Volkswagen pagherà gli «schiavi del Reich» di Emanuele Novazio
Volkswagen pagherà gli «schiavi del Reich» Fondo di 9 miliardi per i Paesi d'origine Volkswagen pagherà gli «schiavi del Reich» Una perizia dèlio storico Mommsen «Produzione affidata ai prigionieri» BONN DAL NOSTRO CORRISPONDENTE La Volkswagen risarcirà i prigionieri di guerra civili costretti a lavorare per lei, ma la decisione di stanziare dodici milioni di marchi, nove miliardi di lire, per i sedicimila «Zwangsarbeiter» (i «lavoratori forzati» stranieri dai quali dipendeva quasi interamente la produzione, alla fine del conflitto) agita polemiche aspre, nonostante la svolta che annuncia. Troppo poco, dicono i critici, dal momento che i soldi stanziati non eguagliano certo gli stipendi mai pagati. E troppo tardi, anche perché a beneficiarne non saranno direttamente gli interessati ma i Paesi d'origine. La Polonia, la Bielorussia e l'Ucrania prima di tutto, che riceveranno i risarcimenti attraverso fondi sociali o la costruzione di asili e ospedali. Ma, ribattono i difensori dell'iniziativa, il risarcimento individuale era impossibile o molto difficile, per la difficoltà di rintracciare i protagonisti e per gli enormi costi amministrativi che un'operazione del genere avrebbe comportato. E poi, l'azienda ha spezzato il silenzio, anche se dopo 46 anni; ha infranto la barriera che l'industria tedesca quasi al completo ha costruito intorno al problema dei «lavoratori forzati», chiudendo gli archivi alle indagini o negando i fatti, con la sola eccezione della DaimlerBenz. Per ricostruire «gli anni del Terzo Reich alla Volkswagen», la Casa automobilistica di Wolfsburg ha affidato allo storico Hans Mommsen (il nipote di Theodor, che studiò il crollo dell'Impero romano) una ricerca sul materiale dei propri archivi: in attesa della pubblicazione integrale, prevista per l'anno prossimo, se ne conoscono da pochi giorni i primi risultati, qualche decina di pagine che hanno riaperto la polemica intorno agli «schiavi del nazismo», un problema di dimensioni umane e sociali enormi. Nell'estate del 1944 si trovavano sul territorio del Reich sei milioni di lavoratori civili stranieri, due milioni di prigionieri di guerra, e fra i 250 mila e i 400 mila prigionieri dei lager registrati come lavoratori. Gli «stranieri» rappresentavano quasi il trenta per cento del totale in tutti i settori dell'economia tedesca di allora, dall'agricoltura all'industria bellica. In alcuni settori la percentuale era del quaranta per cento, nell'industria di guerra addirittura del cinquanta per cento. E lo studio di Mommsen ha mostrato che alla Volkswagen la situazione era ancora più drastica: l'azienda era stata fra le prime a impiegare i prigionieri dei campi di concentramento, e negli ultimi anni della seconda guerra mondiale aveva affidato a loro quasi interamente la produzione. Ma nell'«Entschedigungsrecht», il diritto di risarcimento tedesco occidentale, i prigionieri di guerra e i civili costretti ai lavori forzati non vengono presi in considerazione: la regola è stata infranta una sola volta, quando negli Anni Cinquanta alcune grandi imprese si dichiararono disposte a risarcire gli ebrei che erano stati rinchiusi nei campi di concentramento nazisti. Tutti gli altri continuarono a essere esclusi, ma con la riunificazione la situazione è cambiata anche da un punto di vista giuridico: per anni molte riserve erano legate alla mancanza di un trattato di pace, in attesa del quale, si diceva, non è possibile risarcire. Quando il governo federale, nel 1991, ha deciso la creazione di una Fondazione per finanziare i risarcimenti agli ex «Zwangsarbeiter» polacchi - con un fondo iniziale di mezzo miliardo di marchi, trecento miliardi di lire - le imprese tedesche hanno continuato a tacere, nessuno ha pagato. Anche per questo l'iniziativa della Volkswagen farà discutere. Emanuele Novazio
Persone citate: Hans Mommsen, Mommsen
Luoghi citati: Bielorussia, Polonia
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