MALERBA NEL 2000

MALERBA NEL 2000 MALERBA NEL 2000 «Le pietre volanti» : vicende di un pittore in bilico fra Varte e la ricerca del padre IL romanzo inizia due mesi prima dell'arrivo del Duemila. Il protagonista è un pittore famoso che si è rifugiato in un albergo della tranquilla Svizzera por sottrarsi alle iniziative - di gioia o di pianto - che certo in Italia, Paese più estroverso, sarebbero state organizzate in occasione dell'evento. Qui a Basilea, al riparo da ogni distrazione, e alla vigilia di un accadimento comunque inquietante, il protagonista decide di raccogliere in parole la sua vita passata (in altri termini di riscrivere la sua autobiografia) nella consapevolezza che le parole durano più dei quadri. Così apprendiamo che il protagonista si chiama Ovidio; che abita a Roma; ha due fratelli, Ottavio e Oscar; un padre, imprenditore edile; una madre, sofferente e ammalata. Ovidio scopre la pittura, il piacere di dipingere, fin da ragazzo, frequentando la scuola d'arte di via Ripetta. E' un piacere travolgente. Dipingere è la sua unica attività. Diventa adulto. Fuori c'è il fascismo e la guerra attraverso i quali (eventi) Ovidio passa distrattamente. Tornato ferito dall'Africa Settentrionale riprende forsennatamente a dipingere. Il suo stile si precisa definitivamente. Gambe, braccia, tor¬ si e altre deiecta membra affollano le sue tele, insieme con «pietre, marmi, legni, uova di struzzo, rigidità millenarie, insetti velenosi e cieli impossibili». Organizza le prime mostre pubbliche suscitando un rumoroso interesse. Il padre, in seguito a un rovescio finanziario, fugge all'estero. La madre, da sempre malata, muore. Ovidio vede le sue azioni di pittore crescere rapidamente e si avvia a diventare il più famoso (uno dei più famosi) pittore di Italia. Gli anni passano. Un certo giorno Ovidio legge su un giornale egiziano la notizia della morte del padre. Si reca in Egitto per saperne di più. Torna deluso. Il fratello Oscar, ormai studente universitario, si fidanza con una ragazza tedesca, cheprende possesso della casa comune. Friederike, così si chiama, è una ragazza arrogante e impositiva tanto da indurre Ovidio a escogitare un sistema mortale per sbarazzarsene. Il tentativo non riesce ma, ahimè!, per errore ha effetto sul fratello. Morto Oscar, Ovidio vende la casa romana e acquista un finto castello medievale in Umbria, dove si trasferisce. Qui si chiude in una vita di operosità e di solitudine, di tanto in tanto interrotta da brevi viaggi di lavoro. Al di fuori di qualche raro incontro amoroso (in realtà uno solo con una giornalista di religione musulmana con la quale esperimenta i vantaggi dell'unione di sesso e preghiera) non vede (e intrattiene rapporti con) nessuno. La sua famiglia è svanita nel nulla. In realtà il padre non è morto a Luxor in Egitto come Ovidio credeva ma anni dopo a Vancouver come apprende da una misteriosa lettera. E apprende molte altre cose. Che il padre al momento della fuga aveva trovato riparo in Canada. Che era stato raggiunto dall'amica migliore della madre con cui evidentemente aveva intrecciato una relazione segreta. Che Vittorio, il più grande amico del fratello Oscar, era il frutto di quella relazione. Che dunque aveva un fratellastro che non era altri che quel bambino di dieci anni che Ovidio, anche lui un ragazzo, sentiva ridere e giocare con Oscar nella stanza a fianco. Il romanzo si avvia alla fine attraverso una serie di rivelazioni che si concludono con un incontro di Vittorio e Ovidio nella hall dell'Hotel de la Ville. Andandosi incontro li vediamo esitare; la ragione è che ognuno dei due riconosce nell'altro l'immagine del padre quale ciascuno (in tempi e occasioni diverse) lo vide l'ultima volta. Al termine