«Recitate, è meglio che lavorare»

«Recitate, è meglio che lavorare» Il Mattatore e il critico Bernard Dort nel saggio-intervista di Rita Cirio sul teatro «Recitate, è meglio che lavorare» La scena è un bordello, Gassman svela i suoi trucchi L mestiere è turpe. Per riscattarlo bisogna mettersi la camicia della mignotta istrionica... La nostra è una razza spresocialmente... E io ho I gevole nostalgia di quando quella degli attori era una razza più spregevole di adesso...». Bravissimo Gassman. Alla centomillesima intervista, riesce a farsi ascoltare con ammirazione, rabbia, rispetto, rancore, ripugnanza, infinito piacere. Bisogna però vedere chi lo stimola, lo pungola, lo stringe all'angolo del ring: si tratta di un avversario-complice, di qualcuno con cui non è possibile barare molto, che conosce il gioco perverso del teatro, sa smontare il giocattolo come l'orologiaio seduto al proprio deschetto. Rita Cirio, infatti, è un critico, allenatissimo; dal '76 è titolare della rubrica di teatro dell'Espresso, di teatro ha pubblicato saggi, una scrittrice in supertraining. Per di più impegnata in un'operazione didattica pur in senso molto lato, pur con tutte le libertà necessarie a trasformare un incontro, anzi due incontri, in un libro. E' Il mestiere di attore, la pratica artistica e i luoghi di formazione. Sta per uscire dall'editore Marcon, nella collana Contemporanea-Prismi che si rivolge ai giovani e di volta in volta vuole spiegare, attraverso le testimonianze di un «maestro» (in questo caso il Mattatore), e di un «formatore» (in questo caso il critico francese Bernard Dort) più una finale pratica appendice, una professione, magari antica come questa. Eternamente tentatrice. Anche perché, Gassman insinua, «le nuove generazioni non hanno una gran voglia di lavorare. Il teatro si presenta come una cosa sì dura, difficile, però come una sorta di non lavoro, o di lavoro part-time e non faticoso». Invece è una faticaccia. «Recitate, recitate, anche da soli, anche in bagno, anche in treno, dite monologhi, dite qualunque cosa, ma recitate, recitate», raccomanda con furia ai futuri colleghi il Padre del Teatro Italiano iniziando il suo viaggioguida nel cuore ma più ancora nella pancia, nei visceri della scena. Una specie di discesa all'Inferno, perché solo laggiù fra le fiamme dei sentimenti, nei cunicoli della trasgressione, l'Attore deve andare a cercare la sua strana felicità. Strada pericolosa, ancora oggi? Sì. «Quello dell'attore è un esercizio perpetuo di dissociazione, di meccanismi che sono patologici...». L'interlocutore che sembrava aver già detto tutto il dicibile, fascinoso autore di storie perennemente rivolte a se stesso, fa qui un'uscita a sorpresa; o forse il merito dell'effetto palcoscenico è piuttosto della coppia, Cirio più Gassman: così, tra finta leggerezza e astuta semplicità, il personaggio rivela la parte di sé più importante, il desiderio di offrirsi. Gassman naturalmente s'impegna nella discussione sulla drammaturgia, ma il regalo più prezioso sono i suoi trucchi. Raccomanda, insegna, ribalta. Per esempio: fate che il vostro orecchio abbia una «sensibilità addirittura vergognosa per la musica, e per la parola detta, il suono...»; che il vostro corpo diventi «come una grande palla da portare dove si vuole», trovi la sublime sfericità («non muovetevi come postelegrafonici»); che il gesto, in scena, preceda sempre la parola, sia «l'apertura, la conclamata disponibilità a una rivelazione...». E ancora: sul palcoscenico bisogna sudare. «Laurence Oli¬ vier, uno degli strumenti più perfetti mai esistiti, aveva una voce strepitosa, un orecchio assoluto, una forza, sudava moltissimo». Sul palcoscenico bisogna ridere: «Recitare vuol dire sorridere. La capacità di