Le mie parole un po' così

Le mie parole un po' così Incontro con l'awocato-chansonnier che pubblica in un libro tutti i suoi testi Le mie parole un po' così Paolo Conte: troppa romanità, io sono padano I TORINO RMAI è diventato un avvocato «un po' così» Paolo Conte. Vive in tournée, venti giorni il mese. Camere d'albergo dopo camere d'albergo, spettacolo dopo spettacolo, «giro ancora all'antica, amo le orchestre, la piccola banda. Il resto è ben poco, soffro d'insonnia». Routine? «Lo spettacolo ha dei margini, ma non s'improvvisa». E i piaceri? «Incontrare il pianoforte che farà passare la serata a me e al pubblico. La bellezza del teatro, il suo fascino, sentire la sua storia. I teatri italiani fanno godere, ma ti fregano sull'acustica». Le avventure? «Sto con i miei musicisti. Il giorno dopo c'è da fare altra strada in macchina, magari l'albergo non ha tapparelle, il frigobar sembra una ruspa...». L'applauso? «Lo vivo durante l'esecuzione. Sono come un funambolo sulla corda: devo vedere se arrivo dall'altra parte. Certo mi fa piacere, ma non più di una analisi a freddo. Non fiammeggio». Chiacchiera, l'avvocato «un po' così», Paolo Conte, ben sapendo che le sue parole sono altrove e che queste sono un di più, un'appendice a quell'autoritratto musicale che va dedicandosi e dedicandoci da quasi trentanni. ■ Con Torino deve avere un lieve atteggiamento di diffidenza; quando scende da Asti, indugia prima di attraversare i ponti, o forse è^solo l'atteggiamento degli artisti che hanno bisogno della notte e di un luogo preciso, il teatro, per esistere. Comunque, per il suo nuovo libro Le paróle, uscito in questi giorni, l'editore se l'è cercato al di qua del Po, dietro la Gran Madre: Umberto Allemandi. Conoscendo la sua cura grafica, gli ha affidato tutti i testi delle sue canzoni, da La fisarmonica di Stradella del '69 a Un vecchio errore del '90. Una curiosità. Quando canteremo Genova per noi ricordiamoci che la strofa non dice, e i genovesi se l'ebbero a male, «Genova ha i giorni tutti uguali». Il senso è ben altro: «Lasciaci tornare ai nostri temporali, / Genova, ai giorni tutti uguali». Conte se l'è riviste una per una, ha ristabilito le versioni originali. Un lavoro alla Maria Corti, da filologi di Pavia. Dopotutto Paolo Conte, l'anno scorso, ha avuto il Premio Montale come riconoscimento ai suoi Versi per Musica e la prefazione di questo libro porta la firma di una agrégée de l'Université di Parigi, Doriana Fournier. Ma Conte non lo si ama per gli allori. Ma perché si chiede «com'è la pianura padana», «la giarrettiera rosa / e chi l'ha vista ormai», «Sara, ti sei accorta», «chi siamo noi... e dove andiamo noi», «e vai che io sto qui e aspetto Bartali». Eppure su quel Premio Montale ha ancora una amarezza: «Eravamo là, non c'era un giornalista musicale, ignorati. Se ci fossero stati avrebbero potuto cogliere una rivincita proprio in nome di quella poeti- cita, che mi avevano attribuito». Amarezze che evaporano per chi sa che: «Passa la vita, come una senorita, de amor...». Quello che conta è arricchire il «canzoniere», l'autoritratto amoroso? «Io sono padano, non faccio madrigali. Ho un pudore, non declaro, le mie canzoni d'amore dichiarato sono poche. Mi piace, da padano, raccontare vecchie favole con protagonisti dalle dinamiche spettacolari, come sanno fare i francesi. Cerco di dare, in 3 o 4 minuti, delle pièces teatrali, certo uso l'esagerazione, molta frizione fra uomo e donna. Il mio è un racconto scenico». Giornate al mare, glandi tanghi e