Saddam si piega all'ira di Bush di Paolo Passarini

Saddam si piega all'ira di Bush l'Iraq accetta di distruggere i missili, sfuma la minaccia di un'altra guerra Saddam si piega all'ira di Bush Baghdad ammette centinaia di Scud Powell: «Non ero contrario al blitz» WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Schiarita. Il governo iracheno ha comunicato alle Nazioni Unite la piena disponibilità a permettere la distruzione del suo intero apparato missilistico e a rendere noti tutti i programmi per la costruzione di nuove armi. La «buona notizia», come l'ha definita, nel darla, il capo della commissione per l'eliminazione delle armi di distruzione di massa in Iraq, Rolf Ekeus, allontana la possibilità di azioni militari punitive sul territorio iracheno, che erano state più volte minacciate da Stati Uniti e Gran Bretagna. Per quanto si trattasse di una possibilità più remota di quanto, fornendo intenzionalmente ai giornali notizie su piani d'attacco già predisposti, il governo Usa volesse far credere, occorre adesso che alle intenzioni seguano i fatti perché venga completamente cancellata. Sabato, quando i commissari dell'Onu incaricati del programma di distruzione prenderanno contatto con il governo e le autorità militari irachene a Baghdad, ci sarà un prima verifica. Ma ieri, alle Nazioni Unite, si era sparso un certo ottimismo. Ekeus ha detto ai giornalisti di aver ricevuto, nella tarda serata di giovedì attraverso l'ambasciatore iracheno all'Onu, Abdul Amir al-Anbari, una lettera da Baghdad che «conferma le nostre preoccupazioni ma dimostra anche un nuovo atteggiamento da parte dell'Iraq». Le preoccupazioni derivano dalla conferma, evidentemente implicita nella lettera, che l'armamento missilistico a disposizione dell'esercito iracheno e i programmi per la co- struzione di nuovi armi sono molto più ingenti di quanto finora l'Iraq avesse ammesso. Ai commissari Onu, per esempio, risulta che l'Iraq disponga ancora di circa 800 missili variamente armati, mentre Baghdad ne ha ammessi al massimo 62. Questa discrepanza sulle cifre è una delle ragioni per cui l'Onu aveva ammonito l'Iraq, minacciandolo di «gravi conseguenze». Ma c'erano altri motivi di preoccupazione, tra i quali il fatto che l'Iraq, nel chiedere il permesso di riconvertire all'uso civile alcuni suoi impianti militari, si rifiutasse di aderire pienamente alle condizioni del cessate-il-fuoco, comprendenti l'eliminazione di tutti gli armamenti pericolosi, fino a che non fossero state sollevate le sanzioni economiche impostegli. Così, mentre le Nazioni Unite, pur negando si trattasse di un ultimatum, avevano fissato nel 26 marzo la data-limite per una piena obbedienza, il Penta- gono faceva filtrare notizie di piani di guerra. Due giorni fa, per esempio, fonti anonime della Difesa americana hanno informato la stampa che era stato consegnato al presidente George Bush un piano di bombardamenti su un certo numero di obiettivi militari. Bush, da parte sua, aveva fatto sapere di essere pronto a «tutte le alternative», come del resto il primo ministro inglese John Major. Il fatto che sia in Gran Bretagna sia negli Stati Uniti si avvicinino le elezioni aveva indotto alcuni commentatori a concludere che i capi politici dei due paesi pianificassero di rafforzare il consenso elettorale verso di loro con una mini-replica della guerra del Golfo. Ma le cose non sono così semplici: un'azione militare di successo può far guadagnare consenso se, molto giustificata, ma può invece creare reazioni molto negative se appare portata a freddo. Nessuno è in realtà entusiasta dell'idea di riprendere i bombardamenti, soprattutto al Pentagono, dove il segretario per la Difesa Dick Cheney e il capo di stato maggiore Colin Powell sarebbero molto perplessi al riguardo. Powell ha smentito la sua opposizione a un'azione militare, dicendosi ieri «del tutto pronto». E, certamente, se la schiarita di ieri si rivelasse fasulla, il gioco delle minacce, anche se a malincuore, andrebbe onorato con l'azione. Paolo Passarini Gli inviati di Boutros Ghali già in partenza per le verifiche C'è ottimismo al Palazzo di Vetro «Gli iracheni non barano più» Il premier iracheno Tareq Aziz difende le posizioni dell'Iraq all'Orni Sopra, il presidente americano George Bush [foto apj