Abbattere gli elefanti?

Abbattere gli elefanti? SPECIE IN PERICOLO Abbattere gli elefanti? A Kyoto sono state fornite cifre diversissime sull'effettivo numero di pachidermi Troppi capi nel parco dello Zimbabwe: le proboscidi sradicano gli alberi GROSSE polemiche all'ultima riunione della Cites, la «Convention on International Trade in Endangered Species» (Convenzione sul Commercio Internazionale delle Specie Minacciate) che si è tenuta in queste settimane a Kyoto, in Giappone. Pareri contrastanti tra i protezionisti a oltranza - che intendono mantenere, e semmai inasprire, le norme che regolano il commercio dell'avorio e delle specie animali in pericolo - e i delegati di alcuni Paesi che vorrebbero invece, almeno in determinati casi, la mitigazione di quelle norme che giudicano troppo severe o inadeguate alla loro situazione interna. Si è parlato di animali che forse nessuno pensa siano in pericolo, come l'orso bianco, a cui si dà la caccia perché la sua cistifellea è un importante ingrediente della medicina tradizionale asiatica, o come il pangolino del Capo, di cui si utilizzano le scaglie, nella farmacopea cinese e la cui carne è considerata un'autentica leccornia in molti Paesi africani. Ma il pomo della discordia è soprattutto l'elefante africano (Loxodonta africana) sulla cui consistenza numerica vi sono ampie divergenze. Iain DouglasHamilton, che ha dedicato gran parte della sua vita all'osservazione e allo studio degli elefanti in Africa Orientale, ritiene che la popolazione della specie sia passata da 1.300.000 individui nel 1979 a 609.000 nel 1989, una drastica riduzione nel corso di un decennio. Diverso è il parere di altri studiosi, i quali fanno osservare che il quaranta per cento degli elefanti africani sono abitanti delle foreste e come tali appartengono alla sottospecie Loxodonta africana cyclotis (mentre l'elefante delle savane s'identifica con la sottospecie Loxodonta africana oxyotis) ed è oltremodo difficile farne un censimento esatto con il metodo più largamente usato, quello delle ricognizioni aeree, perché dall'aereo non si riescono a distinguere gli animali in mezzo alla fitta vegetazione della foresta. A questa difficoltà si uniscono altri fattori negativi, come le abitudini migratorie della specie, l'instabilità politica dei paesi e le guerre civili. D'altra parte si sono rivelati inefficaci anche altri metodi, come quello di contare gli elefanti che si recano ai punti d'acqua: vi possono infatti essere individui che non ci vanno affatto durante il periodo delle osservazioni e altri che ci vanno invece più di una volta. Si tratta sempre di stime numeriche arbitrarie, a parere di molti zoologi. Sul problema degli elefanti vi sono poi divergenze di fondo tra i vari Paesi africani. Mentre la situazione è semplicemente di- sastrosa in Paesi come la Tanzania o il Kenya, l'Angola o il Mozambico, il Sudan o la Somalia, è invece paradossalmente florida nello Zimbabwe e nel Sud Africa: il numero degli elefanti dello Zimbabwe è aumentato, a partire dalla metà degli Anni Ottanta, e oggi se ne contano circa 68 mila - circa 25 mila in più di quanti ne possano sfamare le risorse vegetali del Paese. Il Parco Nazionale Hwange, che con i suoi quindicimila chilometri quadrati è il più grande dello Zimbabwe, quando fu isti¬ tuito intorno agli Anni Venti conteneva solo un migliaio di elefanti che sono diventati ventimila nel 1980. Secondo il parere degli esperti, il parco non può sostentare più di dodici o tredicimila elefanti. Quando si supera questo numero, se ne vedono subito le conseguenze: centinaia di alberi giacciono stesi al suolo, alcuni scortecciati dall'appetito degli elefanti, altri sradicati dalla proboscide dei maschi più robusti che ricorrono a questo sistema per raggiungere più facilmente la chio¬ ma di foglie commestibili. Sono grosse ferite infette a una vegetazione che già di per sé non è affatto lussureggiante. Per contrastare la moltiplicazione degli elefanti, le autorità hanno deciso di intervenire abbattendo l'eccesso di popolazione. Può sembrare una decisione crudele ma, come sostiene Gary Haynes della Nevada University, è la più saggia. Lo Hwange ha una vegetazione diversa da quella di altri parchi africani. Cresce su uno strato molto sottile di terreno o su uno spesso strato di sabbia. Se animali pesanti come gli elefanti continuano a calpestarla e a rovinarla, distruggendo per giunta gli alberi esistenti, ci vorranno secoli prima che rinasca sul terreno un nuovo manto erboso e arboreo. Nel frattempo sono destinati a morire di fame non solo gli elefanti, ma tutte le specie erbivore che oggi popolano il parco. Lo Zimbabwe non è il solo che chiede sia parzialmente mitigato il bando del commercio dell'avorio imposto dalla Cites nel 1989. Lo affiancano Sud Africa, Botswana, Namibia, Malawi e Zambia. Per questi Paesi la ripresa, del commercio d'avorio significherebbe poter disporre di denaro sufficiente a proteggere i parchi dall'invasione e dallo sfruttamento umano. Perché - e su questo punto concordano tutti gli esperti - la maggiore minaccia all'ambiente è rappresentata dalla popolazione umana, destinata a raddoppiarsi nel giro dei prossimi vent'anni. Secondo il parere di Mustafa Tolba, direttore dell'Unep, United Nations Environment Programme (Programma ambientale delle Nazioni Unite), ci vorrà un massiccio intervento straniero per arginare la corsa al territorio e alle sue risorse da parte di una massa sempre crescente di uomini. L'esempio più eloquente lo offre il Rwanda, che conta ora sette milioni e mezzo di abitanti destinati a diventare 15,6 milioni nel 2012. Una popolazione così numerosa eserciterà certamente un'enorme pressione sul dieci per cento del territorio attualmente riservato alla conservazione della fauna selvatica. Di fronte a questa prospettiva, che si può estendere anche agli altri Paesi africani, ci si deve convincere che il vero problema del futuro è l'esplosione demografica umana. Isabella Lattes Cotfmann Alcuni Paesi chiedono limiti per il bando sul commercio dell'avorio Gli elefanti africani sarebbero, secondo alcuni zoologi, poco più di seicentomila. Altri obiettano invece che nessun censimento e attendibile, perché dall'aereo non si possono distinguere i pachidermi nel fitto della foresta e la conta ai punti d'acqua è del tutto arbitrarla.

Persone citate: Gary Haynes, Isabella Lattes, Mustafa Tolba