VIAN TRA PUPE E CADILLAC di Giovanni Bogliolo

VIAN TRA PUPE E CADILLAC VIAN TRA PUPE E CADILLAC Un «pastiche» a Chicago "■R ^TON inganni la citazione evangelica. A non sapere quello I che fanno sono le pu- I pe di una convenzio- I naie Chicago che, in- vece di mettersi gej nerosamente a di- I S sposizione dei ragazV zi di buona famiglia che girano in Cadillac e bevono highball al Potomac Boat Club, si sono lasciate irretire da una delinquente abile e spietata che è anche «una nipotina di quella cosiddetta Saffo che scriveva porcherie in greco perché nessuno la capisse». E non si tratta certo di invocare per queste reprobe il perdono divino: le più incallite si possono solo combattere sul loro stesso terreno dell'astuzia e dell'efferatezza, le altre bisogna cercare di redimerle con la forza dell'esempio, e il giovane protagonista Francis Deacon, ben coadiuvato da suo fratello Ritchie, riesce brillantemente nell'una e nell'altra impresa. Per la verità, nel titolo originale il richiamo al Vangelo di Luca non c'era, ma a nessuno verrà in mente di eccepire se la traduttrice Eileen Romano ha scelto questo modo per compensare - sovraccaricando la traduzione di Elles ne se rendent pas compte - le perdite e le attenuazioni che è inevitabilmente destinato a subire nel passaggio a un'altra lingua un testo a base prevalentemente gergale, scritto per puro divertimento e con la tecnica del pastiche. Il romanzo è infatti l'ultimo, e forse il meno felice, dei quattro che Boris Vian ha attribuito ad un immaginario scrittore negro-americano Vernon Sullivan e di cui si è presentato come il traduttore. «La «Sèrie Noire» di Marcel Duhamel, che nell'immediato dopoguerra aveva fatto conoscere in Francia i romanzi dei Dashiel Hammett, dei Raymond Chandler, dei Peter Chesney e dei James Hadley Chase, aveva imposto, insieme col nuovo genere letterario àeWhardboiled, il linguaggio colorilo e brutale che gli aveva voluto attribuire. Molti scrittori francesi ne erano rimasti affascinati e alcuni - come Leo Malet e Raymond Queneau, ribattezzati rispettivamente Frank Har¬ ding e Sally Mara, e Vian-Sullivan - oltre che nella traduzione si erano cimentati nell'imitazione. Di tutti Vian è però quello che ha spinto il gioco più a fondo, a un certo punto lasciandosene anche pericolosamente coinvolgere. Col suo primo romanzo «americano» - J'irai cracker sur vos tombes, ora proposto da Interno Giallo {Sputerò sulle vostre tombe, pp. 132, L. 10.000) - la mistificazione aveva funzionato così bene che ne era nato un caso ed egli, a forza di attestare l'esistenza del misterioso autore e di difenderne l'opera da un'accusa di oscenità che la vedeva accomunata nientemeno che ai Tropici di Henry Miller, aveva finito per assumere quella di Sullivan come una seconda personalità. Per qualche anno, dal 1946 al '50, oltre a scrivere in nome proprio il meglio della sua produzione narrativa, ad occuparsi di jazz come critico e come musicista e ad animare la vita notturna di Saint-Germain-des-Prés, si era sentito in dovere di fornire con I shall spit on your graves un finto originale al vituperato ma vendutissimo libro dell'esordio e di arricchire la bibliografia del suo pseudonimo di tre altri romanzi, Le morts on tous le mémepeau. Et on tuera tous les affreux e questo Elles ne se rendent pas compte. Ro.ianzi sempre meno «neri» e scandalosi e imitazioni sempn più ironiche di modelli che, nel giro di pochissime stagioni, avevano provocato una stucchevole maniera. Se i primi avevano potuto ingannare censori e lettori, soprattutto quelli che dimenticano che spia del falso è spesso proprio la sua ineccepibile perfezione, quest'ultimo non cerca neppure più di mascherare il proprio gioco: il suo ritmo indiavolato è più simile a quello delle comiche che a quello dei romanzi d'azione e il suo stile scanzonato e un poco sbruffonesco coinvolge il lettore in una complicità gaglioffa col protagonista che racconta le sue avventure, ma impedisce che si crei anche solo un accenno di tensione. Dietro allo spavaldo e sbrigativo narratore di tanto in tanto fa capolino uno scrittore che sapidamente ne punteggia e critica lo stile. Nella spudoratezza del giovanotto che ci vuole convincere di aver fatto una buona azione «ridando a quelle povere ragazze il gusto dell'amore normale» e di avere «rispettato i legami familiari» trascinando il fratello in tanti pasticci si avvertono gli echi dell'insolenza, della derisione e della verve iconoclasta di Vian. E la nota in cui si spiega il ricorso ai puntini di sospensione («I puntini rappresentano azioni particolarmente piacevoli ma per le quali la legge vieta la propaganda, poiché è permesso istigare la gente a uccidersi in Indocina, o altrove, ma non incoraggiarla a fare l'amore») vale, per l'autore del Déserteur, più di una chiara e leggibile firma. D'altra parte, se un valore hanno avuto i libri del falso Vernon Sullivan è stato quello di portare alla ribalta La schiuma dei giorni, L'autunno a Pechino e tutti gli altri del vero Boris Vian. E se un senso ha oggi riproporli è nella speranza che si ripeta il miracolo. Giovanni Bogliolo Boris Vian Perché non sanno quello che fanno MarcosyMarcos. pp. 152. L 20.000

Luoghi citati: Chicago, Francia, Indocina, Pechino, Ton