D'estate le abbandonano come i cani di M. A.

D'estate le abbandonano come i cani D'estate le abbandonano come i cani Torino: «Al Nord si sta peggio che al Sud» P "TORINO OCHI mesi fa una extracomunitaria di 40 anni è morta di fame a Torino, tre giorni dopo essere arrivata da Palermo dove aveva lavorato 2 anni in una famiglia», denuncia Rita Hassan, somala, consigliere comunale indipendente del pds. Il fatto getta sulla città siciliana una nuova ombra terribile. Ma Torino, per le immigrate, com'è? «Spaventosa», dice Sued Benthdim, laureata in lingue, arrivata 4 anni fa da Casablanca. Lavora all'ufficio stranieri della Cgil, conduce Mosaico, l'unica radio italiana che dà notizie, informazioni, un aiuto morale e anche pratico ai fratelli immigrati e spiega a noi qualcosa del loro mondo. Il suo gruppo pubblica il giornale Non solo bianco, nato durante la guerra del Golfo, come bisogno di reciproca forza dopo che «erano avvenuti episodi terribili di violenza contro di noi, gente picchiata e cacciata dal lavoro». Le tragedie sono quotidiane per chi può essere costretto a vivere senza servizi igienici, per chi può essere messo all'improvviso sulla strada, come d'estate non accade soltanto ai cani, anche alle colf. Sued sente attorno a sé anche un razzismo forte. «Lo stesso che percorre l'Europa e nasce dalla mancanza di valori». Lo ha sperimentato. «Conosco 7 lingue, ma quando davo lezioni d'inglese ero pagata 10 mila lire all'ora, un terzo di quello che si dava a gente anche non qualificata». Le extracomunitarie a Torino sono oltre 11 mila contro 30 mila uomini, più un 10% di irregolari. La colonia più numerosa è quella filippina, oltre 600 persone; ultime le mauriziane, appena 9. «Si attende un massiccio arrivo di peruviane; le donne sono un termometro sociale, vengono da dove più grande è ìa disperazione, non smettono mai di lottare» dice Fredo Olivero capo dell'ufficio stranieri del Comune. Esperto della situazione, autore di una recente inchiesta per l'Aspe sulla tragedia delle prostitute nigeriane, non ha dubbi: «Quella nera è sempre più carne da macello». Tra gli extracomunitari la criminalità pare bassa, 2-3%, anche se il commercio della droga sembra averli attaccati pesantemente; ma l'universo per ora silenzioso del Terzo Mondo nasconde notevoli valori. «Specie tra le donne», conferma Olivero. D'accordo con lui è il gruppo che al Bit lavora da due anni attorno al «Reseau 1841», il programma per la promozione dell'imprenditorialità femminile africana. D'accordo sono naturalmente le militanti deb sgruppo «Donne e sviluppo», jjBjramo dell'associazione «Prc$uìre,Cje riprodurre»: stanno presentando in Comune il progetto per un «Centro interculturale delle donne», sono già autrici di molte iniziative, corsi per assistenti a anziani e handicappati. Come le loro omologhe di Palermo, posspno indicare storie non sempre del tutto negative. Costate un alto prezzo. Muonira Akremiiè una tunisina trentunenne. Va a casa dei vecchi poveri, «quelli che vivono come sono vissuta io». Guadagna 650 mila lire il mese, ha un bambino, un marito egiziano che lavora ai mercati generali («Non avrei sposato un italiano, per la religione»), in casa accoglie spesso i più sfortunati di lei. «Mi fa morire di dolore pensare che non sanno dove andare...». Non è disperata, ma «...gli italiani trattano male. No, qua non è l'America». Iolanda Aji, una dei 200 avoriani di Torino, in Italia dall'83, con un marito del Togo laureato in biologia che fa il meccanico, non ha invece rancore verso di noi: «Gli italiani si comportano male perché non sono mai usciti di qui, non conoscono». Lei invece ne sa abbastanza, sia del Nord che del Sud del nostro Paese. Preferisce il Sud. «Laggiù ti toccano i capelli, poi se ne vanno. Quassù fanno finta di niente, ti osservano di sbieco», Iscritta a Scienze politiche, senza lavoro, attacca: «Ci dicono: "Andate a casa vostra". Io rispondo: "Prima l'Occidente faccia il suo dovere, smetta di sostenere i regimi dittatoriali dell'Africa occidentale e centrale". Il grado di miseria che c'è laggiù è tale che può indebolire legami fortissimi, persino con i figli. Ma se li si lascia, è per potergli mandare qualche soldo affinché sopravvivano». E' il dramma di tante, anche di Haua Mohamud, una somala aggraziata, intelligente che è in Italia da 20 anni e fa la collaboratrice domestica. Ha due figli, la più giovane, una ragazzina di 14 anni, vive a Mogadiscio con i nonni. Ma dove? Haua non lo sa, non ha notizie da mesi, ogni comunicazione è interrotta. «Laggiù non c'è più niente» dice sgomenta. Forse neppure la sua casa. «La comunità internazionale deve intervenire, è disumano». Sta finendo il suo Ramadan, la religione sembra essere l'elemento di sostegno per questa gente. Anche la dignità di sé. «Degli italiani non mi lamento aggiunge Haua -. Però io mi sono comportata bene». [m. a.]

Persone citate: Fredo Olivero, Iolanda Aji, Mohamud, Olivero, Rita Hassan, Sued Benthdim