sorridere si lega al tema del gioco, alla felicità dell'espressione. Lo diceva anche Stanislavskij: un attore per recitare la felicità in una commedia deve essere molto felice; per recitare il dramma o la tragedia, deve essere ancora più felice». Sul palcoscenico bisogna non «impallare»: che in linguaggio tecnico vuol dire oscurare un compagno. Bisogna soprattutto non farsi «impallare». «La prima impressione del teatro quando ero un bambino è stata la stessa che ho provato più tardi entrando la prima volta in un bordello... Luogo strano, malato, ma nello stesso tempo cuccia, protezione». Un luogo affollatissimo, nel pre¬ sente e nella memoria, dove Gassman s'imbatte nei tic e nella grandezza di compagni e maestri: la fìnta sciatteria di Randone, le dissociazioni di Benassi, la «tenerezza» di Flaiano, la grande tensione etica di Pasolini, a parte «quel suo cinema del quale non mi piace quasi nulla, e anche il suo teatro è discutibile». Lì si ritrovano i «grandi riconosciuti», come Gielgud e Peter Brook; i «grandi misconosciuti» come Jean Servais; i «miti» come Gerard Philipe; i «bravissimi-sbagliati» come Albertazzi. Si riesaminano i rapporti con i registi, il patto di non aggressione con Ronconi, i dubbi su Visconti con quel suo «pantografare continuo, più eccessivo che nel melodramma...»; i problemi, la difficoltà, insomma, di essere attori. Specie in Italia. Anche perché «gli italiani spendono troppo teatro nella vita di tutti i giorni, ne rimane poco da portare in scena...». Che cosa devono fare, allora, quelli che si sentono «chiamati» e vogliono entrare nella «setta»? Gassman ha una sua ricetta che fornisce, con un piccolo sogghigno: «Dormire molto la mattina. Poi durante la giornata inventare giochi di parole, di mimèsi, di società. Scrivere poesie. Soprattutto intraprendere e coltivare, almeno da giovani, una certa carriera amatoria...». «Per quanto riguarda gli attori italiani di oggi devo ammettere che in generale non mi entusiasmano». Bernard Dort, secondo interlocutore di Rita Cirio, studioso del teatro oltre che critico famoso, è passato in questi giorni, a sessantadue anni, dall'altra parte del sipario e debutta come attore scespiriano. Non si ispirerà alla nostra scena teatrale. «Trovo ci sia una retorica nel modo di recitare italiano, nella dizione, nella gestualità, che è anche terribilmente noiosa». Con molti distinguo, il professore salva Carraro e Valentina Cortese, la Falk e Alida Valli, Mauri e Pagni, Bu azze Ili «grande nel ruolo di Peachum» e pochi altri. «Mi piacciono gli attori italiani solo quando sono un po' stanislavskiani. Ma, comunque e sempre, Carmelo Bene». Nel suo intervento Dort esamina a fondo la situazione europea, parla a trecentosessanta gradi del teatro. Su Gassman neppure una parola. In compenso straccia un intramontabile, una istitu¬ zione del suo Paese, Jean-Louis Barrault. «L'ho ritenuto sempre terrificante...». A Rita Cirio sembra esser piaciuto l'incontro con l'omologo Dort, per la sapienza e la finezza pungente dei giudizi, ma la grande simpatia va certo al nostro Primo Attore che qui, è vero, ha deposto la toga «per restare senza trucco (e senza peli sulla lingua), disposto alla chiacchiera colloquiale e sapiente, come tra camerino e cena dopo teatro, quando gli attori tirano fuori il meglio sul mestiere e sulla vita». Senza mai dire la verità, naturalmente. Mirella Appiotti L'attore: «Gli italiani fanno troppo teatro nella vita, ne resta poco per la scena». Il francese: amo Carmelo Bene Vittorio Gassman: con Ronconi un patto di non aggressione. Nelle foto piccole: Carmelo Bene e Jean-Louis Barrault, mito francese. Di lui Dort dice: «Mi è sempre sembrato un attore terrificante»

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