben altra sensazione, pur dopo il recente restauro, offre la gran serie di gessi del Museo Correr una delle tre esistenti - con Storie da Omero, dall'Eneide e dal Fedone di Platone: del 1787-'92, è il frutto più maturo di un'astrazione classica che corre da Poussin fino a Flaxman. Il catalogo Marsilio, ricco di saggi ed esteso al patrimonio del Tempio canoviano di Possagno, è eccellente nella qualità delle immagini. ' Marco Rosei esposte al museo Correr: «Le.Grazie» «Ebe» e (qui sopra) «Testa di Elena»