milonghe, equivoci del ti¬ po: «Cercavo una donna / e ho trovato una commedia», tutto il far musica di Conte diventa scenografia, ambiente, cinema. E' questo l'esotismo? «Io l'ho chiamato il mio esotismo. Ultimamente lo definisco T'altrove", gioco distante, per esempio parlo di Buenos Aires che non ho mai visto. Cantare delle cose di qui, vicine, è pet-pet (modesto, ndr). Le cose lontane prendono una teatralità maggiore». Anche lo chansonnier Conte, come molti scrittori, giudica l'oggi irrappresentabile? «Ci.deve essere anche qualcosa di tecnico, di insito nell'atto di scrivere. L'attualità pura e semplice non è raccontabile. Puoi farlo a cose av¬ venute, solo così gli dai fisicità. Se dico Aprilia si sente il colore di vernice, di gomme, di benzina. E' più automobile di una automobile d'oggi». Non è un atteggiamento un po' retro? «L'attualità non coincide con la moda. Il mio pubblico non ha le fisime (piccole ambizioni, ndr) di essere alla moda, non gli dà peso. Io sono un uomo del dopoguerra e non sono un patito di ciò che siamo oggi. Lo spirito del secolo è stato forte nel '10 e nel '20, e chi lo sente è un nostalgico, ma nel senso pieno. Si può raccontare il retro ridendo, come citazione. Io l'ho fatto convinto, seriamente. Certo la mia generazione ha dovuto sopportare un'ondata di romanità, di tirrenicità. Basta pensare alla lingua della radio, del cinema. Esistevano solo Roma e Firenze. C'era il peso di una scuola con una lingua non nostra. Sento che c'è gena (imbarazzo, ndr) a parlare italiano, questo atteggiamento porta a ironizzare. Rimpiango le parole antiche». Conte scrivendo adopera mol-. te virgole, molti puntini di sospensione, perché? «I puntini fanno scivolare le parole nella musica, le virgole mi servono per gli incisi in un periodo lungo». La signora Fournier, quella dell'Università di Parigi, come altri ammiratori, rimprovera Conte di abusare dell'inglese. Troppo francofoni noi o anglofono lui? «No, no: non voglio fare l'americano. La scrittura musicale è complessa in italiano. L'inglese dà parole che aiutano a chiudere una frase ritmica». Nelle sue canzoni di oggi, Conte canta qualche nebbia, qualche collina in meno e più simboli, luoghi, del far musica. Cos'è: la canzone sulla canzone, la metacanzone? «Condizionamenti psicosomatici, forse. Forse scrivo più per me. Ho meno verginità di cose portate dentro e più lontane. E' vero, una volta scrivevo più paesaggi. Dovevo dirli... Oggi mi interessa il mondo della musica». E' un buon lettore, Conte? «Ho meno paura della prosa, ma leggo lento. Della poesia posso guardarne poche righe. E non mi aiuta nel mio lavoro.. Vedo un verso bello, lirico, subbine e cosa faccio? Lo lascio lì. Mi aiutano i prosatori, ti fan venire l'appetito. Penso a Chiara, a Simenon». L'avvocato «un po' così» fuma e storce la faccia, si rintana. Ha già voglia di tornare ad Asti, ha già voglia di ripartire in tournée, per incontrare un piano sconosciuto, risalire sul filò. Riprendere a cantare le sue Hawaii, il suo Hemingway, tirar su con la voce il Mocambo, l'Eden, il Sud America, da zingaro, da uomocamion, inquieto se le dita non riescono a trovare una tastiera e la voce quel rebus che dice: «cercando di te in un vecchio caffè...». NicoOrengo «Racconto vecchiefavole, come sanno fare ifrancesi. Cerco di dare pièces teatrali in tre o quattro minuti» Tre immagini di Pàolo Conte in concerto: «Mi piace incontrare il pianoforte che farà passare la serata a me e al pubblico. Mi piace la bellezza del teatro, il suo fascino»