dell'incontro Vittorio e Ovidio si promettono di rivedersi: non si rivedranno più. Questo romanzo di Malerba, che ho dovuto riassumere per meglio sostenere la seconda parte del mio discorso, presenta un triplice volto: è cioè un romanzo futurologico, una fiaba, un trattato di poetica. Il romanzo futurologico, che, dopo la lettura delle prime pagine con New York abbandonata e arrugginita e Lione addirittura scomparsa travolta dall'esplosione di una centrale nucleare -, sembrava destinato a fare la parte del leone, finisce quasi subito: è poco più che un pretesto introduttivo che si estende per non più di una ventina di pagine che (confesso) abbandoniamo con dolore. Poi inizia la fiaba. E qui, Malerba, dà il meglio di sé. La trama, come di regola nel racconto di favola, si srotola con semplicità: i personaggi, più che figure in carne e ossa, rappresentano dei semplici ruoli; le azioni, più che eventi, sono meccanismi che hanno lo scopo di portare avanti la trama. Che va avanti e procede verso la risoluzione apparentemente muovendosi, in realtà stando ferma: cioè replicando ripetutamente i suoi ingredienti. Nelle favole nulla va perso: tutto torna e si ripete fingendo diversità lì dove è identità: il miracolo si realizza per una serie di accorgimenti che si caratterizano per la crudeltà che esercitano verso il lettore sottoposto alla doccia fredda di continue sparizioni e ritrovamenti, morti apparenti e morti reali, disconoscimenti e agnizioni. Alla fine il lettore si accorge che lo scrittore sta giocando con poche pedine, con le quali, variamente combinandole, riesce a disegnare (e non si sa come) una magica trappola cui al lettore non basta resistere per evitare di sprofondarvi e con gratitudine perdersi. Ogni favola ha in sé implicita una morale. Questa volta la morale assume l'aspetto di una confessione di poetica. E qui siamo al terzo volto con cui il romanzo di Malerba si mostra. Ovidio è un pittore che dipinge traendo le immagini dal magazzino della memoria. Egli aborre dal vero. Anzi l'incontro col vero gli fa girare gli occhi dall'altra parte. In particolare ha in orrore il corpo umano e quando viene messo di fronte a un nudo ha un colpo di vomito: gli sembra di vedere attraverso la pelle liscia «l'interno pulsare degli organi: il fegato il cuore la milza i polmoni lo stomaco gli intestini». All'attualità della materia, in quanto sanguinolenta e deperibile, è negata ogni attenzione. Il presente è abolito: il tempo per lui è tutto nel pas¬ sato e nel futuro. «Non capisco la realtà ma la creo o addirittura la anticipo», afferma Ovidio, e trova la prova di questa affermazione quando, viaggiando per l'Egitto, si imbatte in un reperto archeologico assolutamente identico a quello che qualche tempo prima lui stesso aveva dipinto. Questo terzo libro nel libro è la struttura portante delle Pietre Volanti che forse potrebbe avere più pertinentemente per titolo il già noto «Ritratto d'artista come se stesso». Ma anche come Malerba che con Ovidio ha molto da spartire. La stessa finta ingenuità, la stessa finta estraneità, la stessa determinazione, la stessa grazia (che «col Cielo e le Musa non c'entra»), la stessa crudeltà (indispensabile per scoprire ciò che non si può sapere), la stessa sfida portata al senso e ai suoi poveri fedeli. La religione di Malerba è un'altra: è quella dei poeti che «riescono a dire la verità anche quando dicono di non averla trovata». Angelo Guglielmi Luigi Malerba Le Pietre Volanti Rizzoli pp. 272. L. 28.000 0 Un dipintol'artista m(foto piccoha modà/ladelle «Pietr Un dipinto di Clerici, l'artista m au Malerba (foto picco/a) ha modà/lalo il protagonista delle «Pietre volanti»

Persone citate: Angelo Guglielmi, Clerici, Luigi Malerba, Malerba