SCERBANENCO UNA VITA IN ROSA E NOIR

SCERBANENCO UNA VITA IN ROSA E NOIR SCERBANENCO UNA VITA IN ROSA E NOIR Dalle storie d'amore ai delitti di Milano CI sono dei misteri nella storia delle grandi case editrici che si ribellano alle spiegazioni. E' vero che la Rizzoli non è più da anni della Rizzoli e che la Mondadori ormai non può più esser considerata dei Mondadori, ma resta incredibile ancora oggi che verso la fine degli Anni Venti Arnoldo Mondadori si sia trovato tanto in difficoltà con i suoi periodici da doverli cedere ad Angelo Rizzoli che sarebbe stato il suo più grande rivale; due libri avvincenti come La Erre Verde di Alberto Mazzucca (Longanesi, 1991) sulla dinastia Rizzoli e In nome della rosa di Franco Bechis e Sergio Rizzo (Newton Compton, 1991) sulla dinastia Mondadori registrano il passaggio quasi senza commenti. Eppure fu una svolta fondamentale, tale da incidere su più di una vita. Se non altro su quella di Giorgio Scerbanenco ovvero Vladimir Scerbanenko, nato a Kiev nel 1911 da padre ucraino e da madre italiana, ma prima romano e poi milanese dai sei mesi di vita in poi. Per la verità, Angelo Rizzoli recalcitrò un poco prima di sobbarcarsi la cura di quelle testate in perdita. Per scongiurare il disastro completo di Arnoldo Mondadori, intervennero dei samaritani d'eccezione: Senatore Borletti, senatore prima di nome, poi anche di fatto, il fondatore della Rinascente, Calogero Tumminelli, editore, Giovanni Treccani, fondatore dell'Istituto per l'Enciclopedia omonima, ed Ernesto Bocconi dei Bocconi fondatori dell'Università pure omonima ed ex padroni dei Magazzini omonimi trasformati dal senatore Borletti in Rinascente. Angelo Rizzoli fu, dunque, allettato a soccorrere Arnoldo Mondadori dalla commissione della stampa della grande enciclopedia italiana e da una consistente ricapitalizzazione. Lui ci mise un sacco di cambiali, la sua energia indomabile, nonché la sua fortuna di giocatore spericolato. Per adempiere all'incarico enciclopedico fece costruire un nuovo stabilimento in piazza Carlo Erba, e tra i periodici acquistati scoprì un tesoro: Novella. Fondata come un mensile nel 1919 da Mario Mariani, diventata quindicinale dopo l'acquisto di Arnoldo Mondadori, si presentava come un fascicolo contenente, appunto, novelle dei presunti migliori autori italiani da Federico Tozzi a Luigi Pirandello. Il non infallibile Dizionario biobibliografico degli autori italiani di Asor Rosa dà Novella come estinta nel 1927. Ma, naturalmente, non è vero. Novella cambiò in meglio o in peggio, diventando periodico Rizzoli, come in peggio o in meglio è cambiata anni fa sotto la testata di Novella 2000. Allora Novella cominciò a uscire come settimanale e in veste di vero giornale: non più un fascicolo tutto nero di piombo di grandi firme, ma esemplari di narrativa popolare, storie passionali e strappacuore con tante fotografie virate in viola di stelle del cinema. La miscela appetitosa era completata dalla piccola posta che coinvolgeva ulterior¬ mente le lettrici nello scambio di segreti in pubblico. Il direttore di Novella era Guido Cantini, cognato di Arnoldo Mondadori, ma ispirato da Angelo Rizzoli, seppe immaginare un giornale di grande comunicativa. Costata solo 15.000 lire nel totale di 40.000 con cui erano stati acquistati anche i mensili La donna e Comoedia e il settimanale Il Secolo Illustrato, Novella risultò un grosso affare e stimolò l'editore a metter fuori altre testate colorate ognuna a suo modo. Se Novella era in inchiostro viola, e 22 Secolo Illustrato era in marrone, Cinema Illustrazione, poi Cineillustrato, il primo settimanale sullo spettacolo, appare in blu e Lei, settimanale per la donna qualunque, in seppia, e così via. Il numero 6 di piazza Carlo Erba a Milano dove sorgeva il bianco palazzo tutto marmi e orgoglio della Rizzoli diventò una gran fabbrica di sogni, ma anche una meta incomparabile per chi, senza essere accademico d'Italia, aveva l'ambizione di scrivere storie. E così un giorno una-storia d'amore del disoccupato Giorgio Scerbanenco (un anno e mezzo come fresatore, poi magazziniere alla Borletti, a lungo in sanatorio a Cuasso al Monte e milite sulle ambulanze della Croce Rossa, licenziato dalla medesima perché considerato un poeta, successivamente licenziato anche come contabile di una grossa ditta perché sbagliava le fatture per scrivere novelle) venne accettata da Cesare Zavattini che curava Piccola e altre riviste rizzoliane. Non solo la novella venne accettata, il vulcanico Cesare Zavattini, indaffarato a proclamare le virtù degli altri come le proprie, volle conoscerne l'autore. «Arrivai nel suo ufficio, magro e spettrale com'ero per la fame patita» - raccontava Giorgio Scerbanenco, ironico, naturalmente, nei propri confronti «con un impermeabile doubleface: da una parte era un soprabito Galles, dall'altra era tela cerata marrone. Lo portavo senza giacca, perché non possedevo più una giacca, dopo tanta disoccupazione, e non avevo cravatta perché, sempre per la disoccupazione, avevo deciso che si trattava di un'inutilità retrograda. Così vestito facevo molto futuro scrittore, e tutti sembravano convinti che avessi grandi possibilità di diventarlo. Dopo qualche tempo fui assunto ma ero arrivato in porto dopo troppa miseria...». Alla Rizzoli avevano fiutato giusto. Giorgio Scerbanenco si rivelò una macchina per scrivere storie d'amore, per interi giornali. Si adombrava facilmente se qualcuno gli domandava se fosse russo, anzi era capace per una domanda indiscreta di allontanarsi dal posto di lavoro e restare a lungo assente, lavorava tanto, comunque, e faceva fare ancora più soldi al padrone, ma non era felice, non andava palesemente d'accordo con se stesso. Prese a comportarsi come un principe russo da romanzo di Destoevskij o Tolstoj, spendeva molto nel bere o nel far bere, prodigava favolose mance ai camerieri incaricati di far piazza pulita degli avventori che non gli piacevano, a esempio al Biffi dell'Ottagono o in altri locali. Arrivò a comprarsi un lussuoso macchinone e a farsi accompagnare al lavoro da uno chauffeur che scendeva davanti al numero 6 di piazza Carlo Erba e gli apriva la portiera, togliendosi il berretto in segno di omaggio. Il Cummenda che amava ogni tanto affacciarsi al balcone del palazzo per vigilare su quella che riteneva, più che una parte di Milano, il suo paese, assistè una volta alla scena dell'arrivo del suo autore e non la mandò giù. Così Giorgio Scerbanenco rinunciò a macchina e ad autista e, già che c'era, anche alla Rizzoli. Dopo aver rimuginato a lungo lo smacco che gli aveva inferto Angelo Rizzoli trionfando con le riviste che lui stesso gli aveva ceduto, Arnoldo Mondadori aveva infatti deciso di passare al contrattacco. Varò una testata concorrente Novellissima. Una concorrenza discutibile. Al limite del plagio o magari oltre. La stessa testata potenziata. Virata in viola pressappoco uguale, ma con un poco più d'azzurro, forse. «Offrivano molto di più che alla Rizzoli c mi lasciai sedurre», raccontava Giorgio Scerbanenco, sempre più autoironico, «ma dopo qualche numero fu chiaro che la testata vecchia continuava ad avere più presa. Novellissima venne chiusa, e mi ritrovai disoccupato. Non fu come quando mi ritrovavo disoccupato dopo aver tentato qualche mestiere che non sapevo assolutamente fare, come il fresatore o il contabile. Allora non sapevo cos'ai-' tro fare. Ormai, invece, sapevo di contare qualcosa sul mercato: ero in grado di scrivere quattro o cinque racconti alla settimana, di mandare avanti due puntate di romanzi alla settimana, di tenere due o tre rubriche di corrispondenza alla settimana e di buttar giù alla settimana un numero imprecisato di pezzi e pezzetti necessari al completamento di un numero di questa o quella testata. E, se lo sapevo io, lo sapevano anche gli editori. Il Cummenda Rizzoli mi riprese perché gli ero utile e perché, per mia disavventura personale, gli sarei costato meno ora di prima, ma, siccome lo avevo tradito, decise anche di non rivolgermi più la parola. Ha mantenuto la promessa. Sono rientrato alla Rizzoli come macchina per scriver storie d'amore, e basta...». La ragione più insidiosa della sua infelicità (quella che contava più dell'incubo della troppa miseria patita prima di arrivare) Giorgio Scerbanenco, più che mai Vladimir Scerbanenko, l'ha capita solo tardi. Era quel maledetto obbligo del lieto fine prescritto per ogni storia d'amore che lo ossessionava. Lui costruiva storie drammatiche di rapporti tra donne e uomini che non potevano ma che dovevano chiudersi come le favole. Sentiva troppo la responsabilità nei confronti del suo numerosissimo pubblico. La viveva intensamente e crudelmente per se stesso. Solo in relativa vecchiaia, mentre Novella e tutti gli altri giornali del genere entravano in crisi di fronte alle rivendicazioni femministe, la macchina per scrivere storie d'amore ha deciso di scriver per sé. Dal rosa, Giorgio Scerbanenco è passato al nero e ha scritto libri di tensione in cui alla fine morivano quasi tutti, a malapena scampava il protagonista, Duca Ijamberti, medico radiato dall'ordine per eutanasia. Pubblicati da Garzanti, Venere privata,'Traditori'di tutti, I ragazzi del massacro, I milanesi ammazzano al sabato hanno avuto uno straordinario successo. In Francia hanno addirittura trionfato. Un trionfo da scrittore senza etichette di sottogenere o di genere. Ogni tanto, la sera, Giorgio Scerbanenco mi invitava a brindare ai morti ammazzati in una giornata di lavoro. Non che nei suoi libri i buoni non venissero ammazzati dai cattivi, ma poi lui ammazzava tutti i cattivi implacabilmente. Elegante nei vestiti che a volte prediligevano audacemente dei toni pastello visti portare solo al fantasista Fanfulla, figlio dell'indimenticabile Diavohna, ma che lui riempiva (per modo di dire a causa della magrezza) con aristocratica dignità, mi diceva mitemente: «Sai quanti ne ho fatti fuori oggi? Indovina...». Era finalmente felice del suo lavoro, della sua donna, delle sue due figlie. Peccato che sia morto, nel 1969, quando aveva appena cominciato a prender gusto allo scrivere. Oreste del Buono Esordì su «Novella», se lo contesero Rizzoli e Mondadori, trionfò con «Venereprivata» Ex fresatore ed ex magazziniere fu lanciato come scrittore da Zavattini Giorgio Sceiiìanenco Q'iadimir Scerbanenko) nacque a Kiev nel 1911 da padre ucraino e madre italiana, morì nel 1969 Angelo Rizzoli Arnoldo Mondadori

Luoghi citati: Cuasso Al Monte, Francia, Galles, Italia, Kiev, Milano, Noir